I 7 errori più frequenti commessi dallo psicologo che vuole promuoversi (e 4 suggerimenti)

I 7 errori più frequenti commessi dallo psicologo che vuole promuoversi (e 4 suggerimenti)
Quali gli errori più frequenti che commettono i giovani colleghi (ma non solo!) quando cercano lavoro? Credo questa domanda permetta di mettere a fuoco alcuni aspetti che molti psicologi dovrebbero migliorare nel loro modo di porsi al pubblico, perchè se già oggi è più difficile di prima trovare un lavoro che soddisfi, diventa molto più complesso farlo se lo si cerca senza prestare attenzione ad alcuni grossolani ma frequentissimi errori.
Io stesso ne ho compiuti diversi e li ho dovuti pagare sulla mia pelle anche a caro prezzo, ma una volta imparato ho smesso. Come dicevo in un mio recente video: fail fast, ossia “sbaglia in fretta” e correggi il tiro il prima possibile.
1. Fare un curriculum
Ok, il titoletto è un po’ provocatorio, ma credetemi: lo è solo fino a un certo punto. Nel 90% dei casi l’errore è, a mio avviso, fare un CV. Quanti cv ho inviato in tutta la mia vita? migliaia. Quanti lavori ho trovato per avere inviato il CV? Uno solo, e non ho ancora capito bene come mai (ripensandoci a posteriori, comunque, posso dire che si è trattata di una vera e propria coincidenza astrale o quasi…). Il CV ha senso quando qualcuno cerca una figura specifica per occupare un dato ruolo, ma questa situazione nel mondo della psicologia si verifica con una rarità eccezionale.
Lo ammetto, una volta l’ho fatto anche io: prendere gli indirizzi mail di tutti i consultori, sert, cps e cpba di Milano e inviare loro una mail personalizzata di presentazione con allegato il mio cv, in caso ci fosse una posizione libera vacante… Ma diciamocelo francamente: raramente le persone vengono selezionate solo sulla base di un cv inviato via mail da uno sconosciuto. Il problema dello psicologo è quindi di inviare il cv solo una volta che quell’ente particolare ci conosce, magari su sua diretta ed esplicita richiesta: “mi può inviare un suo cv gentilmente?”.
A mio avviso presentarsi a degli sconosciuti tramite CV può essere un boomerang che rischia di posizionarci in una posizione one-down: tempo fa una psichiatra si è presentata nel mio studio con il suo curriculum per raccontarmi cosa faceva, quali i suoi interessi professionali, in cosa consistesse il colloquio psichiatrico, come poteva essermi di aiuto, e così via. Pensai subito – a torto o a ragione non lo so – che quella persona non era qualificata, ma era una collega che veniva da me per portare a casa qualche invio.
Tempo dopo, invece, fui contattato da Federico Baranzini, un altro psichiatra che mi propose un progetto da fare assieme inerente lo svilupo di una piattaforma web per la diffusione della cultura psicologica. Mi appassionai subito, ci vedemmo per diverse volte a pranzo, iniziammo a parlare delle nostre famiglie, dei figli, e così via, scoprendo il nostro lato umano a vicenda. Il caso ha poi voluto che il nostro progetto fu accantonato, ma questo è relativamente importante: avevamo entrambi troppi impegni cui dare la priorità.
Il punto è questo: con la prima psichiatra non avrei colaborato, con il secondo eccome. Il cv non deve essere l’ariete per entrare in un contesto, ma il suo seguito. E se proprio dovete inviare un cv, almeno fatelo cercando di distinguervi in qualche modo: un videocurriculum, un’infografica, un cv “classico” non inviato via mail ma via posta ordinaria (vi assicuro che colpisce molto di più!) o allegarci un progetto pronto da svolgere invece che la solita lettera di presentazione.
2. Chiedere “cosa vi serve?”
Lo psicologo che invia il cv e chiede “come posso essere utile?”, ha spesso un effetto peggiore di quello prodotto dagli assicuratori che chiamano numeri telefonici trovati sul web per vendere i loro prodotti. Se quando mi chiama l’assicuratore, infatti, c’è una proposta chiara alla quale sono libero di dire “no, non mi interessa”, nel caso dello psicologo che si offre e chiede come può essere utile, si aggiunge la necessità di uno sforzo mentale ulteriore per capire cosa fare di questa potenziale risorsa all’interno del team già esistente. Come immaginerete questo sforzo mentale porta chi riceve il cv a cestinare anticipatamente la proposta.
