Come fronteggiare la crisi lavorativa – Cesare Kaneklin
Cesare Kaneklin è Professore Ordinario di Psicologia del Lavoro e delle organizzazioni, insegna Psicosociologia clinica dei gruppi e delle organizzazioni e Psicologia della progettazione e valutazione della formazione presso la Facoltà di Psicologia dell’Università Cattolica di Milano. Insegna inoltre Psicologia del Lavoro presso la Facoltà di Psicologia dell’Università Cattolica di Brescia.
E’ socio fondatore dello Studio di Analisi Psicosociologica di Milano, che dal 1973 promuove lavori di ricerca teorica ed applicata relativa al metodo ed agli strumenti della formazione degli adulti e dell’intervento psicosociale nelle organizzazioni.
Indice
01:10 La crisi lavorativa è reale? E’ vero che non c’è lavoro?
03:17 Quali aspetti di opportunità nel contesto odierno?
03:59 La cooperazione: significato e perché è difficile cooperare.
07:42 Meglio competere o collaborare?
08:20 Come le nuove tecnologie cambieranno il panorama lavorativo futuro?
11:54 Se non si lavora è colpa dell’individuo o dello stato sociale?
14:30 Un consiglio per chi oggi non trova lavoro.
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Sbobinatura intervista
Luca Mazzucchelli: Il problema del lavoro oggi è sulla bocca di tutti, alcuni parlano di un mercato in crisi, altri invece di una situazione in cambiamento da leggere nei suoi aspetti di risorsa e di complessità. Il tema è delicato tanto quanto inflazionato, di questo oggi ne parlo con uno psicologo che ha grande esperienza in questo ambito: il professore Kaneklin, che è professore ordinario di psicologia del lavoro e delle organizzazioni nell’Università Cattolica del Sacro Cuore qui a Milano. Prof, grazie per la sua disponibilità.
Cesare Kaneklin: Prego …
La crisi lavorativa è reale? E’ vero che non c’è lavoro?
LM: Prima domanda: Einstein diceva che la crisi comporta sempre al suo interno un qualche aspetto di opportunità, chiaramente occorre avere le capacità per trovarla questa opportunità. Volevo chiederle se vede anche lei questa crisi lavorativa di oggi e in caso quali possono essere le opportunità nell’odierno contesto lavorativo …
CK: Io vedo soprattutto le opportunità da un lato, dall’altro vedo la paura e lo sconforto che le persone che cercano lavoro in qualche modo presentano ed è uno sconforto che è indotto soprattutto dai mass media, dai genitori, dagli adulti,ma soprattutto dei mass media che confondono continuamente la diminuzione dei posti di lavoro con il lavoro. Quello che è certo è che c’è una diminuzione dei posti di lavoro, basta pensare ai contratti a tempo indeterminato. Questo non significa che manchi il lavoro, anzi, di lavoro ce n’è nel senso che le evidenze che in qualche modo sono rappresentate dalle persone che riescono ad inserirsi nel mondo del lavoro vanno in questa direzione. Questa confusione fra posti di lavoro e lavoro rende difficile uscire da questo dilemma: “ Ma il lavoro c’è? Il lavoro non c’è?” Per vedere che il lavoro c’è, si tratta soltanto di costruirlo. Un conto è andare e trovare un posto di lavoro, un conto è rendersi conto che ci sono domande del mercato di lavoro, domande del sociale, possibilità che hanno bisogno di un processo attivo di costruzione del lavoro. Da questo punto di vista bisogna uscire da questi luoghi comuni, un altro luogo comune è chiedersi se valga la pena di laurearsi o no e molti dicono che no, non ne vale la pena di laurearsi. Tutti i dati oggettivi ci dicono che non alla laurea, ma qualche anno dopo c’è una grossa differenza in termini di occupazione lavorativa e di ritorno economico tra laureati e diplomati e quindi bisogna uscire un po’ da questi luoghi comuni.
Quali aspetti di opportunità nel contesto odierno?
LM: Possiamo dire che gli aspetti di opportunità stanno dentro al modo che noi abbiamo di vedere questa situazione?
CK: Sì, se riusciamo a vederli, nel senso che le opportunità ci girano attorno ma non riusciamo a coglierle, non riusciamo a cogliere le nostre competenze, le nostre capacità e opportunità e occasioni che sono rappresentate dal mondo del lavoro che cambia molto rapidamente.
La cooperazione: significato e perché è difficile cooperare.
LM: In un mondo del lavoro che cambia sempre di più e che ci invita sempre di più per certi versi anche a competere, ad eccellere, a differenziarci, Lei invece prof punta il dito nella direzione della cooperazione. Che cosa vuol dire cooperare e come mai per molti è così difficile approdare a questa idea?
