Analisi Transazionale
Giorgio Piccinino è nato a Cittadella (PD) l’11 ottobre 1949.
Si è laureato in sociologia ed inizialmente ha lavorato nella direzione del personale di un’azienda della grande distribuzione occupandosi di relazioni industriali, sviluppo organizzativo e formazione.
Si è formato in Socioanalisi seguendo i seminari condotti di Gino Pagliarani alla fine degli anni 70 per poi approdare all’Analisi Transazionale diventando psicoterapeuta nel 1987 e membro delle relative associazioni nazionali (AIAT) e internazionali (EATA).
E’ attualmente partner del Centro E. Berne dove esercita attività di psicoterapeuta individuale, di coppia e di gruppo, ha sempre svolto il lavoro clinico affiancandolo con l’attività di consulenza e formazione per aziende private.
E’ stato fra i fondatori e membro del Comitato Scientifico di ” SCOA”, The school of coaching, di Milano, dove ha collaborato per diversi anni come docente e supervisore.
Nel 2000 ha fondato la scuola di Counseling del Centro E. Berne dove a tutt’oggi opera come coordinatore, docente e supervisore.
Indice
01:05 La concezione del disagio secondo l’approccio Transazionale
03:34 Io Bambino, Io adulto, Io genitore: l’origine del cambiamento
07:05 Origini dell’approccio e doppio livello di Berne: Terapia Focale ed Analisi
11:27 L’importanza del lavoro di gruppo
15:18 Tecniche maggiormente utilizzate
21:02 Sbocchi lavorativi
23: 10 Testi di riferimento
27:18 Consigli per i giovani psicologi
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Thomas Harris: Io sono ok tu sei ok
Sbobinatura video intervista
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“Noi non andiamo a cercare i mostri dentro le persone, non ci sono mostri. Noi nasciamo innamorati, nasciamo altruisti, poi se siamo trattati male ci incattiviamo e ci incazziamo un pochettino ecco. In genere quello che troviamo è molto più buono e bello di quanto le persone si aspettino.”
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La concezione del disagio secondo l’approccio Transazionale.
Luca Mazzucchelli: Un saluto a tutti da Luca Mazzucchelli, oggi continuiamo il nostro viaggio nell’esplorazione dei diversi approcci in psicoterapia, abbiamo un ospite d’onore che è Giorgio Piccinino, un analista transazionale partner del centro Berne, un centro attivo dal 1978 e che è una scuola di specializzazione in psicoterapia ad indirizzo analitico Transazionale. Giorgio grazie per aver accettato il mio invito.
Giorgio Piccinino: Grazie a te, grazie dell’ospite d’onore…
LM: Dicevamo prima offline che non è semplice in poco tempo condensare tutto il succo di quello che sta intorno ai diversi approcci, proviamoci e partiamo dalla concezione del disagio secondo questo approccio, perché le persone iniziano a stare male, cosa succede.
GP: Noi nasciamo con delle caratteristiche di natura, che chiamiamo il bambino naturale, che sono le propensioni e repulsioni che tutti gli esseri umani hanno. Noi abbiamo lo slogan “ Io sono ok, tu sei ok” già presente dal 1960, che sono gli anni di Berne che ha inventato questi slogan e tutto l’impianto psicologico dell’Analisi Transazionale. Egli infatti aveva l’idea che le persone quando nascono hanno delle caratteristiche sane, quelle che oggi in ambito di studi dell’evoluzionismo sono state riscoperte e risottolineate. Parliamo di pulsioni amorose, affettive, parliamo di altruismo, parliamo di spinta alla cooperazione, che è una cosa piuttosto nuova per quello che in genere si pensa e si dice degli esseri umani, ma anche di tutto l’aspetto che riguarda l’apprendimento, della voglia di imparare, della curiosità, dell’autoaffermazione, sono tutte caratteristiche che il bambino ha e che di fronte alla cultura trovano più o meno facilmente accoglienza positiva. Oppure per problematiche di vario genere di solito delle figure materne, ma anche di tutta la famiglia in generale vengono spesso frustrate e trovano una cattiva accoglienza a seconda del tipo di problematiche presenti. Il bello della natura umana è che queste propensioni, queste pulsioni sono sottostanti, quindi anche quando sono state frustrate con una buona psicoterapia o con altri interventi si possono riattivare. Questa è in sostanza l’idea che abbiamo noi: nasciamo con un bambino naturale che è, lo dico provocatoriamente, pronto per la crescita, pronto per la vita, pronto per svilupparsi e queste sue caratteristiche quanto più radicalmente e precocemente sono frustrate quanto più il bambino e la persona avrà poi delle difficoltà.