E’ lo psicologo che deve essere propositivo e proporre un progetto già sviluppato che sia percorribile, altrimenti gli verrà detto “siamo al completo” o nel migliore dei casi verrà proposto un volontariato o un lavoro come educatore. Dobbiamo invece essere concreti, mostrare il nostro valore a prescindere dalla collocazione che potrebbero pensare per noi, risolvere problemi e non crearne di nuovi (una struttura che non ha psicologi, al solo pensiero di prenderne uno, dovrà pensare a come integrarlo con le altre figure, come pagarlo, cosa fagli fare, e molti altri dubbi che rischiano appunto di fare scartare l’ipotesi di collaborazione).
Ecco perchè è fondamentale sviluppare competenze anche minime di progettazione: possiamo proporre progetti partendo dai nostri interessi e passioni per poi valutare a chi proporli, oppure possiamo partire dalle esigenze della struttura e studiare uno strumento che possa aiutarla a risolvere dei problemi che affronta.
A chi fosse interessato al tema della progettazione nell’ambito del terzo settore consiglio questa playlist di videointerviste che ho curato per conto dell’Ordine degli Psicologi della Lombardia che possono fornire diversi spunti a riguardo.
3. “Se senti qualcosa in giro mi fai sapere?”
Non è sbagliato a prescindere chiedere a qualcuno che conosciamo di tenerci a mente, ma il punto è che non funziona quasi mai. Quando le persone me lo chiedono, io cerco di ricordarmi “Tizio mi ha chiesto di tenerlo in considerazione”, ma essendo già pieno di cose a cui pensare è obiettivamente difficile che mi ricordi di Tizio che ha bisogno. L’ideale sarebbe, se proprio, che sia Tizio a trovare un modo per ricordarmi del fatto che esiste, che è bravo, che si appassiona, che è esperto in un determinato campo. Allora mi verrà in mente lui automaticamente quando sento qualcuno che cerca un collega proprio con le sue caratteristiche. Un modo possibile per fare questo – di cui parlo anche nel mio corso gratuito per lo psicologo 2.0 – è quello di costruire una newsletter di qualità.
Assolutamente sbagliato invece – dal mio punto di vista – porre questa domanda a qualcuno che nemmeno si conosce. Questa prassi è terribilmente diffusa e mi lascia sempre più sgomento: ma perché mai una persona che non vi ha visto lavorare dovrebbe fare il vostro nome per un ruolo lavorativo, magari anche delicato, mettendoci in prima persona la faccia? Ricevo moltissime mail di giovani psicologi veramente ingenui che mi dicono: se senti qualcuno che cerca su Milano mi avvisi? Capisco la loro situazione di difficoltà, ma mi verrebbe sempre da chiedere loro: forniscimi almeno un buon motivo per avvisare te e non altri colleghi con cui collaboro da anni e che stimo oltremodo!
4. Guarda quanto sono bravo
Non bisogna mai esagerare con l’esporre i propri meriti e competenze, ma è meglio darle solitamente per assodate.
Se le sottolineiamo con troppa enfasi – e i giovani psicologi hanno questa tendenza abbastanza marcata – finiamo per comunicare all’interlocutore che sentiamo il bisogno di mostrare che siamo all’altezza, come se in realtà non ci sentissimo sicuri. Mostrarle un po’ va bene, ma entriamo nell’ottica che le persone diano per scontato che lo psicologo sappia gestire efficacemente certe situazioni, senza bisogno di condirla troppo.
5. Primo colloquio gratuito
Su questo punto ho già detto molto in un articolo riservato al tema, quindi non voglio rubare troppo tempo in questa sede. Dopo avere pubblicato le mie riflessioni a riguardo ho sentito di alcuni colleghi che in realtà riportano un utilizzo positivo di questa forma di promozione, ma mi è parsa veramente una minoranza schiacciante. Se proprio proponete una delle due alternative al colloquio gratuito che suggerisco qui.
