L’audizione protetta: cosa fare e cosa no
L’audizione protetta: cosa fare e cosa no
L’audizione protetta è una forma particolare di udienza in cui viene ascoltato un minore (di anni 16) presunta vittima di reati di natura sessuale.
Siamo in fase di incidente probatorio, in cui avviene l’assunzione della prova. La testimonianza del minore viene raccolta con l’ausilio di un esperto in psicologia dell’infanzia che ha il compito di facilitare la raccolta delle dichiarazioni del minore. L’audizione protetta si dovrebbe svolgere in uno “spazio neutro” cioè un luogo in cui il minore possa sentirsi tranquillo e tutelato.
L’audizione si svolge in una sala con vetro-specchio unidirezionale e sistema di audio-video registrazione. Nella sala adiacente possono assistere attraverso il vetro il Giudice, gli avvocati di parte, i consulenti, i genitori della presunta vittima, il presunto abusante. Di solito le due sale sono intercomunicanti mediante citofono attraverso il quale il Giudice rivolge le proprie domande e quelle delle parti allo psicologo che, a sua volta, le trasformerà, se necessario, in un linguaggio consono all’età del minore per facilitarne la comprensione.
L’audizione protetta dovrebbe essere sempre audio-video registrata per “congelare” la testimonianza del minore, cercando di evitare, così, altri interrogatori che potrebbero provocare ulteriore e maggiore stress psicofisico e alterare la qualità e la quantità dei ricordi.
Che cosa fare:
- Valutare preliminarmente il livello cognitivo e di maturazione linguistica del minore
- Tarare le domande sulla base del livello di comprensione linguistica del minore
- Non usare domande suggestive
- Far raccontare la vicenda dalla fine all’inizio e dal mezzo alla fine e così via.
- Fare domande specifiche per focalizzare il contesto spazio-temporale (quando, dove etc.)
Che cosa non fare:
- Formulare domande suggestive
- Non far fare una narrazione spontanea degli eventi
- Fare domande troppo complesse rispetto al livello di maturazione linguistica del minore.
C’è differenza tra l’ascoltare ed il sentire?
Il sentire, da un punto di vista lessicale, indica un atto più funzionale, un percepire mantenendo le distanze, non entrando in contatto con la persona; l’ascolto invece, indica una modalità più incisiva, più presente da parte dell’ascoltatore che deve prestare la giusta attenzione, quella che il soggetto gli richiede per esser realmente capito e compreso. Chi ascolta deve saper anche prestar attenzione ai silenzi, all’espressione del volto, allo sguardo del soggetto che sta parlando. Inoltre colui che ascolta deve esser disposto, qualora se ne ravvisasse la necessità, a modificare un’eventuale prima opinione che si è fatto.
La parola “ascolto”, che è sicuramente uno dei punti cardine di qualsiasi intervento, sia se si sta svolgendo una consulenza, una terapia, un’analisi psicodiagnostica o un altro tipo di valutazione.
È proprio il saper ascoltare una delle capacità più importanti che si deve avere.
Ma qual è la metodologia migliore che dobbiamo adottare, soprattutto quando ci troviamo di fronte a un minore?
L’intervento nel contesto giuridico, che sia nell’ambito penale che nel civile, prevede l’ascolto del minore, mediato dalla figura dell’esperto.
Nel contesto penale l’ intervento viene specificato con la legge n.66/96 nell’art. 14 “l’audizione protetta”, che introduce le modalità particolari di assunzione della prova nel caso di incidente probatorio, nei casi in cui è presente un minore di anni 16, per esempio qualora si proceda per l’accertamento di un reato sessuale.
Elemento da considerare nell’ascolto del minore è la facilità con cui il bambino può esser suggestionato, forse uno degli aspetti più problematici nella sua deposizione. Infatti il ricordo degli eventi può essere falsato per le deformazioni indotte dalle suggestioni che, più o meno volontariamente, vengono fornite dalle persone vicine al minore o comunque dalla persona che l’ha ascoltato per la prima volta.
Tali ascolti possono inquinare l’attendibilità della testimonianza resa.
È evidente che questi fattori di disturbo aumentino con il crescere delle occasioni che sono date al minore per rielaborare le informazioni in suo possesso.
L’esperto, a tal proposito, deve: analizzare, primariamente, se il minore è in grado di differenziare i suoi pensieri e sentimenti dai dati reali e se è in grado di cogliere il significato della sua posizione di testimone; appurare, in un secondo momento, l’influenza delle valenze affettivo-emotive sulle funzioni della memoria e sulle sue capacità di giudizio morale specie in relazione alle sue concezioni di verità e bugia.
Occorre, dunque, esaminare la qualità delle relazioni intercorrenti nel nucleo familiare e il valore attribuito da tutti i componenti della famiglia alla testimonianza della presunta vittima e, soprattutto, valutare le possibili influenze positive e negative che i genitori potrebbero trarre da tale deposizione.
Teresa Lamanna