Io Bambino, Io adulto, Io genitore: l’origine del cambiamento.
LM: Io avevo letto un articolo di Giacomo Magrograssi che è un vostro partner…
GP: E’ stato uno dei co – fondatori del centro Berne ed è vivo e attivo, combatte insieme a noi…
LM: Mi è piaciuta molto questa distinzione che voi fate tra Io adulto, Io genitore e Io bambino: cosa vuol dire?
GP: E’ una cosa che ai tempi è stata clamorosa per il mondo psicoanalitico da cui noi proveniamo, è stato un modo per dare nomi diversi a delle funzioni di personalità, ma anche a dei contenuti che ha l’essere umano. Noi chiamiamo Io bambino la parte con cui nasciamo, che è appunto la naturalità. Questa naturalità può essere più o meno frustrata e sostituita da comportamenti che sono adattati, sottomessi o deviati e diventano poi degli automatismi. Abbiamo una parte di bambino naturale che è prorompente, in genere molto desideroso, focoso e intraprendente e una parte di adattamento. Ovviamente l’essere umano è fatto di riflessività, di razionalità e questa è la parte che noi chiamiamo stato dell’ Io adulto, cioè ha a che fare con tutte le funzioni di analisi della realtà, al servizio della propria naturalità. E’ tutta quella parte di progettualità ed intelligenza che la persona man mano acquisisce in contatto con delle famiglie o delle persone che lo aiutano a sviluppare questa capacità, che è soprattutto una capacità riflessiva per sé ma anche di decisione del comportamento. Contemporaneamente nasciamo con una parte che pian piano si sviluppa, che è fatta di regole che noi impariamo dalla cultura in cui nasciamo e che costituisce la nostra parte genitoriale [l’Io genitore]. L’ Io genitore, adulto e bambino sono i luoghi in cui l’essere umano si esprime, ma anche i possibili conflitti che ci possono essere fra desiderio e pulsioni e regole imparate, automatismi antichi e un basso livello di capacità e razionalità…
LM: Quindi diciamo che le chiavi per promuovere il cambiamento nelle persone sono anche nel bilanciamento fra questi ruoli? Posso chiamarli ruoli?
GP: Esattamente, però è meglio non chiamarli ruoli perché per esempio nel ruolo paterno ci può essere sia la parte genitoriale, che la parte adulta, che la parte bambina. Se un padre si mette a giocare con il bambino e si diverte a rivoltarsi sul letto in quel momento esprime una sua giocosità bambina, oppure se gioca a nascondino, se si incuriosisce, se si mette a giocare con i lego insieme al bambino usa la propria parte [bambina]. Quindi più che ruoli che possono essere ruoli sociali si parla proprio di modi di essere della persona. Sono stati della sua personalità, momenti in cui entriamo in una parte piuttosto che in un’altra .
LM: Non si tratta tanto di equilibrare questi tre stati, quanto di essere flessibili nello spostarsi da uno all’altro in base al tipo di contesto nel quale siamo inseriti?
GP: Questa è una buona metafora, equilibrare le parti della personalità che sono necessarie ad un buon funzionamento.
Origini dell’approccio e doppio livello di Berne: Terapia Focale ed Analisi
LM: Quali sono le radici teoriche sulle quali un po’ affonda il tuo approccio?
