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Cyberpsicologia: emozioni e videogiochi

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Nuove tecnologie / Psicologia

Cyberpsicologia: emozioni e videogiochi

emozioni-e-videogiochi-thumbCyberpsicologia: emozioni e videogiochi
A cura di Giulia Glouchtchenko -Dottoressa in Psicologia Clinica presso l’Università di Bergamo

La Cyberpsicologia è una parte della psicologia nata recentemente, che si occupa soprattutto dei processi di cambiamento psicologico indotti dall’uso delle nuove tecnologie (Riva, 2014). Questi processi sono complessi ed hanno sfaccettature sia cognitive che affettive ed emotive. La ricerca fino ad oggi si è concentrata sulle interazioni dell’uomo con la tecnologia ed i media in generale; tra i vari ambiti indagati ci sono anche i videogiochi. Vi sono ricerche che hanno indagato gli effetti negativi dei videogiochi (è possibile leggere QUI una panoramica delle ricerche già svolte a riguardo) e gli effetti positivi a cui possono portare (che possono essere consultati in questo articolo), soprattutto a livello cognitivo.

Scopo del presente articolo non è vedere il lato positivo o negativo dei videogames ma cercare di approfondire il rapporto che esiste tra le emozioni del giocatore e l’uso dei videogiochi al fine di averne una migliore comprensione rispondendo a domande quali: perché giochiamo? Esattamente cosa succede dentro di noi quando giochiamo?

Secondo Jeff Serger e Richard Potts (2012) ciò che proviamo mentre giochiamo è quello che viene chiamato in inglese “psychological flow state” ovvero stato di flusso psicologico, una condizione in cui si è immersi in uno stato emotivo piacevole mentre si è impegnati in un compito per il quale è necessario avere ed usare proprie abilità; questa condizione emotiva sarebbe il motivo principale per il quale ci divertiamo ad utilizzare i videogiochi.

Questo flusso fu osservato per la prima volta da Czikszentmihalyi. La teoria del flusso psicologico nasce da una precedente ampia letteratura che ha permesso di assodare come il divertimento sia il motivo principale per il quale si fa uso dei media, la decisione di leggere un libro, guardare la tv o giocare ad un videogioco è data dalla quantità di divertimento che la persona si aspetta di ottenere rispettivamente dalla lettura, dalla visione di un programma/film o da una partita.

La differenza nella scelta di un media di intrattenimento rispetto ad un altro è dovuta ai bisogni percepiti, alle differenze individuali ed al contesto della società. Ad esempio sono state osservate consistenti differenze nell’uso dei videogiochi tra i maschi e le femmine: secondo una ricerca condotta da Sherry, Lucas & Greenberg i ragazzi mostrano una predilezione per videogiochi dove si spara e si vivono avventure, mentre le ragazza preferiscono giochi di carte, puzzle e quiz. Tutti questi fattori assieme compongono le motivazioni che ci spingono a cercare svago attraverso l’uso dei videogiochi piuttosto che guardare la televisione (Rosengren, 1947). L’uso dei videogiochi è pertanto individuale e contestualizzato.

Ciò che ci interessa va oltre queste ricerche, che sono puramente descrittive, si tratta di trovare una risposta alla domanda “perché giochiamo?”.
Un motivo ci viene fornito da Zillmann and Bryant (1994) i quali sostengono che l’uso dei videogiochi sia scelto (in maniera più o meno conscia) per gestire meglio i propri stati emotivi: ovvero attraverso un videogioco una persona può autonomamente gestire le proprie emozioni cercando di rilassarsi (ad esempio giocando per “staccare” da una giornata pesante assorbendosi nel videogioco e distraendosi dai problemi, alleviando lo stress) o, al contrario cercando emozioni specifiche (ad esempio l’adrenalina in un gioco survival horror).
Non solo, i videogiochi possono essere utilizzati come evasione momentanea (la durata della sessione di gioco) dai problemi della vita quotidiana permettendoci di uscire dalla realtà concreta e vivere in un modo di fantasia. Le motivazioni a livello psicologico ed emotivo che ci spingono a giocare sono complesse ed abbiamo visto quindi quali possibili risposte nella letteratura vengono fornite alla domanda: “perché giochiamo?”.

FlowCzikszentmihalyi, Sherry, Serger e Potts attraverso la teorizzazione del flusso emotivo riescono a spiegare cosa succede esattamente dentro di noi mentre giochiamo. Inizialmente la teoria di Czikszentmihalyi (1998) era stata pensata per spiegare lo stato emotivo in cui versavano gli artisti durante l’atto di creare un’opera d’arte, tuttavia l’autore osservò come questo stato emotivo fosse presente anche in persone che svolgevano attività quotidiane. In seguito ad un’ulteriore elaborazione del concetto da parte di Clarke ed Haworth (1994) e Massimini e Carli (1988) si raggiunse l’attuale definizione del flusso psicologico come un’esperienza caratterizzata da:

1) un’intensa concentrazione su ciò che si sta facendo;
2) la fusione di azione e consapevolezza;
3) la perdita di autopercezione di sè stessi come attori sociali;
4) la sensazione di poter gestire efficacemente la situazione perché il giocatore ha sviluppato le abilità per far fronte alle sfide che il gioco gli presenterà;
5) la sensazione che il tempo trascorra più in fretta del normale;
6) la sensazione che l’attività che si sta svolgendo sia soddisfacente.

