Il disturbo dissociativo dell’identità
Quando si parla di personalità multipla, o più correttamente di “disturbo dissociativo dell’identità”, il pensiero vola immediatamente alle rappresentazioni che ci siamo creati di questo fenomeno sulla base di cinema e letteratura.
Emblematico in questo senso “Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde”, celebre romanzo di Stevenson del 1886, successivamente trasposto al cinema, che racconta la storia del Dottor Jekyll, uomo rispettabile e dai buoni principi, e del suo “alter ego” nascosto Mister Hyde, un personaggio violento, malvagio, che si macchia di atroci delitti.
È così che, a partire da qui, lo “sdoppiamento” o “dissociazione” della personalità ha da un lato turbato e dall’altro estremamente affascinato il grande pubblico, che lo considera un fenomeno misterioso, oscuro, inquietante, addirittura fantascientifico.
Ma cos’è davvero?
Il Disturbo Dissociativo dell’Identità (Dissociative Identity Disorder, DID) è una seria patologia psichica, che si pensa rappresenti il risultato di esperienze di violenza cronica ed estrema subite dalla persona durante l’infanzia. Tale origine di matrice traumatica è oggi ampliamente riconosciuta, tanto da essere inclusa nella descrizione del disturbo nell’ultima edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM 5, APA 2013). Non un fenomeno oscuro e soprannaturale quindi, ma una grave e dolorosa condizione di sofferenza psichica.
Caratteristiche del disturbo
- La caratteristica principale di questa condizione psicopatologica è l’ “interruzione dell’identità”, caratterizzata dalla presenza nella persona di due o più stati di personalità distinti, ognuno con proprie modalità relativamente stabili di percepire, relazionarsi e considerare l’ambiente e il Sé (DSM 5, APA 2013). Tali stati di personalità possono essere connotati da caratteristiche molto diverse, come il nome, l’età, il sesso, il tono di voce, la gestualità, il temperamento, la calligrafia, abilità diverse e memorie autobiografiche diverse. I diversi stati del sé dissociati vengono manifestati alternativamente a seconda degli stimoli provenienti dall’ambiente.
N.B.: Benchè la caratteristica principale del DID sia la presenza di due o più stati di personalità distinti, solo un numero limitato di pazienti manifesta esplicitamente diversi stati del sé. Quando le identità alternative non sono visibili, la dissociazione dell’identità può presentarsi con una discontinuità del senso di sé (DSM 5, APA 2013). Ad esempio i soggetti affetti da DID possono sentirsi depersonalizzati, osservando “dal di fuori” il loro linguaggio e/o le loro azioni (spesso con la sensazione di non avere il potere di fermarsi o controllarle), o derealizzati, relazionandosi a persone care o con l’ambiente come se fossero sconosciuti, strani, non reali. Talvolta possono riportare di sentire i loro corpi “diversi”, come il corpo di un bambino o di una persona del sesso opposto. Inoltre, attitudini e preferenze personali possono improvvisamente modificarsi e poi ritornare quelle precedenti.
- La seconda caratteristica cardine del disturbo è rappresentata dalle amnesie (perdite di memoria), di portata eccessiva per poter essere spiegate come normali dimenticanze (DSM 5, APA 2013). I pazienti affetti dal DID mostrano tipicamente difficoltà nel ricordare eventi del passato (interi periodi di vita nell’infanzia oppure eventi specifici, come quelli traumatici), ma anche del presente (azioni quotidiane e informazioni personali). Ad esempio, dopo un episodio di amnesia, questi soggetti possono ritrovarsi in posti diversi da quelli ricordati per ultimi e non sapere come vi siano arrivati e il motivo per cui vi si trovano; possono scoprire oggetti o appunti scritti che non riconoscono e non riescono a giustificare; possono non ricordare di aver fatto alcune cose e non sapere come motivare alcuni cambiamenti nel proprio comportamento.
- Caratteristiche associate: Il soggetto affetto da DID può essere o non essere consapevole delle diverse identità. Talvolta può riferire di udire “conversazioni interiori” tra gli stati di personalità o voci delle altre identità che si rivolgono a lui o ne commentano il comportamento. In generale, l’interscambio tra gli stati del sé e la (relativa) mancanza di consapevolezza del comportamento delle altre identità rende caotica e confusa la vita delle persone che soffrono di questo disturbo, conducendo ad un disagio significativo. Inoltre, nei soggetti affetti da DID sono comuni atti autolesivi, tentativi di suicidio, abuso di sostanze e flashback degli eventi traumatici. Al distubro si accompagnano spesso altri problemi psicopatologici, come depressione, ansia (attacchi di panico), sintomi somatoformi, disturbi alimentari, disturbi del sonno e disfunzioni sessuali (DSM 5, APA 2013).