GP: Erano gli anni 60, Berne era di origine polacca però viveva negli Stati Uniti, era stato prima in Canada poi negli Stati Uniti. In quegli anni c’era un rinnovamento forte rispetto ad una psicoanalisi americana, ma anche europea un po’ ammuffita e chiusa in sé stessa. E’ stato con l’aiuto di Watzlawick , Lowen, Pearce, gli autori che hanno cercato di rendere attuabile concretamente il lavoro di psicoterapia che è nata l’Analisi Transazionale di Berne. L’Analisi Transazionale è nata come psichiatria sociale, quindi aveva ed ha una notevole attenzione al benessere delle persone, non solo alla cura della psiche delle persone nevrotiche o psicotiche. Berne è stato fra quelli che ha inventato un doppio livello, che noi utilizziamo anche nella psicoterapia. Il primo livello lo definiamo un po’ come una psicoterapia focale, l’analisi transazionale è stata considerata una delle forme di psicoterapia breve di una volta, nel senso che buona parte del lavoro è proprio nell’aiutare la persona ad essere consapevole delle proprie transazioni: si chiama Transazionale proprio perché si parla di transazioni, di scambi fra le persone. Berne era molto attento a questo aspetto più comportamentale, anche se con un atteggiamento fortemente orientato allo sviluppo e all’espressione delle emozioni quindi non siamo nell’ambito più comportamentista, ma siamo nell’ambito comunque delle psicoterapie umanistiche. Ci si rivolge soprattutto al qui ed ora, è importante sapere e fare in termine di equilibrio degli stati dell’Io, di consapevolezza di sé e della propria autenticità.
LM: Questo è nella forma focale quindi…
GP: Si, il secondo livello che invece tendiamo a chiamare di analisi è più psicoanalitico ed è necessario ed indispensabile quando i livelli di frustrazione che determinano le problematiche delle persone sono piuttosto precoci ed antiche. Entriamo in un’altra area di psicoterapia, la psicoterapia del profondo e noi in quest’area utilizziamo tutte le tecniche di regressione. Le chiamiamo “ridecisioni” nel senso che pensiamo che tutto ciò che il bambino anche inconsciamente ha deciso per difendersi, ma limitando le proprie potenzialità può essere rideciso, però può essere rideciso se noi riportiamo a galla, a livello di consapevolezza della persona le situazioni in cui si è frustrato e cambiato il comportamento anche nel profondo. Noi dobbiamo aiutare il cliente a risentire le frustrazioni di allora, con tecniche di tipo regressivo – emozionali in modo tale che il paziente si scontri con il residuo della sua pulsionalità grazie ai messaggi che gli sono stati mandati. Li facciamo lavorare su alcune parti di sé, questa è una caratteristica dell’Analisi Transazionale ereditata dalla gestalt, tecnica grazie a cui facciamo emergere le parti più nascoste della persona. Una parte che desidera e che ritorna a sentire il desiderio d’amore, di offrire il proprio amore e dall’altra parte qualche cosa che lo spaventa e lo frena. In quel momento una persona risente la sofferenza e può aver voglia di cambiare. Si tratta di ridecidere un atteggiamento che è stato frenato un tempo e farlo ridecidere nel qui ed ora, ma riprendendo la pulsionalità naturale. Questa è l’area più psicoanalitica dell’analisi transazionale ed è un’attività che facciamo con tutte le tecniche più moderne, più utilizzate: lo psicodramma, i giochi di ruolo, regressioni, fantasie guidate, facciamo un po’ di tutto …
L’importanza del lavoro di gruppo.
LM: Molto bella questa natura double face, tu dici che ci sono due livelli ben distinti nei quali si può scendere. In base a cosa si decide se stare più o meno in superficie, lo decide il terapeuta in base alla persona che ha davanti a sé?