6. Definirisi “psicoterapeuta in formazione”
Mai sentito un medico che scrive su un sito “ortopedico in formazione”? E se vi doveste operare al cuore, andreste mai da un “cardiologo in formazione”? Ovviamente no, non lo farebbe nessuno. Ma perchè allora occorre mostrare la propria formazione ancora incompiuta? Certo lo psicologo che lo scrive lo fa per mandare questo messaggio al cliente: non sono uno psicologo “semplice” mi sto formando attentamente sotto la supervisione di grandi clinici e presto potrò anche dirmi psicoterapeuta.
La realtà, però, è che all’utente arriva un altro messaggio. Inoltre la maggior parte degli utenti non sa nemmeno la differenza tra psicoterapeuta e fisioterapista: anche qui cercando di dare più informazioni e mostrare i nostri attestati, rischiamo l’effetto contrario. Pensiamo di avere maggiore prestigio e quindi “presa” sull’utente ma non è così. La gente va dai counselor perchè si sente meno malata rispetto ad andare da uno psicoterapeuta. Io sul mio biglietto da visita, ad esempio, ho scritto solo Luca Mazzucchelli, psicologo. Che altro c’è bisogno di dire e mostrare?
A parte tutte queste considerazioni, tuttavia, la dicitura “Psicoterapeuta in formazione” non è solo un errore di marketing e posizionamento, ma è anche deontologicamente scorretta, perchè veicola un messaggio poco trasparente (in violazione dell’art. 40 del nostro codice deontologico e della legge Bersani). Così come all’Università non si può dire di essere “psicologi in formazione”, non è consentito farlo per l’attività di psicoterapia.
7. Aprire una pagina facebook e parlare di se stessi
Ormai tutti hanno una propria pagina fan su facebook, la differenza la fa quindi come viene utilizzata: se per dare informazioni realmente utili a chi la segue, o se per dire al mondo cosa faccio e quanto sono bravo. Si rischia in questo secondo caso di utilizzare lo strumento social per scopi a cui nessun cliente è interessato. Facebook va utilizzato per ascoltare i bisogni degli altri e dare loro contenuti di valore e gratuiti.
4 suggerimenti “al volo”
- Evitate di proporvi in contesti già troppo cannibalizzati da altri psicologi. E’ più difficile emergere e la concorrenza è più forte. Un bel libro a tal proposito è “Strategia Oceano Blu” e spiega molto bene l’importanza di andare alla conquista di territori inesplorati. Un altro libro “obbligatorio” è “Tribù” del mitico Seth Godin. In questa raccolta di video intervisto alcuni colleghi che sono riusciti a crearsi nuove nicchie lavorative, in Italia o all’estero, credo possa fornire idee interessanti per tutti i colleghi.
- Create movimento e “rumore” attorno a voi, deve succedere che siano gli altri a cercarvi per offrirvi dei lavori e non viceversa. Per fare questo occorre anche investire in marketing. Io suggerisco a tutti di investire in marketing e promozione almeno il 4% del fatturato annuo. Non è un costo: il vero costo è infatti non investire in marketing. Ma gli psicologi faticano tantissimo a capire questa cosa: quindi chi prima arriva meglio alloggia.
- Non chiedete alle persone se hanno dei lavori da passarvi, ma chiedete loro quali strategie utilizzano per trovare e costruire il lavoro. Il vero “colpo da 90” non è infatti trovare qualcuno che possa fornirci il lavoro, ma imparare a crearlo con le nostre mani.
- Studiate, formatevi, investite tempo e denaro per leggere e imparare cose nuove sia da un punto di vista professionale sia da un punto di vista promozionale.
Se il tema vi interessa vi consiglio infine di iscrivervi al mio corso gratuito per lo psicologo 2.0 che vuole meglio promuoversi online. Sono alcuni Ebook, video ed articoli che approfondiscono alcuni dei concetti qui esposti e ne aggiungono di ulteriori a mio avviso ugualmente importanti.
E voi cosa ne pensate? Quali errori avete commesso per promuovervi dei quali poi vi siete pentiti? Quali suggerimenti invece per trovare lavoro oggi come psicologo? Aspetto i vostri commenti nello spazio sottostante 😉
Luca Mazzucchelli