La struttura dei videogame pare essere adatta a massimizzare e prolungare il divertimento del giocare (e quindi il psychological flow).
Il flusso psicologico tuttavia non è una condizione sempre presente durante le sessioni di gioco, è infatti uno stato emotivo raggiungibile solo nelle condizioni in cui si raggiunge un buon equilibrio tra le abilità del giocatore e la difficoltà del gioco. Un gioco troppo semplice infatti annoierà il giocatore, mentre un gioco troppo complesso potrebbe portare il giocatore ad esperire ansia e frustrazione.
Per questo motivo i giochi prevedono generalmente livelli più semplici all’inizio che permettono al giocatore di acquisire le abilità e l’esperienza necessaria per affrontare i livelli successivi e sperimentare il divertimento dato dall’esperienza di gioco.
La difficoltà del gioco aumenterà progressivamente avanzando nei livelli portando il giocatore a sviluppare nuove abilità ed a potenziare quelle che possiede già. Quando si raggiunge un livello molto alto di abilità in giochi di avventura o di azione un giocatore può anche non provare più emozioni forti ma, per quanto sembri contraddittorio, può arrivare a rilassarsi (Keller and Bless, 2008).

Nonostante le possibili difficoltà legate ad un buon equilibrio tra difficoltà del gioco e ed abilità del giocatore i videogiochi creano con relativa facilità il flusso psicologico in quanto:
a) forniscono obiettivi concreti e raggiungibili attraverso regole spiegate chiaramente nel tutorial, nel libretto di istruzioni all’interno della confezione o su internet;
b) permettono di essere calibrati sul livello di abilità del giocatore grazie alla presenza di diverse modalità di gioco (principiante, facile, difficile ecc. …);
c) permettono una sensazione di controllo su quanto sta succedendo all’interno del gioco grazie a continui feedback sullo status della missione (numero di punti raggiunti, artefatti collezionati);
d) possiedono grafica e suoni che permettono di eliminare le distrazioni e rendono più facile la concentrazione sul gioco; (Sherry J. L., 2004).

I videogiochi quindi, grazie alla loro natura interattiva, facilitano la sperimentazione del flusso psicologico ovvero una condizione di soddisfazione data dal coinvolgimento in una attività nella quale il soggetto ha le capacità (o gli vengono insegnate attraverso un tutorial) di far fronte ad ogni missione gli venga fornita dal gioco che stimola la motivazione del giocatore. Il flusso psicologico quindi sarebbe il principale motivo per il quale secondo Sherry (2004) le persone giocano ai videogiochi.

Non solo, sulla base delle teorizzazioni fatte da Nakamura & Czikszentmihalyi (2002) è possibile osservare come una persona, per poter raggiungere il flusso emotivo durante una sessione di gioco, debba sviluppare un certo livello di abilità per riuscire almeno a completare alcuni obiettivi del gioco e raggiungere quindi il flusso emotivo.
Questo potrebbe forse spiegare come mai alcuni genitori, spinti dai figli a giocare, nonostante tutta la loro buona volontà di voler capire perché i videogames coinvolgano emotivamente così tanto i loro figli, abbandonino il gioco dopo due partite. Probabilmente aver passato così poco tempo a giocare non ha permesso a questi genitori di acquisire un livello di abilità tale da raggiungere il flusso emotivo.

Bibliografia

Clark, S. G. & Haworth, J. T. (1994). ‘Flow’ experience in the daily lives of sisth-form college students. British Journal of Psychology, 85, 511-523.

Czikszentmihalyi, M. (1998). The flow experience and its significance for human psychology. In M. C. Czikszentmihalyi, Optimal experience: Psychological studies of flow in consciousness (pp. 15-35). New York: Cambrige Univeristy Press.

Keller, J. & Bless, H. (2008). Flow and regulatory compatibility: An experimental approach to the flow model of intrinsic motivation. Personality and Social Psychology Bullettin, 34, 196-209.

Massimini, F. & Carli, M. (1998). The sistematic assessment of flow in daily experiences. In M. C. Czikszentmihalyi, Optimal experience: Psychological studies of flow in consciousness (pp. 226-287). New York: Cambrige Univeristy Press.

Nakamura, J. & Czikszentmihalyi, M. (2002). The concept of flow. In C. R. Lopez, Handbook of Positive Psychology (pp. 89-105). New York: Oxford University Press.

Riva, G. C., Calvo, R. A. & Lisetti C. (2014). Cyberpsychology and affective computing. Oup Uncorrected Proof – Firstproofs, 547-558.

Rosengren, K. E. (1947). Uses and gratifications: A paradigm outlined. In J. G. Katz, The uses of mass comunications: Current perspectives of gratifications research (pp. 269-286). Beverly Hills (CA): Sage.

Serger, J. & Potts, R. (2012). Personality correlates of psychological flow states in videogame play. Curr Psychol, 31, 103-121.

Sherry, J. L. (2004). Flow and media enjoyment. Communication Theory, 14(4), 328-347.

Sherry, J. L., Lucas, K. &Greenberg, B. S. (2006). Video game uses and gratifications as predictors of use and game preference. In P. V. Brayant, Playing computer games: motives, responses, and consequences (pp. 213-224). Mahwah, Nj: Erlbaum.

Zillmann, D. & Bryant, J. (1994). Entertainement as media effect. In J. B. Zillmann, Media effects: Advances in theory and research (pp. 437-461). Hillsdale (NJ): Erlbaum.

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