GP: Lo decide in parte il terapeuta e in parte il desiderio del paziente di voler superare questo tipo di impasse, che è un’impasse profonda, che percepisce anche poco. Questo tipo di patologie, ad esempio depressione e narcisismo per citarne qualcuna, appiattiscono proprio la voglia di vivere quindi andare a riprendere la voglia di vivere non è sempre facilissimo. Naturalmente se siamo in una terapia di gruppo la cosa è più facilitata dal fatto che ci sono altre persone che stimolano il paziente, che hanno magari difficoltà diverse e aiutano la persona a sentire che c’è qualcosa che non va. Alcune persone vengono nei gruppi con tanta voglia di stare insieme agli altri, ma molti sono spaventatissimi, molti sono ritirati. Essendoci gruppi che vanno avanti per sempre, quando si entra in un gruppo che preesiste all’entrata di un paziente la persona entra spaventata, pensando di essere l’unico matto della famiglia, di essere un po’ strano e poi si ritrova invece con delle persone che sono straordinarie, che sono a loro volta già magari un po’ più avanti nella scoperta, nella crescita, nella riscoperta di sé e trova un ambiente accogliente per le sue difficoltà e questo già di per sé è fortemente facilitante in un lavoro di cambiamento. Quello che sono stato fino ad ora e di cui ho sentito la sofferenza trova rispecchiamento da parte di un gruppo di fratelli che diventa quasi una nuova famiglia, che ti include e ti dice “ ben arrivato, anche io sono partito così”. Per qualcuno è anche questo un trauma, perché passa da un ritiro ad un gruppo, però noi in genere mettiamo le persone in un gruppo dopo un periodo di individuale. Quando si è instaurato un ottimo rapporto fra terapeuta e paziente, in modo che non ci sia il pericolo che il paziente insieme a degli altri si senta un po’ perduto, allora lo si mette nel gruppo. Ci deve essere già un buon legame di conoscenza e di fiducia reciproca, di amore fra terapeuta e paziente, parliamoci chiaro. Se non c’è un’affettività reale fra terapeuta e paziente è difficile andare a trovare delle cose così antiche e farle emergere…
LM: L’inserimento dell’individuo nel gruppo è una tappa standard nel percorso, fa parte del percorso di emancipazione?
GP: Si, normalmente è così. Io e altri colleghi del centro facciamo terapia individuale, terapia di gruppo, terapia di coppia, però normalmente la potenzialità evocativa ed evolutiva del gruppo è così forte che prima o poi le persone hanno anche voglia di entrarci. Facciamo anche delle cose un po’ intermedie, come dei gruppi residenziali anche per quelli che sono individuali così vedono come funziona il gruppo. Fa parte del percorso per quasi tutti i pazienti e per quasi tutti anche il finale di percorso è dentro il gruppo. Naturalmente ci sono delle persone che hanno delle fobie sociali o che hanno delle difficoltà ad entrare in un gruppo, ci sono certi borderline o certi depressi gravi che prima di metterli nel gruppo bisogna già averli aiutati su un primo livello di disponibilità di espressione di sé…
Tecniche maggiormente utilizzate
LM: Senti ci puoi raccontare una tecnica che capita spesso di utilizzare nel tuo approccio in seduta?
GP: Ci sono tante tecniche che utilizziamo, diciamo che quella più classica è quella di permettere alla persona di esprimere diverse parti di sé, proprio per fargli vedere che è un po’ un mito dentro di noi l’idea che “io sono fatto così” e le persone sono anche orgogliose di essere tutto di un pezzo, ma poi in realtà hanno un Io Bambino, Genitore e Adulto come minimo. Naturalmente le parti sono infinite e quindi si cerca di far emergere una parte meno espressa, in genere sono le parti bambino che sono quelle più frenate, perché è lì che risiedono le pulsioni, le emozioni, i desideri e poi le parti genitoriali, che magari le hanno contrastate e che sono apprese dai propri genitori, ma operanti dalla persona stessa. E’ la persona stessa che avendo appreso alcune modalità le utilizza contro sé stessa e quindi si trova in un’ impasse, in una difficoltà o in un conflitto. Mettere la persona in una determinata parte e far esprimere un certo desiderio, far esprimere quello che è l’aspetto contrario