Problemi alimentari e abusi emozionali
Problemi alimentari e abusi emozionali
Cibo ed emozioni
La letteratura (Kent e Waller, 2000) suggerisce come esistano discrete evidenze relative all’associazione tra l’abuso emozionale e la patologia del comportamento alimentare. In uno dei numerosi studi volti a confrontare direttamente l’associazione esistente tra differenti tipi di trauma e i disturbi del comportamento alimentare, Kent, Waller, & Dagnan (1999) hanno dimostrato come l’abuso emozionale abbia maggiore probabilità, rispetto all’abuso fisico e all’abuso sessuale, nel determinare lo sviluppo di un disturbo del comportamento alimentare.
Waller e collaboratori (2007) propongono il concetto di invalidazione emozionale per spiegare come l’abuso emozionale può avere effetto sulle vittime, determinando un disturbo alimentare.
Quando l’invalidazione emozionale ha luogo, l’esperienza emozionale dell’individuo viene ignorata, o riceve risposte incongruenti e inappropriate: in tal modo l’individuo percepisce come le proprie esperienze emozionali e il proprio stress vengono minimizzati e trattati con indifferenza. Un esempio di invalidazione emozionale può essere osservata nei bambini vittime di abuso sessuale, quando viene loro detto che stanno traendo piacere da un’attività nei confronti della quale, in realtà, essi non provano tale emozione, ma anzi un’emozione opposta; o ancora, quando viene detto al bambino che non dovrebbe provare paura o dolore quando mette in atto determinati comportamenti. L’esperienza di invalidazione emozionale può essere sperimentata però dal bambino anche in un contesto di abuso fisico ed emozionale, e addirittura anche in assenza di una forma manifesta e ben identificabile di abuso.
La Waller (2007) sottolinea in particolare come, in buona parte dei casi da lei osservati, i pazienti con disturbi del comportamento alimentare provengano da ambienti familiari in cui ha avuto luogo un processo di invalidazione emozionale. Esperienze di invalidazione emozionale vissute sia nei primi momenti dello sviluppo, sia nei successivi, possono avere una serie di manifestazioni tra cui difficoltà nel tollerare lo stress, inibizione emozionale e alessitimia.
L’elemento comune consiste in una profonda difficoltà manifestata dal soggetto nell’identificare e nell’etichettare le esperienze emotive sulla base delle sole esperienze interne (pensieri e stati psicologici). Come risultato di risposte incongruenti da parte del caregiver, l’individuo impara a non fidarsi delle proprie reazioni agli eventi, e, al contrario, a cercare suggerimenti nell’ambiente (ad es. le espressioni facciali dei genitori) per comprendere quale sia la risposta più appropriata. Inoltre, poiché l’individuo non impara a tollerare gli stati emozionali negativi (e dunque non ha la possibilità di identificare delle risposte adattive a tali stati), potrebbe imparare a reprimere le proprie emozioni, manifestare comportamenti estremi allo scopo di suscitare una reazione da parte delle figure parentali, o esibire strategie di evitamento per fronteggiare emozioni opprimenti o complesse (Waller et al., 2007).
Entrando più nello specifico l’inibizione emozionale può essere definita come una inibizione eccessiva di azioni, sentimenti e comunicazioni spontanei. Le sue principali funzioni possono essere quella di evitare la disapprovazione da parte di altri, di evitare sentimenti di vergogna, oppure di evitare la perdita di controllo degli impulsi (Young, Klosko, & Wieshaar, 2003). Mentre l’inibizione emozionale si configura come un processo messo in atto coscientemente da parte del soggetto, l’alessitimia può essere definita come l’inabilità di esprimere le proprie emozioni e sensazioni dovuta ad una mancanza di consapevolezza emozionale.
Hund & Espelage (2006) hanno riscontrato l’esistenza di una relazione statisticamente significativa tra abuso emozionale subito in infanzia e i disturbi del comportamento alimentare, nella quale gioca un ruolo importante anche la presenza di alessitimia. Tali elementi di impoverimento emozionale possono essere considerati come strategie adattive che l’individuo sviluppa allo scopo di controllare e affrontare ambienti disfunzionali da un punto di vista emozionale; per questi individui, infatti, questa può essere la più sicura, o addirittura la sola via per gestire le proprie emozioni, e per evitare il rischio di suscitare emozioni e reazioni inappropriate da parte dei genitori e il conseguente rifiuto da parte dei medesimi. In età adulta, tale stile di fronteggiare gli eventi stressanti perdura, fino a configurarsi come una strategia mal adattiva; in particolare, le abilità di gestione delle emozioni così compromesse possono esacerbare le reazioni di stress. Alcuni studi iniziali (Mountford et al., 2007) suggeriscono che una scarsa tolleranza allo stress ha un ruolo importante nella relazione tra un ambiente invalidante e la psicopatologia del comportamento alimentare, la quale può anch’essa assolvere ad un funzione di contenimento delle emozioni (Meyer, Waller, & Waters, 1998). A supporto di tale considerazione, Corstorphine, Waller, Lawson, & Ganis (2007) hanno mostrato come pazienti con disturbi alimentari che riportano una storia di abuso emotivo subito durante l’infanzia, manifestano, in comorbilità con i DCA, un numero notevolmente maggiore di comportamenti compulsivi, i quali assolvono ad una simile funzione di regolazione degli affetti, rispetto ai pazienti che non riportano esperienze di analogo abuso.
Francesco Panzeri
Bibliografia
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• Young, J. E., Klosko, J. S., & Weishaar, M. E., Schema therapy: A practitioner’s guide, New York: Guilford, 2003
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