L’obesità, una delle problematiche mediche maggiormente rilevanti della nostra epoca, è spesso accompagnata da complicanze di ordine psicopatologico, quali il Disturbo da Alimentazione Incontrollata (Binge Eating Disorder, BED) caratterizzato dall’alternanza di periodi di digiuno e momenti in cui l’individuo si abbandona completamente al piacere delle abbuffate. Contrariamente a quanto avviene per la Bulimia Nervosa, l’assenza di condotte compensatorie (es. uso di lassativi, vomito autoindotto, ecc.) porta inevitabilmente il soggetto ad aumentare di peso.
Tra gli ormai innumerevoli mali dell’ultimo secolo, in cui culto e percezione del corpo assumono importanza rilevante, oltre ad Anoressia Nervosa e Bulimia Nervosa, è il caso di aggiungerne altri, non meno importanti e preoccupanti. Tra questi la BIGORESSIA.
Tale termine medico trova la sua origine etimologica nell’inglese “big” = grande e nel latino “orex” = appetito, ad indicare la “fame di grossezza”, ovvero il desiderio di possedere un corpo sempre più muscoloso e asciutto, il tutto accompagnato da cronica insoddisfazione per il proprio aspetto fisico e ossessivo timore di perdere il proprio stato di “perfetta” forma fisica, raggiunta in seguito ad anni di duro allenamento, diete e sacrifici.
Nonostante siano in netto aumento i casi di maschi che soffrono di disturbi alimentari, questa patologia colpisce soprattutto le donne.
Dato che, negli articoli precedenti, Alessia Besana ha evidenziato un legame tra questi disturbi e gli aspetti sociali caratteristici di una determinata epoca, oggi ci soffermiamo su uno dei motivi del progressivo e recente aumento di queste patologie: il ruolo che oggi si attribuisce alla donna.
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Luca Mazzucchelli
L’anoressia e la bulimia sono patologie in cui il processo d’integrazione dell’identità “devia da un progetto psicologicamente e culturalmente adeguato” (Confalonieri, Gavazzi, 2002) per seguire un percorso d’insicurezza che riflette non solo caratteristiche individuali,
Negli articoli precedenti avevo già accennato che la funzione del padre ha un carattere simbolico e non biologico come invece, quella materna. In particolare si può sostenere che “non è possibile parlare di padre, se non in rapporto alla cultura” (Lo Castro, 1997): già all’epoca dei romani il padre veniva dimostrato dalle nozze, evento specificatamente culturale e sociale (Lo Castro, 1997) e ancora oggi, l’atto di cedere il proprio cognome al figlio rappresenta l’instaurazione di un legame di tipo sociale.
Freud ha lavorato ampiamente sulla funzione paterna e l’ha ricondotta al meccanismo edipico: il padre è colui che vieta il rapporto con la madre al figlio, ponendo quindi un divieto al godimento senza limite (Lo Castro, 1997). Il padre introduce “quell’elemento che fa cadere l’illusione di un accesso senza limiti al godimento. Quel limite che l’anoressia si sforza di tenere ben saldo e che la bulimia cerca disperatamente di stabilire” (Lo Castro, 1997).
Dopo avere analizzato il declino della funzione paterna in questo precedente aritoclo, Alessia Besana analizzare gli effetti che ciò porta con sé e che si manifestano attraverso nuove forme di sintomo (Manzetti, 1999). Per dirla con le parole di Lacan (1984) “un grande numero di effetti psicologici ci sembrano dipendere da un declino sociale dell’imago paterna”.
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Luca Mazzucchelli
In Il disagio della civiltà, Freud scrisse che “l’iscrizione dell’uomo nel campo della civiltà esige una rinuncia pulsionale” (Freud, 1971). Così dicendo, il padre della psicoanalisi afferma che è paradossalmente la funzione del limite che permette l’accesso al piacere. La condizione per appartenere a una comunità umana è quella di rinunciare ai propri soddisfacimenti pulsionali: è proprio questa la funzione principale del padre, quella di porre un limite al soggetto in modo da trasmettergli l’impossibilità di avere tutto e in modo da aprirgli l’accesso all’altro, al mondo della cultura (Lo Castro, 1997). Oltre alla funzione paterna occorre analizzare i cambiamenti sociali avvenuti ultimamente:
In questo articolo la collega Alessia Besana parla della figura paterna e del suo evolversi nel corso degli ultimi anni. Un cambio di ruolo importante che avrà, nel bene e nel male, delle conseguenze sulla psicologia dei figli.
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Luca Mazzucchelli
L’impallidire dell’immagine paterna è un fenomeno riscontrato da Mitscherlich già negli anni ‘70: è un fenomeno che nasce dal fatto che la funzione educativa che il padre ricopre nella nostra civiltà è caratterizzata dalla scomparsa del padre come figura attiva (Mitscherlich, 1970).
La relazione padre-figlio non si fonda su basi di tipo biologico, come avviene nel caso della madre, ma è di carattere simbolico così da rientrare nel campo della cultura (Ferrari, 1995). E’ per questo carattere sociale che contraddistingue la funzione paterna che essa subisce le influenze dei mutamenti della società: dato che ultimamente gli scenari culturali e socio-politici stanno andando incontro a radicali sconvolgimenti (Brutti, Parlani, 1995) si può immaginare come anche la funzione paterna possa essere soggetta a rilevanti modificazioni.