e infine far esprimere una visione più adulta è un tipo di decontaminazione, la chiamiamo così per aiutare proprio la persona a vedere in maniera adulta quelli che sono i conflitti interni legati in genere a vecchie difficoltà o problematiche. Per noi l’essere umano è sacro, quindi abbiamo fede che in qualche modo l’essere umano prima o poi faccia emergere le proprie pulsioni; in certe condizioni il fiore riprende a fiorire, basta metterci il giusto concime, innaffiare un po’ e il sole… un po’ di vicinanza, un po’ di libertà, un po’ di autonomia le nostre pulsioni sono lì da sempre, è molto difficile frenarle. Quando però sono frenate precocemente bisogna di petto andare a sperimentare delle cose più antiche e farle venire fuori. Questo comporta talvolta una reazione anche di ostilità verso i propri genitori, ma questa è una tappa per poi arrivare all’accettazione. L’altro elemento molto importante che ti voglio dire della nostra tecnica è proprio quello di individuare dove e come siamo stati frenati, ma non solo come e dove, ma come mai è successo questo. Come mai una madre che ci amava, perché altrimenti non ci avrebbe nemmeno tenuto in vita quel poco prima di creare problemi, come mai aveva così tanta paura del distacco da invadere il bambino, diventare iperprotettiva e quindi simbiotica e renderlo simbiotico lui stesso? Come mai è successo questo? Buona parte della liberazione passa proprio attraverso il fatto che la persona ricorda o va a ricordare o va a cercare i motivi per cui sua madre era così iperprotettiva e nel momento in cui scopre che sua madre è stata iperprotettiva per tutta una serie di storie molto più tragiche di solito diventa non proprio un perdono, ma l’accettazione di un’ evoluzione che da un passato così tragico è passato attraverso una simbiosi che non è però così tragica. Il più delle volte scopriamo che i pazienti che vedono nei propri genitori delle persone fortemente limitanti sono state però a loro volta degli eroi, perché sono stati meno limitanti di quanto è successo a loro. E’ un passaggio e lì sono strepitosi, perché a volte il paziente ricorda atteggiamenti affettuosi che prima aveva completamente dimenticato, perché gli era rimasto impresso il divieto la freddezza. E’ come se da grande riguardasse un po’ indietro e aprendo l’orizzonte vedesse qualcosa al di là della frustrazione che aveva patito e allora riscopre anche i propri genitori, non sempre, ma abbastanza spesso li riscopre con quel tanto di amore che gli hanno consentito di sopravvivere e di arrivare anche in psicoterapia. Se non ne avesse proprio per niente il compito è anche quello di ripristinare un po’ d’amore per il proprio genitore perché il proprio genitore ce lo portiamo dentro….
LM: Diventa una parte di noi…
GP: E non possiamo essere sani se abbiamo delle parti di noi che percepiamo negative, si tratta proprio di fare pace non tanto con un genitore, quanto con la vita… anche se qualche volta siamo stati un po’ sfortunati a capitare proprio lì.
LM: Bella la clinica, si vede anche tutta la tua passione in questo senso…
GP: Una cosa su cui mi batto spesso è proprio questa idea della psicoanalisi detta come psicoterapia triste, faticosa… ma noi siamo a contatto costantemente con la rinascita, con la bellezza, con l’essere umano che finalmente esce di nuovo nelle sue potenzialità. Io sono felicissimo di fare questo mestiere, lavoro tantissimo e da tanti anni, ma è veramente una continua gioia e una continua scoperta. Il gruppo si vive, ci si diverte, tutte le volte che uno riesce a dire “no!” tutti applaudono oppure “si!” o qualcosa che nessuno ha mai detto. Il gruppo ha anche una forte funzione di riconoscimento, di carezze, di festeggiamenti e si festeggia molto spesso.
Sbocchi lavorativi
LM: Una delle domande che spesso ci pongono anche i giovani colleghi rispetto ai diversi approcci in terapia è quali sono gli sbocchi lavorativi, gli impieghi possibili. Abbiamo parlato molto di clinica e anche clinica in diversi modi, individuale, di gruppo, immagino anche di coppia e su diversi tipi di problematiche. Sei passato dalle depressioni ai borderline a quelle più leggere… cos’altro ci puoi dire?
