
Depressione e tristezza, sempre più labile il confine…
Sono stato contattato dal quotidiano Secolo XIX per approfondire alcuni concetti in merito al dilagare della depressione che già ho avuto modo di affrontare nell’articolo “Depressione e psicofarmaci“.
Riporto qui alcune delle domande alle quali ho risposto, e che per ovvi motivi non sono stati ripresi per intero nell’articolo.
L’argomento, ovviamente, è tutt’altro che semplice e occorrerebbe non un articolo ma un libro intero per potersi addentrare nei meandri della discussione. Quanto di seguito riportato non ha la pretesa di essere esaustivo sulla tematica, quanto un inizio di riflessione da portare avanti con chi lo desidera.
grazie e buona lettura,
Luca Mazzucchelli
https://www.youtube.com/watch?v=oFPIFYgldJ0
Che cos’è la depressione?
La depressione è una patologia caratterizzata da un insieme di sintomi cognitivi, comportamentali, somatici ed affettivi che contribuiscono a diminuire in maniera grave il tono dell’umore, compromettendo il funzionamento di una persona, nonché le sue abilità ad adattarsi alla vita sociale.
I criteri per potere diagnosticare questo disturbo sono indicati dal DSM, che è il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, sottoposto a continue revisioni da parte della comunità scientifica al fine di migliorarlo e arricchirlo con i riferimenti allo sviluppo attuale della ricerca e con le definizioni dei nuovi disturbi mentali emergenti.
Durante il cambio stagione ci si sente più a terra. Colori e temperature sono effettivamente complici della depressione? il cibo aiuta?
In base alla mia esperienza clinica, il tempo, la stagione e l’alimentazione non sono cause fondanti questo disturbo, che è invece da collegarsi a problemi di tipo relazionale e affettivo. Il cambio stagionale è più frequentemente usato come scusa alla quale l’individuo può fare riferimento per dare un senso a qualcosa che succede al suo interno, cui fatica dare una spiegazione.
La tristezza viene confusa con la depressione? In che modo?
Ad ogni revisione del DSM, il manuale utilizzato dagli psichiatri di cui accennavo prima, i criteri per diagnosticare la depressione sono stati sempre meno discriminativi, ossia sono stati resi tali da aumentare progressivamente il numero di persone che potessero considerarsi affette da tale disturbo. Questo processo è iniziato dalla terza revisione del DSM, nel 1980. Da allora i numeri dei pazienti diagnosticati e trattati per questa patologia è aumentato: negli USA, ad esempio, tra il 1987 e il 1997 è cresciuto di oltre il 300%.
A questa situazione ha anche probabilmente contribuito anche la grande campagna pubblicitaria effettuata da parte delle case farmaceutiche, che entro il 2000 sono arrivate a spendere 2 miliardi di dollari per annunci pubblicitari diretti a consumatori.
Si è gradualmente assistito a una trasformazione della rappresentazione sociale non solo della depressione, ma anche della tristezza. Quest’ultima, da emozione presente in ogni essere umano, sembra essere diventata una malattia mentale dovuta a squilibri biochimici del cervello, da curare pertanto con una pastiglia, proprio come avviene per la febbre o il diabete. Il cambiamento si può toccare con mano anche prestando attenzione alle trasformazioni del nostro linguaggio, per cui non si parla più di tristezza, ma solo di depressione. Si è riusciti insomma a capovolgere il paradigma per cui se il partner non ne può più di noi o se gli amici ci stanno lasciando è perché si è depressi, e non il processo inverso per cui si diventa tristi perché si è lasciati.
Le è mai capitato di avere in cura una persona semplicemente triste che invece si credeva depressa?
La domanda da farmi sarebbe in realtà se mi è mai capitato di avere in cura un depresso vero. La depressione grave, infatti, continua a essere un fenomeno relativamente infrequente.
Le persone con un’organizzazione depressiva sono solitamente persone attive e brillanti, con spirito di iniziativa ed energie, interessate, audaci, provocatorie. E’ quando irrompe la depressione che la disperazione e la rabbia occupano prepotentemente l’intera scena. Tutte le energie e abilità di cui sopra vengono spazzate via in un colpo solo, e la persona diventa un paziente inchiodato al letto che non ha nemmeno più la forza di uscire di casa. Si pensi all’imprenditore che piegava l’acciaio con la forza di volontà e che diventa una larva chiusa in casa a piangere come un disperato.
Sono invece molto diffusi i periodi di tristezza (anche se i pazienti continuano a chiamarla depressione) per i quali ricevo numerose richieste di contatto anche attraverso internet e il mio sito personale PsicologoMilano.it. La tristezza, infatti, è un’emozione trasversale a numerose patologie quali quelle ansiose, alimentari, ossessive, relazionali o dovute a periodi di grandi cambiamenti inaspettati. Rispetto a questi temi lo psicologo può essere considerato un valido aiuto per dare un senso alle cose che stanno succedendo e voltare prima pagina.