La dissociazione
Il DID fa parte dei Disturbi Dissociativi, e il meccanismo alla base del disturbo è la dissociazione. La dissociazione si riferisce all’interruzione o discontinuità tra processi psichici solitamente integrati. In particolare, quando un’esperienza viene dissociata, non entra a far parte dell’usuale senso di sé dell’individuo, creando una discontinuità nella consapevolezza cosciente. Nel DID (il più grave tra i disturbi dissociativi), la mente perde le sue capacità di integrazione a livello della coscienza, della memoria, dell’identità e della percezione, con una frammentazione del soggetto in diversi “stati del Sé” (ISSTD, 2011).
Origine del disturbo
Il modello del trauma
Come già anticipato, il disturbo dissociativo dell’identità è associato a una storia di esperienze traumatiche gravi e prolungate, nella maggior parte dei casi verificatesi durante la prima infanzia (Putnam, 1997; Putnam et al., 1986). Tali esperienze traumatiche possono riguardare abusi fisici, sessuali ed emotivi, esperienze di maltrattamenti e abbandono (Sar, 2011).
Quando i bambini vivono esperienze così estreme, non sono costituzionalmente in grado di sostenerle. Non hanno le capacità di coping e cognitive dall’adulto di comprendere la situazione, valutare ciò che sta loro capitando e ciò che possono fare. Si trovano a sperimentare emozioni di estremo terrore, solitudine, dolore, abbandono e impotenza (Smith, 2007).
Ecco che allora la dissociazione diviene per questi bambini un modo per ignorare, ottundere, dimenticare: essa permette di compartimentare l’angoscia lontano da loro stessi, portandoli a credere di non stare sperimentando l’abuso, che sta invece capitando “a qualcun altro”. Così, mentre il corpo subisce l’abuso, un bambino può fluttuare fino al soffitto e guardare ciò che sta capitando a “un’altra persona” (cioè ad una parte dissociata del sé, ad un’altra identità) (Smith, 2007).
Allo scopo di sopravvivere in una condizione fortemente ostile, il bambino può creare Sé alternativi con funzioni e ruoli diversi. Ad esempio, un’identità può ospitare i pensieri e le emozioni di impotenza (“l’indifeso”), un’altra gli aspetti fantasiosi (“il creativo”), un’altra le reazioni di rabbia (“il cattivo”), un’altra ancora gli aspetti di adattamento alla realtà (“l’adattato”) (Smith, 2007).
La dissociazione e l’incapsulamento delle esperienze traumatiche (ricordi, affetti, sensazioni, comportamenti intollerabili) in stati comportamentali personificati (cioè rudimentali identità alternative) ha l’effetto di mitigare l’effetto dei traumi sullo sviluppo globale (ISSTD, 2011). Tali processi possono servire a proteggere le relazioni con le figure di accudimento (anche quando queste sono state abusive o inadeguate) e permettere la maturazione in altre aree di sviluppo (ad esempio quella intellettuale, sociale e artistica) (ISSTD, 2011).
Col tempo, tali stati rudimentali del sé vanno incontro ad un processo di strutturazione secondaria, dando vita alle identità alternative tipiche del disturbo (ISSTD, 2011).
Insomma, la dissociazione consente alla persona di canalizzare il dolore entro percorsi che la aiutano nella sopravvivenza, tanto che alcuni autori l’hanno definita un fattore di resilienza evolutiva (Brand et al., 2009). I “compagni” che il soggetto che soffre di DID ha sviluppato nel suo percorso l’hanno aiutato a sopravvivere in una situazione drammatica e ostile (Cozzolino e colleghi). Tuttavia, gli stessi meccanismi attivati dalla mente a scopo difensivo per fronteggiare momenti estremamente dolorosi e travolgenti, divengono successivamente dannosi e patologici per la persona stessa.
Il DID, dunque, non si sviluppa da una mente matura e unificata che “si frantuma”, ma è il risultato del fallimento di una normale integrazione dello sviluppo (ISSTD, 2011).