GP: l’Analisi Transazionale è stata un po’ super usata nel mondo delle organizzazioni. Negli anni settanta e negli anni Ottanta c’è stata la moda dell’Analisi Transazionale Io genitore, Adulto e Bambino, un concetto di copione è stato utilizzatissimo nella formazione. In questo senso si è persa un po’ l’idea della scientificità e profondità della psicoterapia e anche della formazione come psicoterapeuti transazionali, perché è diventata quasi soprattutto una forma di formazione per la gestione di collaboratori. I concetti di Io Adulto, Genitore e Bambino hanno tutta una serie di conseguenze sulle capacità di comunicazione, sulla leadership. L’Analisi Transazionale è tuttora moltissimo utilizzata anche per la selezione, perché attraverso i modelli e i questionari che vengono utilizzati si capisce se la persona è più un genitore affettivo, piuttosto che un genitore normativo, piuttosto che abbia una buona okness quindi in grado di gestire in modo positivo le relazioni. Ha un utilizzo tutt’oggi molto elevato nella formazione e ci sono delle società di consulenza anche a Milano che fanno solo Analisi Transazionale. Noi al centro Berne abbiamo anche una o due serate gratuite di divulgazione su tematiche di lavoro, esistenziali, rapporto genitori – figli, amorose…
LM Siete molto attivi devo dire..
GP: Eh sì diciamo che da noi passano centinaia di persone…
Testi di riferimento
LM: A proposito di assaggi e di consigli, per chi è incuriosito da questo approccio ci sono dei libri che ti senti di suggerire per approfondire il discorso? Non troppi chiaramente altrimenti è troppo difficile scegliere per chi ci ascolta, facciamo circa sei…
GP: Io consiglierei due libri di Eric Berne che sono “Ciao!”… e poi? che è un libro anche un po’ provocatorio sul copione ed è Bompiani, A che gioco giochiamo che è stato il best seller mondiale di Berne che è stato a sua volta un fenomeno mondiale con questi due libri soprattutto. A che gioco giochiamo riguarda la psicopatologia quotidiana, cosa facciamo noi per crearci dei problemi nella vita quando entriamo in rapporto con gli altri. Consiglierei poi due libri dei miei colleghi del centro Berne: uno di Giacomo Magrograssi che tu hai citato che si chiama Le carezze come nutrimento, riguarda i riconoscimenti. Noi li chiamiamo, o meglio Berne li chiamava carezze che sono l’anima del riconoscimento della persona, di quello che la persona è e quello che la persona fa e che è il nutrimento per ciascuno di noi, il fatto di avere un riconoscimento dagli altri ma anche da noi stessi. Direi un libro di Fabio Ricardi che si intitola Analisi Transazionale, è un libro piccolino ma sufficientemente completo e ben fatto della Xenia. Di un’ altra collega Alessandra Zanuso direi La nostra parte nascosta: l’ombra.A differenza dell’ approccio Junghiano per lei e per noi l’ombra non è quel luogo recondito di conflitti e sadismi nascosti di cui dovremmo vergognarci, ma è invece la nostra parte rimasta un pochettino frenata, un po’ indietro… la ricerca dell’altra parte di noi, delle nostre risorse che sono state così facilmente accolte e quindi riproposte nella nostra vita. E’ un’ombra positiva infondo, anche con le proprie contraddizioni. Questo fa parte della filosofia dell’Analisi Transazionale: noi non andiamo a cercare i mostri dentro le persone, non ci sono mostri. Noi nasciamo innamorati, nasciamo altruisti, poi se siamo trattati male ci incattiviamo e ci incazziamo un pochettino ecco, oppure ci chiudiamo, ma in genere quello che troviamo è molto di più e molto più buono di quanto le persone si aspettino, il concetto di ombra per noi è un po’ questo. Infine i miei due libri, che sono Il piacere di lavorare per la Erikson, è un libro che parla un po’ dell’attività di lavoro, come si sviluppa la voglia di fare. Ha una parte iniziale piuttosto corposa di Analisi Transazionale, per permettere alle persone di capire le cose che dico sullo sviluppo possibile delle potenzialità e poi l’altro che è uscito nel 2010 e si chiama Amore limpido, riguarda l’affettività, la vita di coppia e l’amore maturo, diciamo non tanto l’aspetto dell’innamoramento, ma di come scegliamo il nostro partner e anche come dovremmo portare avanti le nostre relazioni. Amore limpido parla soprattutto di cosa sia la vita affettiva amorosa, che è soltanto una tappa nella nostra crescita di innamorati per la vita, dovremmo finire la nostra vita contenti di aver amato tanto e magari non soltanto una donna sola, non soltanto un figlio o due, ma qualcosa di più, gli altri la comunità… invecchiare dovrebbe essere un po’ questo, diventare capaci di amare un po’ più in maniera allargata, meno mirata…
Consigli per i giovani psicologi.
