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Viaggio in un buio illuminante… (parte 2)

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Viaggio in un buio illuminante… (parte 2)

buioViaggio nel buio, seconda parte

Anche questo articolo ha nel titolo le parole buio e viaggio, perché è l’ideale prosecuzione del precedente. Ed è proprio dai viaggi che vorrei partire, dai viaggi all’inferno! Ma poi andremo oltre…. In quanti sono scesi agli inferi?

L’epica ci tramanda che Odisseo è sceso per incontrare l’ombra dell’indovino Tiresia, Enea è sceso insieme alla Sibilla Cumana, Dante con la sua guida Virgilio. E di nuovo la mitologia greca e romana ci illustrano alcuni dei viaggi.

 

Persefone, ad esempio, figlia di Zeus e di Demetra, venne rapita da Ade, dio dell’Oltretomba, che la portò negli Inferi per sposarla, ancora fanciulla, contro la sua volontà. Una volta lì, le venne offerta della frutta ed ella mangiò, senza appetito, solo sei semi di melograno. Persefone ignorava, però, il trucco di Ade: chi mangia i frutti degli Inferi, è costretto a rimanervi per l’eternità.

 
La madre, dea dell’agricoltura, che prima di questo episodio procurava agli uomini interi anni di bel tempo e fertilità delle terre, reagì adirata al rapimento, impedendo la crescita delle messi e scatenando un inverno duro che sembrava non avere mai fine.
Con l’intervento di Zeus si giunse ad un accordo per cui, visto che Persefone non aveva mangiato un frutto intero, sarebbe rimasta nell’Oltretomba solo per un numero di mesi equivalente al numero di semi da lei mangiati, potendo così trascorrere con la madre il resto dell’anno. Demetra, quindi, accoglieva ogni volta con gioia il ritorno di Persefone sulla Terra, facendo rifiorire la natura in primavera ed in estate: i Greci si spiegavano così l’alternarsi delle stagioni. Ecco l’emergere, il crescere, alla luce, in contrapposizione al buio dell’Inferno nel quale era costretta a vivere per sei mesi. E’ evidente, infatti, come i sei mesi autunnali e invernali siano anche quelli più bui, mentre quelli primaverili ed estivi i più luminosi.
Euridice, invece, era una driade, una ninfa dei boschi. Sposò Orfeo e morì per il morso di un serpente mentre camminava in un prato. Secondo Virgilio e Ovidio, ella cercava di sottrarsi alle attenzioni di un dio, Aristeo. Orfeo, disperato, cantò canzoni così cariche di disperazione che tutte le ninfe e gli dei ne furono commossi. Gli fu consigliato di scendere nel regno dei morti per tentare di convincere Ade e Persefone a far tornare in vita la sua amata. Così fece, le sue canzoni fecero persino piangere le Furie!
Ade e Persefone si convinsero quindi a lasciare andare Euridice, a condizione che Orfeo camminasse davanti a lei e non si voltasse a guardarla finché non fossero usciti alla luce del sole. Quando però Orfeo non udì più i passi della moglie, si voltò per guardare se lo stesse ancora seguendo e vide l’anima di Euridice sprofondare nell’Ade. Ed ecco, questa volta, un non ritorno, ma un permanere nel buio di qualcuno che comporta la sofferenza per qualcun altro, e per sempre.

Buio, depressione e malinconia

Anche depressione e malinconia si possono spiegare con la metafora della discesa agli inferi. Uno storico, conducendo un’indagine riferibile a 2500 anni sugli atteggiamenti verso la malinconia e la depressione, ha concluso che le due immagini più ricorrenti che rinviano a questi stati sono “essere immersi nell’oscurità ed essere oppressi da un enorme peso” (Jackson, 1986). Il familiarizzarsi con l’atmosfera infera, aiuta psicologicamente ad accettare il mondo alieno in cui si precipita durante le fasi di depressione, disillusione, dubbi esistenziali o passaggi vitali importanti. Al riguardo, è emblematico il modo in cui Paolo Mauri spiega gli stati depressivi. “Essere depressi è appunto una forma dell’essere sulla quale nulla incide. Il depresso è lucido, sa che cosa sta attraversando. Si nutre di psicofarmaci nel tentativo di uscire dall’impasse, vorrebbe trovare la ragione, ma la ragione non c’è. Se ci fosse una ragione vera, la depressione sarebbe facilmente eludibile: basterebbe il buon senso, la consolazione, il diversivo, ad abbassarne il tasso. Invece essa è un buio in presenza di luce. Il depresso vede tutto, ma non sa che farsene. È morto mentre è vivo, lo sa e soffre terribilmente.” (Mauri, 2007).