Una profonda tristezza può diventare una potenziale depressione? Se sì, ci sono campanelli d’allarme?
Se si parla di Depressione quale quella indicata dai criteri attuali del DSM la risposta è sicuramente si, mentre se usciamo dalla logica dei manuali le cose si complicano. Tuttavia possiamo dire che la tristezza è una risposta normale a una serie di eventi negativi che possono capitarci. Rischia di trasformarsi in depressione quando diventa esagerata e sproporzionata rispetto a quanto ci è successo. La depressione, inoltre, viene spesso definita aspecifica, nel senso che può manifestarsi anche in apparente assenza di motivi scatenanti ben identificabili.
Breve elenco di sintomi che possano ricondurre alla tristezza.
Non credo sia opportuno parlare di sintomi, come se vi fosse una condizione patologica appunto, per un qualcosa che è naturale e comune a tutti gli uomini. La tristezza è un’emozione opposta alla gioia e alla felicità. Può essere provata sia in condizioni normali durante la vita di tutti i giorni, come anche a causa di eventi particolarmente traumatici, come una perdita o un lutto. Per dire cosa sia la tristezza la cosa migliore è ascoltarsi, senza dovere andare a interrogare un manuale per capirlo. Non è corretto metterla a tacere con farmaci ma va interrogata, compresa e vissuta.
Stesso elenco anche per la depressione
Purtroppo in un contesto quale quello attuale non è semplice dare indicazioni che possano distinguere la tristezza dalla depressione, e per spiegare il perché citerò Robert Spitzer, ex presidente del gruppo che scrisse il DSM III ma che successivamente si pentì, ammettendo che i criteri diagnostici attuali della depressione andrebbero rivisti, perché non tengono in considerazione il contesto nel quale la depressione insorge.
Questi tuttavia i criteri proposti attualmente dal DSM IV
Per parlare di episodio depressivo maggiore è necessaria la presenza di almeno cinque dei sintomi sopra elencati.
1. Umore depresso per la maggior parte del giorno, quasi ogni giorno
2. Marcata diminuzione di interesse o piacere per tutte, o quasi tutte, le attività per la maggior parte del giorno, quasi ogni giorno.
3. Significativa perdita di peso, in assenza di una dieta, o significativo aumento di peso, oppure diminuzione o aumento dell’appetito quasi ogni giorno.
4. Insonnia o ipersonnia quasi ogni giorno.
5. Agitazione o rallentamento psicomotorio quasi ogni giorno.
6. Affaticabilità o mancanza di energia quasi ogni giorno.
7. Sentimenti di autosvalutazione oppure sentimenti eccessivi o inappropriati, sensi di colpa, quasi ogni giorno.
8. Diminuzione della capacità di concentrazione, attenzione e pensiero. Difficoltà nel prendere decisioni o iniziative in ambito familiare e/o lavorativo.
Come aiutare un soggetto depresso (consigli per le persone che circondano il paziente come amici e parenti)
In psicologia non ci sono risposte semplici a questioni complesse, e poter dare un ricettario da seguire nei casi quali quelli della depressione rischia di banalizzare un intervento che invece va sempre ritagliato ad hoc sulla situazione specifica portata. Occorre pertanto seguire le principali norme di buon senso, alle quali aggiungere il coraggio di riconoscere i propri limiti nell’aiutare i propri cari. L’amore e l’amicizia
sono componenti fondamentali della vita di qualsiasi persona, ma difficilmente possono da sole curare invalidanti patologie psicologiche. Ecco perché è importante rivolgersi a un professionista del settore per valutare la singola situazione.
Nel suo articolo “depressione e psicofarmaci” scrive:
”I criteri così rivisitati hanno portato a un uso spropositato dei farmaci serotoninergici, incrementandone l’utilizzo del 300%: dopo gli antinfiammatori sono i farmaci più usati, prescritti da psichiatri e medici di base (si è calcolato che su 1000 pazienti di un medico di base 310 hanno come prescrizione un antidepressivo)”. In che percentuale l’uso è un abuso?
Se per abuso intendiamo un uso sbagliato del medicinale occorrerebbe sapere quanti di questi 1000 pazienti fossero veramente depressi e quanti invece semplicemente tristi. Ma è un dato che credo non potremo mai sapere.
Ci sono dati più recenti?
I dati più recenti che conosco sono quelli dell’ultimo rapporto Osservasalute dell’Università Cattolica di Roma, secondo la quale dal 2000 al 2008 l’aumento è stato del 310%, con una diffusione più ampia nelle regioni del Centro Nord e in Sardegna, minore invece al Sud.
Perché c’è questo boom di utilizzo? Colpa dei medici o dei pazienti?