CK: Essere competitivi è il nostro passato nel senso che i nostri genitori, i nostri nonni hanno fondato la loro carriera lavorativa sulla competizione quindi questo è un dato culturale che in qualche modo ciascuno di noi ha interiorizzato e quindi è difficile anche cambiare. Quel che è certo è che uno dei rischi più grossi che riguarda proprio il nostro futuro è la solitudine. Se uno resta solo non ce la fa ad affrontare la complessità di questi cambiamenti continui. La fatica è la difficoltà ad uscire da un dato culturale diffuso che è quello dell’ individualismo, ma anche rendersi conto che certe forme di lavoro ci isolano, il lavoro a casa ha una serie di vantaggi, ma è anche una fonte di isolamento. Le nuove tecnologie ci rendono possibile questo, ma è un grosso rischio. Io conosco un medico di prim’ordine che è entrato in crisi perché faceva supervisione ad equipe internazionali per interventi chirurgici molto delicati da casa sua. Pian piano casa sua è diventato il suo luogo di vita e pian piano si è isolato. In questa direzione va anche l’idea di farcela da soli, la difficoltà di chiedere … In questa direzione va anche il mito delle libere professioni, anche gli psicologi hanno un po’ questa idea, lo psicologo libero professionista secondo il modello ottocentesco che consentiva questa forma di isolamento. Io credo che se il lavoro è da costruire allora il lato positivo di un futuro creativo sta proprio nel rendersi conto che le proprie capacità si potenziano in funzione del sistema di relazioni che si hanno con gli altri, che la partecipazione sociale non diventa una forma di volontariato, è una necessità per riuscire a vivere in questa società dove i cambiamenti continuamente ci cadono addosso e noi rischiamo di considerarci come delle vittime di questi cambiamenti. Credo che oggi in assenza o in riduzione dei posti di lavoro imparare a lavorare con gli altri su problemi, in situazioni specifiche, dentro processi anche immaginativi sia la strada non solo per l’individuo, ma anche per le nostre organizzazioni. Le piccole e medie aziende italiane che hanno successo ce l’hanno per la loro capacità innovativa, penso al manifatturiero del Veneto e nel bresciano, per la loro capacità innovativa rispetto ai luoghi di produzione che ormai sono la Cina e l’India quindi vale per l’individuo singolo, ma vale anche per le aziende riuscire a lavorare in rete con altre organizzazioni.
Meglio competere o collaborare?
LM: Un vecchio adagio diceva “ Chi va da solo va veloce, chi va in compagnia va lontano” possiamo dire che sia ancora molto attuale …
CK: Possiamo dire di sì perché lavorare con altri significa anche fermarsi, pensare, guardare insieme, guardare lontano, non agire in modo reattivo ma proattivo rispetto ad una realtà che cambia molto rapidamente… E’ un passaggio culturale rilevante rispetto ai modelli che abbiamo interiorizzato nel nostro passato.
Come le nuove tecnologie cambieranno il panorama lavorativo futuro?
LM: Tra i vari passaggi culturali che sono in atto c’è il tema delle nuove tecnologie. In che modo le nuove tecnologie stanno cambiando e cambieranno sempre di più il panorama lavorativo?
CK: Le nuove tecnologie sono al primo posto tra le 5/6 forze che in 10-15 anni cambieranno completamente il mondo del lavoro. Queste forze sono le nuove tecnologie, la globalizzazione e globalizzazione vuol dire 5miliardi di persone interconnesse grazie alle nuove tecnologie. Un cambiamento epocale, fra dieci anni saremo tutti interconnessi ….
LM: Al pari della rivoluzione industriale …
CK: Al pari della rivoluzione industriale sì … siamo ad un passaggio critico che in qualche modo ricorda la prima rivoluzione industriale, poi la seconda rivoluzione industriale … adesso siamo ad un altro salto che in dieci anni si renderà molto evidente anche se già lo notiamo. Le forze dicevamo sono quindi le nuove tecnologie, la globalizzazione, la demografia e la longevità che sta cambiando il mondo …
LM: Certo, certo …
CK: I risparmiatori oggi sono gli ultra settantenni, persone che lavorano come me fino ad ottant’anni sono in aumento e rischiano di essere in competizione con i giovani. […] Oggi sul mercato del lavoro esistono quattro generazioni e sta entrando la quinta. Siccome le persone lavorano fino ad ottant’anni avremo cinque generazioni in concorrenza, cosa che non è mai successa in questi anni passati. Muta la società, basta vedere le famiglie, l’immigrazione e la quinta forza rilevante che è l’incognita delle risorse energetiche …
LM: La sostenibilità da un certo punto di vista di certi processi …
CK: L’Africa non è ancora in questo giro di cui stiamo parlando, perché l’Africa non ha risorse energetiche sufficienti … Oggi il cambiamento in Africa è condotto dai cellulari perché i PC non si riescono a ricaricare. Questo cambiamento del mercato del lavoro avviene all’esterno dell’Africa però anche l’Africa sta camminando ….