L’altra faccia della medaglia

Grazie al cielo, non esiste solo un buio terrificante, infernale, pauroso. C’è, ad esempio, il buio che precede il mattino nel quale si immerge chi va a lavorare presto. Questo buio è domestico, pieno di rumori e profumi famigliari, tipico di una città che si sta svegliando. Qui si incontrano gli ultimi che vanno a dormire e i primi che si sono alzati. In questa oscurità di certo non si incontreranno creature infere o mostruose!
E anche le tenebre, non sempre sono così oscure. La luce della notte, la luna, rende l’atmosfera particolare, quasi magica, e l’oscurità esalta la profondità e le mille luci del firmamento, che invitano al sogno, al desiderio, aprendo il nostro sguardo sull’Infinito.

Buio, cinema e teatro

E cosa dire di cinema e teatro?
Entrambi presuppongono che lo spettatore guardi, dal buio, le azioni che si svolgono sullo schermo o sul palcoscenico illuminati. Il cinema, in particolare, è una realtà a sé: spesso lo spettatore si reca al cinema da solo, l’intervallo illumina la sala disturbandolo, ed egli spera che il buio lo inghiotta nuovamente, per potersi sottrarre alla curiosità dei vicini di posto e tornare alla realtà totale del film, che si può abbandonare definitivamente solo quando lo spettacolo termina: a questo punto ci si sente autorizzati ad uscire dal buio, e a tornare alla quotidiana realtà.
Inoltre, il buio favorisce l’equivoco che presiede alle situazioni comiche. E’ il momento più propizio per infliggere ad altri ciò che non si aspettano, o per compiere gesti sbagliati, credendo in buona fede di non averli affatto compiuti. Ma, spiega Mauri, in questi casi il buio è soprattutto quello mentale, indotto dalla stupidità o scioccaggine di alcuni personaggi, fatti apposta per essere oggetto di burle, anche pesanti. “La comicità usa il buio, (il non vedere, e il non sapere per traslato), come un bersaglio facile. La risata che ne scaturisce si fonda sul gusto della sorpresa fatta al malcapitato (lo spettatore o lettore è naturalmente in salvo, in territorio neutro rispetto al luogo dell’azione), e sulla crudeltà di chi si gode le altrui sciagure. Una crudeltà soft, s’intende, che tuttavia è necessaria per cogliere il senso delle beffe e gustare il danno del beffato.” (Mauri, 2007).

Buio e nuove tecnologie

Immaginiamo, solo a titolo di esempio, cosa succede ogni volta che c’è un black out nelle nostre case. La società moderna è vulnerabile a queste improvvise interruzioni di luce, perché si fermano le attività governate dall’elettricità che, ormai, sono praticamente tutte: si bloccano gli ascensori che impediscono di arrivare comodamente all’ultimo piano di un grattacielo, i mezzi di trasporto per la maggior parte si interrompono, i telefoni cordless si disattivano, i frigoriferi si spengono, riscaldamenti e acqua calda sono inutilizzabili, e i computer e gli archivi elettronici diventano inaccessibili, con tutte le conseguenze del caso. Ecco che la paura di restare al buio è comprensibile, oltre che giustificata. Ma, andando oltre, ecco che è l’umanità stessa ad aver creato un legame così stretto con l’elettricità.

Per concludere vi propongo un gioco. Immaginate che per una settimana tutti fossimo senza elettricità, scegliete voi la stagione, come si potrebbe ovviare alla cosa? Sentite come hanno risolto un problema analogo i ragazzi della Banda Bardò nella canzone “Lo sciopero del sole”.

Chiara Schiroli

Bibliografia
Jackson S.W.,  “Melancholia and Depression: From Hippocratic Times to Modern Times”. New Haven/London, Yale University Press, 1986.

Mauri P., “Buio”. Einaudi 2007.

 

 

 

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