Un breve caso per capire meglio.. (qui la fonte da cui è tratto)
Una bambina subì abusi da parte del padre e del fratello. Imparò a farsi da parte mentalmente e invitare una ragazza più grande che non era spaventata all’idea di subentrare e ricevere l’abuso. Il terapeuta apprese che questa personalità era chiamata “Angretta” (dall’inglese “angry”, “arrabbiato”) e che il suo compito era di proteggere la personalità principale, che chiameremo Susan. Con il passare del tempo la parte del sé di Susan chiamata Angretta sviluppò una crescente ostilità nei confronti degli uomini e paura della sessualità. Quando Angretta esprimeva in modo molto rude la sua rabbia nei confronti degli uomini che erano attratti da Susan, esisteva un’altra personalità, chiamata Regretta (dall’inglese “regret”, “rammarico”) per rimediare al disastro e placare gli uomini. Susan generò confusione in molti uomini con questa strana incoerenza nella sua identità, e spesso questi perdevano l’interesse nei suoi confronti. Susan si chiedeva spesso perché non riusciva a trovare un compagno, perché faceva fuggire gli uomini, e aveva scarsa consapevolezza del fatto che mandava a questi uomini segnali contraddittori..
Il modello socio cognitivo
Secondo questo modello, il DID sarebbe una condizione socialmente costruita, derivante dall’ascendente di alcuni clinici che credono nell’esistenza di questa condizione e inducono i paziente a manifestare alcuni sintomi tipici del disturbo (ad esempio tramite domande suggestive riguardanti l’esistenza di possibili stati di personalità alternativi), nonché dall’influenza dei media (cinema, tv e altre rappresentazioni del disturbo) (ISSTD, 2011). A questo proposito, alcuni ritengono che l’uscita del libro e del film “Sybil”, negli anni ’70, abbia svolto un ruolo centrale nel modellare la concezione del DID nella mente del pubblico e dei clinici (Lilienfeld & Lynn, 2003).
Modello del trauma vs. modello socio cognitivo
Nonostante questi ultimi argomenti, non vi sono prove che il disturbo possa essere stato creato per suggestione (e.g. Loewenstein, 2007). Al contrario, vi sono numerose evidenze a sostegno del modello del trauma (ISSTD, 2011). Tali prove includono:
- studi che dimostrano come il disturbo fosse già presente nei pazienti che avevano subiti profondi traumi con sintomi evidenti prima di qualsiasi interazione con i clinici (Hornstein & Putnam, 1992; Lewis et al., 1997);
- studi di psicofisiologia/psicobiologia che mostrano che le diverse identità presentano spiccate differenze (ad es. in termini di acuità visiva, risposte ai farmaci, allergie, livelli plasmatici di glucosio, frequenza cardiaca, pressione sanguigna, tensione muscolare, funzione immunitaria, dati di risonanza magnetica funzionale e altre tecniche di neuroimaging) (per una rassegna di questi lavori, vedi ad esempio Putnam, 1984; Sar et al., 2001; Reinders et al., 2006; Vermetten et al., 2006).
- studi naturalistici che hanno mostrato che i pazienti manifestavano sintomi che non erano notì nè alla cultura generale né a molti terapeuti ma che, a livello dei dati di ricerca, riusultavano caratterizzare il disturbo (Dell, 2006b).
Falsi miti sul Disturbo Dissociativo dell’Identità
Purtroppo, il disturbo dissociativo dell’identità è una condizione ancora poco studiata e conosciuta, e attorno ad esso sono nati e persistono una serie di miti e false credenze. Eccone alcuni:
1) Il disturbo dissociativo dell’identità è una condizione rara
Contrariamente a ciò che si può pensare, il disturbo dissociativo dell’identità non è una condizione rara (Brand et al., 2016). Si stima che circa l’1.5% della popolazione presenti questo disturbo (APA, 2013). Ciò significa circa 3.2 milioni di americani affetti dal disturbo, 0.65 milioni nel Regno Unito e 71 milioni in tutto il mondo.