LM: Sui mobile sta camminando l’Africa …
CK: Tornando alle nuove tecnologie, esse cambiano con una rapidità incredibile come sappiamo, però avere un proprio avatar, lavorare a casa senza mai uscire è una grande opportunità ma anche un grosso rischio di cambiare la realtà sintetica, virtuale con la realtà fattuale. Bisogna riuscire rispetto a questo progresso rapidissimo delle nuove tecnologie a non restare soli, avere cari i propri amici, ma anche costruire che diventa l’alternativa al competere, per questo dicevo cooperare perché uno da solo non ce la fa. Le nuove tecnologie per rispondere alla sua domanda le ho messe al primo posto.
Se non si lavora è colpa dell’individuo o dello stato sociale?
LM: Prof rispetto alla situazione odierna, alcuni dicono che la crisi lavorativa sia praticamente sempre responsabilità dell’individuo. Un’altra posizione dice che più che delle scelte che più o meno consapevolmente una persona fa la causa va ricercata più nello stato sociale, sia la causa sia la soluzione. Quale delle due posizioni secondo Lei è più utile assumere?
CK: Bisogna aver ben presenti tutte e due, nel senso che per quel che attiene l’individuo oggi è richiesto che ciascuno di noi nel tempo riesca a mantenere un progetto professionale che non è fatto di sogni, ma di sogni, desideri, dandosi delle scadenze. Avere ben presente che sul piano individuale oggi quando cerco lavoro gli altri mi chiedono che cosa so fare, avere bene in mente le proprie capacità e competenze è importante, non per andare nell’ ottica delle specializzazioni, le specializzazioni si tengono per le professioni forti, quelle ottocentesche, ma in un’ottica che è quella del continuo allargamento a macchia d’olio: so fare questo quindi allargo, cerco, vedo. Aver presente tutte e due ha a che fare con il fatto che un progetto professionale sia possibile mantenerlo e tenerlo nel tempo tenendo presente anche i propri desideri, perché se uno deve lavorare fino ad ottant’anni e vivrà fino a cento se penso ai giovani è importante che abbiano ben chiaro quale è il proprio piacere, il proprio desiderio, a fronte però di un mercato del lavoro e di un mondo che cambia molto rapidamente. Quando io facevo l’università mi avevano insegnato a pensare che noi uomini cambiamo il mondo. Oggi vediamo che il mondo cambia a prescindere da noi, ci rotola addosso e io non posso limitarmi a parare i colpi, ma devo avere una modalità proattiva, quindi queste due posizioni, se dipenda da me o dallo stato sociale, sono tutte e due importanti e da tener presente perché continuamente sono un circuito da percorrere giorno per giorno.
Un consiglio per chi oggi non trova lavoro.
LM: Alcuni suggerimenti già li ha dati, ma se dovesse dare un suggerimento a chi oggi sta cercando lavoro, quale darebbe?
CK: Quello che se uno non trova allora deve fermarsi proprio su questa questione del progetto professionale. Il progetto professionale non è un semplice “ mi piacerebbe fare”, ma un inventario di quel che ho costruito nel passato, non solo attraverso il curriculum accademico formativo, ma anche nella quotidianità della vita, gli hobby …
LM: Il curriculum vivendi diciamo …
CK: Esatto … Una capacità di soffermarsi a fronte di queste cose realizzate, dirsi: “Oggi sono questa persona qui so fare queste cose qui”. Chiedermi che cosa desidero, che cosa mi piace per guardare in avanti ragionando su come sta cambiando il mercato del lavoro. Come mai questa domanda? Prima chiacchieravamo della psicologia … Questa grande domanda di psicologia, di valorizzazione della soggettività che è presente nella nostra società non si trasforma in possibilità concrete di progetti di lavoro. Questo dipende dal mondo e dalla cultura in cui viviamo, ma dipende anche dal fatto che noi psicologi sappiamo molto di più del funzionamento mentale individuale, dei sistemi relazionali, dei sistemi sociali di quanto riusciamo ad applicare, forse perché non c’era questa esigenza in passato. Oggi si tratta di un salto in avanti chiedendosi: “ Ma io cosa posso offrire?” ad esempio se uno si mette nella prospettiva della psicoterapia in un’ottica tradizionale della libera professione non riesce ad incontrare un mercato del lavoro che gli risulta in crisi. Capire cosa vogliono dire tutte queste cose: il coaching, il counseling richiede di fare uno sforzo creativo ed immaginativo. Un’altra professione molto interessante da vedere in quest’ottica è il giornalismo, una professione fortemente in crisi se la vediamo nell’ottica dell’immagine professionale del giornalista, ma se Lei incrocia la professione della comunicazione e dell’informazione con le nuove tecnologie vede quante neo professionalità si sviluppano attorno a questo cliché un po’ storico. Se uno si innamora dell’idea di fare il pezzettino per Repubblica, le quattro righe per il Corriere fa la fame … viene pagato da 3 a 8 euro a pezzo quindi …
LM: Chi non cambia è destinato a scomparire ….
CK: Anche perché il mondo non sappiamo dove va ….
LM: Prof grazie mille per questa chiacchierata.
CK: Grazie, è stato un piacere.