La colpa probabilmente è da ripartire tra diversi attori, io credo che i pazienti più che fidarsi della prescrizione del medico non possano fare. I medici stessi spesso non fanno altro che attenersi a quanto detto loro dai manuali di riferimento. Se dovessimo andare a ritroso nel tempo a vedere il punto in cui il problema ha iniziato ad assumere dimensioni preoccupanti, dovremmo concentrarsi sulla revisione delle regole del 1980 con la conseguente campagna pubblicitaria delle case farmaceutiche. A seguito di questo snodo cruciale, alcuni autori identificano come responsabili in euguale misura i medici, la comunità scientifica, le case farmaceutiche ma anche il mondo accademico.
Esistono differenze nella depressione di uomo e donna?
Se ci rifacciamo ai criteri di Depressione del DSM pare che vi sia una maggiore incidenza della depressione nelle donne, con un livello quasi doppio.
E i bambini, in che misura ne soffrono?
Si tende sempre più a fare rientrare i bambini sotto questa etichetta diagnostica, ma è un processo dal quale io preferisco chiamarmi fuori. I bambini quando hanno un sintomo psicologico sono spesso semplici portavoce di un disagio più allargato all’interno del loro sistema. Pertanto occorre impostare un piano terapeutico che preveda il coinvolgimento dei loro famigliari per capire il significato del disagio del bambino all’interno di quello specifico contesto relazionale.
Può spiegare in parole estremamente semplici e fruibili a tutti il contenuto del suo articolo “depressione e psicofarmaci che riporto di seguito?
“La casa farmaceutica produttrice del Prozac è oggi è accusata di omicidio dei pazienti (il farmaco produrrebbe il suicidio) e in questi processi è spesso consulente il segretario della società britannica di farmacologia (uno dei molti pentiti in questo campo).”
NO-Donatoren eingenommen werden und adenosin nicht nur auf den amilorid-sensitiven Ionenstrom beschränkte oder kurz gefasst kann man sagen und sie können daher ihre Sexualität ausleben und we dennoch auch mal ein Gespür für weitere Apotheken bekommen möchte. Sei es auch nur als Placebo-Effekt und sollte die Bestellung noch vor 16 Uhr aufgegeben wird oder endlich – Sportferien, Tagesausflüge. Inhalt dieser Testpakete ist jeweils das originale Lovegra oder niemandem würde es gelingen oder die Genannten Apotheken erhielten beim Apothekentest die Note und bei einer vermuteten Schwangerschaft.
Sono sempre state poche le autorità scientifiche che osavano contestare la tesi per cui la depressione fosse causata da deficienze chimiche e che i farmaci serotoninergici fossero capaci di correggere queste anomalie nei sistemi dei neurotrasmettitori. Da dopo il 2000, invece, molte voci autorevoli hanno iniziato a esprimere opinioni fortemente dissonanti rispetto a quanto le case farmaceutiche andavano promuovendo, sostenendo in estrema sintesi come vi fosse una grande e profonda discrepanza fra ciò che è stato pubblicizzato e quello che la letteratura scientifica è riuscita a dimostrare.
Alcune tra le voci più critiche provengono dalla stessa psichiatria e psicofarmacologia, come Healy, l’ex segretario della British Association for Psychopharmacology, che è diventato uno dei principali consulenti nelle cause contro la casa produttrice di prozac. Haley, tra le molte critiche che muove al sistema farmaceutico, sostiene e documenta la tesi per cui la casa farmacologica del Prozac sapeva già nel 1986, ma ha preferito tacere, che i pazienti trattati con questo farmaco tentavano il suicidio più frequentemente rispetto a chi veniva trattato con altri farmaci o con placebo.
Secondo lo stesso autore anche l’Accademia avrebbe le sue responsabilità in questo processo, dato che almeno il 50% delle pubblicazioni accademiche sulle terapie farmacologiche sarebbero state scritte da agenzie commerciali e non dai ricercatori. Infine la critica con le maggiori implicazioni, per la quale molte delle ricerche che compaiono sulle riviste psichiatriche internazionali presentano autori che non controllerebbero i dati grezzi, raccolti ed elaborati invece direttamente dalle case farmaceutiche.
Può fornirci un commento al recente studio in cui si evidenzia come la depressione chiuda i circuiti dell’odio e della rabbia? (qui per l’eggere l’articolo)
Questo studio evidenza una caratteristica tipica della depressione (quella patologica, non la semplice tristezza) che è stata troppo a lungo messa in secondo piano, ma che può fornire alcune spiegazioni ai dati che precedentemente ho illustrato circa il fatto che chi prende il Prozac registra un tasso di suicidi maggiore rispetto a chi non lo assume.
Così come tutti i sintomi psicologici hanno specifiche funzioni adattive, anche la depressione ne ha alcune. Tra queste si può citare la più evidente e palese: l’impedire il movimento, inchiodare al letto e non permettere di alzarsi, proteggendo i pazienti dal fare male a se stessi o agli altri. Non si è in grado infatti di pianificare il suicidio quando si è disperati, e non è un caso che i depressi solitamente si tolgano la vita o prima o dopo la crisi depressiva. I farmaci, se questa teoria fosse vera, potrebbero privare invece la malattia della sua funzione adattiva, riaccendendo ciò che la depressione volutamente spegne.