2) Il disturbo dissociativo dell’identità ha delle manifestazioni esplicite e drammatiche, ed è facile da riconoscere
Più il ritratto della persona è esasperato, più affascina gli spettatori. Di conseguenza, cinema e letteratura hanno contribuito ad estremizzare le manifestazioni del distubro, rappresentando i cambiamenti di personalità con frequenti cambi d’abito, comportamenti estremi e manierismi contrastanti. In realtà, queste modifiche non sono così semplici da riconoscere: una persona non esperta può relazionarsi per lungo tempo con un paziente affetto da questo disturbo senza accorgersene. Il disturbo è infatti spesso qualcosa di molto più sfumato: Kluft ha osservato che “solo il 6% dei pazienti DID ha continuamente dimostrazioni evidenti“ (Kluft, 2009). Invece di mostrare esplicitamente identità alternative, il tipico paziente con DID presenta una miscela complessa di sintomi dissociativi, sintomi caratteristici di un disturbo post-traumatico da stress e sintomi apparentemente non traumatici, come depressione, ansia, abuso di sostanze, sintomi somatoformi e disordini alimentari (ISSTD, 2011). Tali sintomi possono condurre a diagnosi inesatte, con trattamenti lunghi e infruttuosi, tanto che i pazienti con DID possono trascorrere diversi anni nei servizi di salute mentale prima di ricevere la corretta diagnosi (ISSTD, 2011).
3) Le persone con disturbo dissociativo dell’identità hanno personalità/persone diverse in un solo corpo
Anche questo falso mito è da connettersi al fatto che l’argomento ha attirato l’interesse del cinema e delle letteratura in quanto argomento di fantascienza. In realtà le persone che soffrono di questo disturbo non hanno molteplici identità all’interno di uno stesso corpo, ma l’opposto: questi soggetti non hanno nemmeno un’identità completa, bensì frammenti di una personalità, diversi stati del sè non collegati tra loro (dissociati). Tuttavia, nel loro insieme, tutte le identità alternative costituiscono l’identità o la personalità della persona affetta da DID (ISSTD, 2011). In questo senso, in terapia, i clinici considerano tutta la persona (o il sistema d’identità alternative) come responsabile del comportamento di una o tutte le identità (Radden, 1996), promuovendo così l’integrazione. Proprio per favorire questa corretta comprensione del disturbo, il disordine è stato rinominato nella quarta edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM IV, APA 2000), da “disturbo di personalità multipla” a “disordine dissociativo di identità” (DID, Dissociative Identity Disorder).
4) Il disturbo dissociativo dell’identità è anche chiamato schizofrenia/disturbo bipolare/disturbo borderline di personalità
Il disturbo dissociativo dell’identità viene spesso confuso con queste tre patologie, che tuttavia sono condizioni diverse.
- Schizofrenia: Il termine schizofrenia deriva dal greco schizo (=diviso), fren (=mente) e significa letteralmente “mente divisa” (“split mind”). Tale etimologia ha probabilmente fatto sì che il termine sia stato impropriamente usato per i pazienti affetti da DID, ma in realtà le due patologie sono diverse. La schizofrenia è una patologia su base biologica e non implica alcuna dissociazione del sé (APA, 2013), piuttosto si riferisce ad una “suddivisione delle funzioni mentali”. I pazienti schizofrenici hanno disturbi della percezione, dell’affettività e del pensiero, e una difficoltà a distinguere ciò che è reale da ciò che non lo è. I sintomi più comuni sono le allucinazioni (percezioni “senza oggetto”, ad esempio sentire voci che non esistono) e i deliri (convinzioni erronee, non sostenute dalla realtà, ma non criticabili per il paziente).
- Disturbo bipolare: Il distubro bipolare si manifesta in estreme variazioni dell’umore. Tipicamente i pazienti che sofforno di questo disturbo alternano periodi di grande euforia a periodi di forte depressione, ma non hanno stati del sè dissociati (APA, 2013). Inoltre, il DID ha shift rapidi nell’umore nel giro di minuti o ore (connessi ai diversi stati del sè dissociati), il distubro bipolare presenta invece oscillazioni lente.
- Disturbo borderline di personalità: Vi sono diverse similarità tra i due disturbi, ad esempio in entrambe le condizioni vi è un passato di traumi infantili. Tuttavia, mentre il DID è un disturbo prettamente dissociativo, il disturbo borderline di personalità (BPD) può avere solo alcune caratteristiche dissociative transitorie. Inoltre, sebbene i soggetti affetti BPD possano esperire un’identità povera e frammentata, non presentano identità alternative. BPD e DID possono presentarsi spesso in comobidità, ma non sono lo stesso disturbo (Kemp et al., 1988; Korzekwa et al., 2009; APA, 2013).
