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Dislessia: la difficoltà di lettura

Disabilità

Dislessia: la difficoltà di lettura

dislessia letturaPerché mio figlio non riesce a leggere? La dislessia.

Colloquio ipotetico tra una mamma e uno specialista….
Una mamma si reca assieme a suo figlio dal neuropsichiatra infantile perché c’è qualcosa che non va, qualcosa di strano. Lo specialista, dopo un’attenta anamnesi, formula la diagnosi di dislessia. Leggiamo il colloquio tra la mamma e l’esperto che, a titolo di esempio, ci aiuterà ad approfondire nel modo più semplice ed immediato il significato di questa patologia e il suo impatto in famiglia e a scuola.
Prima, però, ricolleghiamoci un istante all’articolo precedente nel quale abbiamo parlato della cecità, argomento sul quale ritorneremo più avanti.
Sappiamo che i cechi totali non vedono nulla, sappiamo che gli ipovedenti vedono poco ed è per questo motivo che, a occhio nudo, non riescono a leggere fluidamente un libro e quindi a capirlo. Nella dislessia non ci sono deficit visivi, ma in questa patologia è impossibile tradurre il testo in qualcosa che abbia un senso a livello cognitivo, cioè un significato.

Dottore, mi aiuti a capire meglio: cos’è questa dislessia?

Fino a 10 anni fa c’erano varie teorie sull’eziologia della dislessia: per alcuni era un problema legato all’ambiente famigliare e, per questo, molti genitori sono andati in psicoterapia; per altri era un problema prettamente visivo; per altri ancora un fatto psicologico. Oggi si sa che è un problema neurobiologico e che si verifica in un’area ben definita del cervello. E’ un’impossibilità ad automatizzare e a rendere fluente la lettura. E’ un disturbo specifico dell’apprendimento assieme ad altri: ciò significa che chi soffre di questa patologia funziona bene in tutte le attività mentali, relazionali e creative. Si associa spesso agli altri disturbi dell’apprendimento: il disturbo della scrittura come disortografia, cioè il non automatismo delle regole, e la disgrafia, cioè la difficoltà nella realizzazione del segno grafico. Spesso si accompagna anche alla discalculia, disturbo nel calcolo. Per chiarire ancora meglio la definizione di dislessia, immaginiamo di dover leggere un giornale in cirillico dopo appena tre giorni di esposizione a questo nuovo carattere. Potremmo decifrare qualche segno o capire qualche parola, ma la lettura intera sarebbe impossibile e, soprattutto, sarebbe impossibile una totale comprensione del significato. Un’altra situazione analoga alla dislessia è il momento in cui tutti noi, di fronte al bugiardino di un medicinale, ci sforziamo, invano, di comprendere tutte le parole in esso contenute; dobbiamo leggerlo più volte e fermarci su alcuni vocaboli a noi sconosciuti. Il dislessico è sempre in questo tipo di condizione. Ritrova suo figlio in questo quadro, vero?

Sì. In effetti, mio figlio riesce bene in tutto, semplicemente legge lentamente e non capisce ciò che ha letto. Come si valuta questa patologia?

Quando si valutano bambini con problemi di lettura, ci sono test standardizzati da somministrare, come quelli che abbiamo fatto a suo figlio; in base all’esito, i pazienti vengono presi in carico da figure professionali specifiche che, grazie a determinati criteri di valutazione, formulano una diagnosi e un opportuno trattamento.
 
Mi spiega come funziona normalmente la lettura e cosa si inceppa nei dislessici?