LM: Una domanda con cui io di solito chiudo le interviste, ossia un suggerimento per il giovane psicologo un po’ indeciso nel panorama che abbia voglia di capire quale percorso fare… tu come hai deciso?
GP: Dunque, io ho fatto psicoanalisi prima con uno dei più grandi secondo me psicoanalisti fuori contesto che si chiamava Gino Pagliarani, che era uno psicoanalista amico di Fornari e dei tempi che furono. Mi innamorai di lui anche perché era romagnolo, era sanguigno, gli piacevano le donne e gli piaceva bere era uno psicoanalista un po’ particolare molto molto energico, con un amore straordinario per l’essere umano e lì mi sono innamorato. Io sono sociologo di origine, non sono nato psicologo e psicoterapeuta, lo sono diventato poi e gli chiesi: “Ma secondo te io posso diventare psicoanalista?” e lui mi disse: “Madonna certo c’hai una stoffa! Toh, leggi questo!” e mi diede da leggere Donald Meltzer, uno psicoanalista inglese kleiniano. Tre libri insopportabili, io li ho letti per amore di Gino Pagliarani, ma quando sono arrivato da lui gli ho detto: “Senti, ma questa qui io non ce la faccio, è una roba troppo intellettuale!” e così mi stavo disamorando. Un giorno lessi l’Analisi Transazionale e capii tutto, mi entusiasmai soprattutto della frase che c’è all’inizio del libro Io sono ok tu sei ok che dice così: “Io mi contraddico, sono ampio, contengo moltitudini” che un verso di White White e su questa moltitudine di Io che abbiamo dentro di noi io mi sono entusiasmato e ho cominciato la scuola così e sono diventato psicoterapeuta.
LM: Quindi è importante sicuramente leggere, i libri possono veramente cambiare il corso della nostra vita…
GP: In positivo ed in negativo, possono anche frenare il tuo entusiasmo… è importante che i ragazzi facciano diverse “capatine”, non vadano a vedere soltanto una scuola, ma che ne vedano diverse. Io non avrei potuto fare lo psicoanalista, sono troppo amante della vita, bisogna anche trovare il tipo di postazione confacente al proprio spirito e al proprio modo di essere … poi molto fanno la passione e la voglia di lavorare bene. E’ importante non fermarsi solo in una scuola, noi di solito consigliamo ai nostri allievi di fare bene la base di Analisi transazionale, come abbiamo fatto tutti noi del centro Berne. Adesso siamo 14 – 16, eravamo solo 6 o 7 prima e tutti noi abbiamo fatto un po’ bioenergetica, un po’ gestalt un po’ psicoanalisi, ne facciamo continuamente perché è importante vedere cosa fanno gli altri. C’è molto da imparare in giro, però vedo che talvolta i ragazzi tendono a mescolare le cose. Si può diventare eclettici, però bisogna passare un po’ di anni, prima bisogna imparare a fare bene una certa scuola, quando l’hai imparata bene ci si pensa, la vita è lunga…
LM: Giorgio ti ringrazio tantissimo per la tua disponibilità e chiarezza, ci sentiamo presto.
GP: Mi fa piacere far parte di queste cose, grazie a te ciao…