5) Le persone con DID non sono mai consapevoli di avere “alters”
È comune tra le persone con DID avere una certa consapevolezza della presenza delle “altre” identità, sentire le altre identità comunicare e avere consapevolezza delle loro attività (Dell, 2006). Molti pazienti possono accorgersi dei segni delle altre identità a partire dall’infanzia, tuttavia possono cercare di ignorarle, dimenticarle e rigettarle. Inoltre, molti soggetti con DID sono consapevoli che la loro memoria è spesso inaffidabile, che fanno alcune cose senza ricordarsi di averle fatte, e che a volte si comportano “al di fuori del loro personaggio”, senza essere in grado di fermare o controllare le loro azioni. In ogni caso, dopo la diagnosi e durante il trattamento, le diverse identità cominciano a coltivare una comunicazione interna (ISSTD, 2011).
6) Il DID può formarsi in età adulta
Il DID non può formarsi in un individuo che ha una personalità integrata, e il trauma cronico in infanzia è necessario per interrompere il normale sviluppo della personalità. Si ritiene che tale trauma debba avvenire prima dei 6 (o comunque dei 9) anni: l’età di 6 anni è considerato un periodo critico per l’integrazione del proprio senso di sé a causa della maturazione di ippocampo e corteccia prefrontale (Nijenhuis et al., 2010). Traumi in età adulta possono generare altri disturbi (ad esempio il Disturbo Post Traumatico da Stress), ma non il DID. Dall’altra parte è bene sottolineare che non tutti i soggetti che hanno sperimentato gravi traumi infantili sviluppano il DID o un altro disturbo mentale, e ogni persona ha una sua traiettoria evolutiva specifica.
7) Le persone che soffrono di DID non possono essere trattate
La maggior parte delle malattie mentali sono curabili, e il disturbo dissociativo non fa eccezione. Nei casi in cui non si giunge ad una completa guarigione (=integrazione tra le diverse identità), il disturbo può comunque essere gestito efficacemente (Brand et al., 2016). Il trattamento può richiedere molto tempo, forse molti anni, e comporta un intenso impegno da parte del paziente, ma è del tutto possibile per qualcuno che soffre di DID possa condurre una vita normale e soddisfacente. Il trattamento deve essere condotto da un professionista della salute mentale, come uno psicoterapeuta (ISSTD, 2011). I metodi di trattamento includono la psicoterapia a cui si può integrare l’utilizzo di farmaci che agiscono sulla sintomatologia correlata al disturbo (ad esempio sulla depressione o l’ansia).
8) I soggetti che soffrono di DID sono dei killer psicopatici
Gli individui che soffrono di DID non sono killer e non sono psicopatici. Film di genere horror o thriller giocano spesso su personaggi affetti da disturbi mentali, esasperandone le caratteristiche per catturare l’interesse del pubblico. Le peculiarità del DID, purtroppo, si prestano a questo tipo di narrazioni, con personalità “nascoste” estremamente violente e pericolose. In realtà, il disturbo dissociativo dell’identità non è sinonimo di psicopatia, che costituisce una condizione molto diversa, caratterizzante quei soggetti che attuano comportamenti violenti e manipolatori nel contesto di totale freddezza emotiva, mancanza di empatia, senso di colpa e rimorso per quanto fatto. Nel DID è possibile che una o più delle identità, a seguito delle esperienze traumatiche subite, siano caratterizzate da forti emozioni di rabbia e aggressività. In certi casi, queste emozioni possono essere “rimesse in scena” ed “agite” sotto forma di comportamenti aggressivi e distruttivi rivolti a se stessi (atti autolesivi, comportamenti suicidari, abuso di sostanze) o agli altri (aggressioni e relazioni violente) (ISSTD, 2011). Tuttavia non vi è alcuna prova che una persona con un disturbo dissociativo sia più violenta e pericolosa di qualsiasi altra persona con qualsiasi tipo di malattia mentale o senza, e ogni situazione deve essere valutata caso per caso (ISSTD, 2011). Molti pazienti con DID, soprattutto quelli che hanno una storia d’abuso (soprattutto di incesto), al contrario, possono essere particolarmente a rischio di sfruttamento sessuale (Kluft, 1990), vulnerabili a vittimizzazioni da parte di altri e possono essere coinvolti in relazioni abusive (ISSTD, 2011).
di Elettra Pezzica
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