Il processo di lettura inizia ad automatizzarsi in modo progressivo dalle elementari fino all’università. Tra la prima e la terza elementare il bambino compie un lungo cammino che inizia prima col riconoscimento delle singole lettere scritte o grafemi, poi con l’associazione di questi grafemi al loro specifico suono, fonemi, e infine all’unione di tanti grafemi-fonemi a formare prima una parola, poi una frase, poi un insieme di frasi, e infine un intero brano. A questo punto il bambino normale ha automatizzato la lettura ed è in grado di sfruttare l’attenzione per capire il significato di ciò che sta leggendo.
Il bambino dislessico fa fatica a passare dal fonema al grafema, in pratica la sua lettura non sarà mai automatica. E’ per questo che deve dedicare molta attenzione a leggere e non glie ne resta per capire ciò che sta leggendo.

associazione italiana dislessiaNon sa che calvario abbiamo passato prima di venire da lei. A scuola, nonostante il massimo impegno, mio figlio non è mai riuscito a raggiungere gli stessi risultati degli altri bambini e finora ha sempre creduto di essere diverso, stupido. E anche noi non lo abbiamo ascoltato per nulla! Lo rimproveravamo che non si impegnava abbastanza, lo aiutavamo a fare i compiti. Le abbiamo provate tutte! Avremmo dovuto metterci in ascolto e aiutarlo parlando prima con gli insegnanti per vedere se il disagio manifestato a casa si presentava allo stesso modo anche a scuola.

Signora, è tutto normale. Si ricordi però che suo figlio non è diverso o meno bravo degli altri. Una volta capito qual è il problema, alle famiglie e ai bambini serve un gruppo di persone che li aiuti e in questo compie un ottimo lavoro l’associazione italiana dislessia formata da genitori, tecnici e insegnanti. Mi creda, il sostegno, la conoscenza e lo scambio tra genitori sono importantissimi. Avendo attorno una rete di questo tipo genitori e figli si sentono molto più rassicurati. Se vuole visitare il loro sito, il link è www.aiditalia.org

La contatterò sicuramente. Mi racconta qualcosa di più sugli incontri dell’associazione?

Certamente! I genitori dei dislessici che partecipano alle serate spesso scoprono la loro dislessia in quella dei figli e parlano di un’esistenza difficile e di percorsi scolastici terrificanti. Il bambino si rende conto che la lettura e la scrittura vanno di pari passo, vorrebbe arrivare a fare come gli altri ma non ci riesce, quindi si arrabbia. Pensa che sia un problema suo, si colpevolizza, continua a provare senza riuscirci e le uniche cose che si sente dire sono che è distratto e non si impegna abbastanza. A questo punto si scoraggia, lascia perdere, è stanchissimo e a casa non fa i compiti. I genitori devono far fronte alla  difficoltà inattesa: è bravo in tutto tranne a scuola.

Esatto, era proprio quello che le dicevo prima, mi ci ritrovo appieno. Per fortuna gli insegnanti hanno iniziato ad insospettirsi e mi hanno mandata da lei.

L’hanno mandata da me perché sono stati bravi nel valutare in fretta quelli che hanno ritenuto dei campanelli d’allarme e non hanno espresso giudizi affrettati o inesatti. E’ importante che gli insegnanti si documentino su questo tipo di problematiche in modo da vedere la patologia nei figli e avvertire tempestivamente le famiglie.
Così come il bambino che vede poco a scuola è avvicinato alla lavagna, allo stesso modo un bambino che fa fatica a leggere a diritto che gli insegnanti gli propongano una diversa modalità di apprendimento. L’associazione italiana dislessia chiede che a scuola ci siano dei compensi e non delle facilitazioni che mettano i bambini allo stesso livello dei normodotati. E così, come i disabili visivi, hanno a disposizione ausili specifici come, ad esempio, i computer dotati di sintesi vocale che legga per loro.

Grazie di tutto dottore, è stato veramente molto gentile e disponibile. Da oggi in poi per noi sarà tutto diverso, per certi aspetti più facile perché abbiamo compreso cosa non va, ma per altri più difficile perché dovremo imparare a convivere con questa situazione e procurarci tutti gli ausili necessari per far sì che nostro figlio riesca a studiare nel miglior modo possibile.

Vedrà signora, ce la farete come ce l’hanno fatta tutti quanti.

Questo voleva essere solo un accenno a una problematica che meriterebbe molto più spazio. In ogni caso, qualcuno di voi ha esperienze in merito di cui vuole raccontare? Sono davvero utili i gruppi di sostegno o le cosiddette “associazioni di categoria?”. Aspettiamo i vostri commenti!
Al prossimo articolo.

Chiara Schiroli

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