Come dire a un bambino che il genitore è malato di cancro?
26 Luglio 2013 2016-07-27 17:05Come dire a un bambino che il genitore è malato di cancro?
Psiconcologia e bambini
Continuo in questo articolo l’argomento della gestione di una malattia grave all’interno della famiglia (in particolare mi riferisco ai tumori), focalizzando l’attenzione sulla comunicazione da tenere per comunicare a un figlio la malattia di un genitore.
La prima precisazione da fare a questo proposito è relativa al “chi deve dirlo”: è importante che non siano persone estranee al bambino (assistenti sociali, psicologo, medici eccetera) ma un famigliare da cui il ragazzo possa sentirsi rassicurato.
Per decidere quale tra i famigliari sia la persona più adatta bisogna prendere in considerazione diversi fattori. Il consiglio è quello di studiarli a tavolino insieme a uno psicologo capace di comprendere le dinamiche in atto nella famiglia, i diversi stati d’animo dei protagonisti e la presenza eventuale di “rappresentazioni di eternità” che andrebbero scoraggiate (per approfondimenti sul tema rimando alla sezione psico-oncologia di questo sito).
Solitamente succede che a farsi portavoce sia il genitore non malato. Non sempre questa è la decisione ottimale. Se il genitore malato è consapevole della malattia e ha accettato la prognosi infausta superando una serie di fasi di elaborazione, infatti, potrebbe essere la persona più adatta quantomeno a lanciare dei messaggi al bambino.
Sul “come dirlo”, la risposta varia da caso a caso e dipende anche dall’età del bambino. E’ importantissimo rivolgersi a un terapeuta per essere aiutati in questa decisione e trovare le parole giuste da utilizzare. Se è un adolescente si possono dire le cose come stanno (ovviamente con la dovuta sensibilità) mentre se il destinatario è un bambino occorre prestare attenzione a più aspetti, pur tenendo presente che la cosa più difficile non sarà tanto dire al bambino i “fatti” clinici, quanto rispondere alle nuove domande che saranno poste a seguito della rivelazione.
A un bambino fino ai 5/6 anni di età si dice quello che per lui è già evidente, cioè che il papà, ad esempio, è molto malato, che sta lottando contro la malattia, prendendo le medicine e facendo tutto quanto il possibile. Il bambino molto piccolo deve sapere anche che non è colpa sua se il papà si è ammalato: non è successo perché ha fatto il cattivo, ma perché le persone si ammalano indipendentemente da quello che succede intorno a noi.
Fondamentale è anche rassicurarlo sul peggiorare dell’aspetto fisico del genitore (soprattutto in caso le modificazioni siano palesi): “anche se cambierà il suo fisico e il suo umore continua ad essere tuo padre”, così come incoraggiarlo ad esprimere le proprie emozioni. Quando i bambini tacciono e non fanno domande, infatti, non è solo per paura ma anche per proteggere il genitore sopravvissuto, evitando così di sollecitare il suo dolore. Appare tuttavia superfluo dire che in queste situazioni è il bambino a dovere essere protetto prima ancora del genitore.
Non è necessario dire a un bambino così piccolo che il papà morirà: lo sentirà appena successo o nell’imminenza dell’evento.
In aggiunta al dolore causato dalla perdita del genitore, il bambino avrà anche la paura grande che il genitore sopravvissuto possa morire da un momento all’altro. Sebbene non si possano mai dare delle certezze a questo proposito, è necessario rassicurarlo.
Quando devo preoccuparmi per mio figlio?
Se il bambino mostra segni di disagio che vanno oltre un lutto fisiologico occorre inviarlo da uno psicoterapeuta infantile. Di norma il bambino mostra segni di disagio più gravi di quello fisiologico quando il genitore superstite fatica ad affrontare la situazione, mentre se riesce a mantenere un assetto equilibrato (pur nel dolore e nell’angoscia) il bambino si sente più rassicurato e cadrà più difficilmente nella patologia del lutto.
Il lutto patologico nel bambino si vede dalla comparsa di disordini comportamentali (non devono essere presenti) oppure disordini alimentari (questi talvolta possono comparire sotto forma di somatizzazioni gastriche senza preoccupare, ma il campanello d’allarme segnale di possibile patologia è quando le somatizzazioni sono simili alla sintomatologia del genitore malato).
Vanno tenuti sotto controllo anche i bambini che non fanno domande, così come quelli che non vogliono più stare con il genitore malato. Quest’ultima non è un’eventualità così rara, specie quando i cambiamenti nel genitore sono particolarmente evidenti: non bisogna in questi casi forzare il bambino all’incontro ma parlare con lui di questa cosa, cercando di ascoltare i perché di questo suo timore, sapendo che il rifiuto di vedere il genitore malato si potrà trasformare più avanti in senso di colpa per non averlo salutato. Non si deve, però, nemmeno arrivare al punto per cui il bambino abbia come ultimo ricordo del genitore un’immagine straziante: occorre sempre trovare un giusto equilibrio.
Luca Mazzucchelli
Psicologo Milano