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Disturbi alimentari – Intervista a Valeria Ugazio

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Interviste / Psicologia

Disturbi alimentari – Intervista a Valeria Ugazio

ValeriaUgazio1Valeria Ugazio dopo la laurea si specializza in Psicologia presso l’Università “Cattolica” di Milano dove è allieva di Mara Selvini Palazzoli e aderisce alle idee proposte dal “Milan Approach“.

Frequenta, presso il “Centro Milanese di Terapia Familiare” diretto da Luigi Boscolo e Gianfranco Cecchin, il primo corso della scuola in psicoterapia sistemica. Di quest’ultima è successivamente docente dal 1982 al 1992. Con Anolli tiene l’insegnamento di psicoterapia nell’anno accademico 1982/83 presso la scuola di specializzazione in psicologia dell’Università Cattolica di Milano.

Distaccandosi successivamente dagli assunti che caratterizzavano il “Milan Approach”, nella seconda metà degli anni ottanta entra in contatto con il modello psicopatologico di Vittorio Guidano e il cognitivismo costruttivista sviluppando poi la “Teoria delle polarità semantiche”. Secondo tale modello, all’interno di un particolare “universo di significati” che predomina in una famiglia, ciascun individuo sarebbe chiamato a “occupare” all’interno di uno “spazio conversazionale” una particolare “posizione” rispetto alla semantica critica. Tale posizione lo differenzia dagli altri membri e ne può chiarire il tipo di psicopatologia. Nel 1998 pubblica “Storie permesse e storie proibite”.

Nel 1999 fonda l’European Institute of Systemic-relational Therapies (E.I.S.T.), scuola di specializzazione nelle psicoterapie sistemiche individuali, di coppia e familiari.

Nel 2012 pubblica una edizione aggiornata e rivista di Storie permesse e storie proibite, che l’anno successivo è pubblicata da Routledge.

Ha insegnato in diverse università italiane, tra cui l’Università Ca’ Foscari di Venezia, l’Università statale di Torino, le università di Milano Bicocca e Cattolica.

Insegna all’Università di Bergamo dove ricopre la carica di professore ordinario di Psicologia clinica presso il Dipartimento di Scienze Umane e Sociali. È membro del comitato scientifico di alcune riviste tra le quali: “Terapia familiare”, “Psicoterapia”, “Connessioni”, “Human Systems. The Journal of Systemic Consultation” e “Journal of Constructivist Psychology

https://www.youtube.com/watch?v=IcB2eW5_R3Q

Indice

00:11 Anoressia:  il coraggio di una negazione.

04:19 Negazione, accudimento e semantica del potere.

07:56 Storia di un mancato riconoscimento.

14:30 ll ruolo della madre è così determinante?

18:45 Gli aspetti di risorsa nel disturbo alimentare.

22:07 Determinazione e volontà nel processo di guarigione e scelta del percorso terapeutico

24:51 Il bisogno di un intervento anche individuale: ecco perché.

 

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Anoressia: il coraggio di una negazione.

Luca Mazzucchelli: Un saluto a tutti da Luca Mazzucchelli, oggi parliamo di disturbi alimentari, lo facciamo con Valeria Ugazio, nostra ospite già nota sicuramente ai visitatori di questo canale You Tube perché è già stata protagonista di due video: il primo dove racconta della depressione e degli aspetti di risorsa insiti in questa condizione [Depressione:il lato buono che non ti aspetti – Valeria Ugazio]  e l’altro in cui spiega il suo originale approccio psicoterapeutico [Terapia Sistemico relazionale – Valeria Ugazio] Valeria grazie per la tua disponibilità anche oggi.

Valeria Ugazio: Grazie a te di essere qui e di avermi invitata ancora una volta a fare una chiacchierata con te.

LM: Valeria, disturbi alimentari: forse non è difficile immaginarsi perché una persona mangi tanto o decida di andare a vomitare per mantenere o portare il peso a quello che è il suo ideale. L’anoressia mi sembra essere un comportamento più enigmatico: che cosa spinge una ragazza, quali motivazioni spingono a rifiutare il cibo e a ridurre il proprio corpo come se fosse uno scheletro?

VU: Effettivamente è un comportamento enigmatico, hai ragione Luca, una risposta certa non te la posso dare, ti posso dare una risposta congetturale. Non lo sanno nemmeno le anoressiche fino in fondo, anche se come già diceva la Selvini il comportamento anoressico è in qualche modo un comportamento sintomatico più volontario di altri sintomi. Pensa ad un attacco di panico, la persona che ha un attacco di panico non lo vuole, è un comportamento assolutamente involontario, mentre le anoressiche ricercano l’emaciazione, però non è uno sciopero della fame. Neanche loro non solo non lo dicono, ma infondo non sanno fino in fondo perché c’è questo rifiuto, è oscuro anche a loro[…]. Ti posso dire l’ipotesi che ho maturato io lavorando con loro, con le anoressiche. Io penso che la scelta dell’ emaciazione, questo desiderio perpetrato fino a diventare ischeletrite derivi proprio da un desiderio finalmente di dire un no. Le anoressiche in genere se tu ricostruisci la storia sono state spesso bambine modello, che la dove le mettevi stavano, sono state bambine che hanno cercato di adeguarsi all’altro, adesso dicono per la prima volta un no, definiscono un no molto chiaro. Hilde Bruch per prima ha colto un punto secondo me fondamentale o almeno che lavorando con loro ho trovato fondamentale: le persone che diventano anoressiche o nel periodo dell’anoressia hanno sofferto un senso di inefficacia personale, hanno come l’impressione di agire sempre in risposta agli altri piuttosto perché sentono o vogliono fare qualcosa. Dicendo di no al cibo in qualche modo definiscono molto la loro identità, mettono per la prima volta un forte no, un equivocabile no.

Negazione, accudimento e semantica del potere.

LM: E’ un no al cibo o un no anche a qualcos’altro?

VU: Qui cogli un punto fondamentale…tutti abbiamo fatto una dieta, tutti  i giovani oggi hanno un’attenzione al cibo e molte ragazze iniziano una dieta e ad un certo punto alcune non si fermano. Il processo dà a loro un senso di efficacia personale, perché allo stesso tempo consente di mantenere una cosa importante, consente di mantenere un senso di efficacia personale, ma anche una relazione con i genitori.  Tu pensa di essere il genitore di una ragazza che rifiuta il cibo e diventa uno scheletro e non ti sai spiegare il perché, quindi dicono un no ai genitori, ma nello stesso tempo mantengono la relazione e la stringono, perché se hai una figlia anoressica è una figlia che non è capace di alimentarsi quindi tu come genitore torni nuovamente in carica. L’anoressica ti dice un no, rifiuta il cibo che emblematicamente è anche un rifiuto del genitore che ti da il cibo, ma allo stesso tempo lo rimette in carica, lo costringe ad occuparsi di lei, gli ridà un’importanza, lo ripropone nel ruolo genitoriale.

LM: Mi ricordo dalle tue lezioni, forse citando anche la Selvini, che l’anoressica fa un bel regalo in una carta brutta, con questa metafora intendi quanto hai appena detto?

VU: Sì, intendo questo, fa un bel regalo in una carta brutta. Sei andato su un punto importante, perché l’adolescenza è un periodo difficile per tutta la famiglia, considera che le famiglie che hanno una figlia anoressica in generale sono famiglie molto normali, sono famiglie con tanti problemi come tutte le nostre famiglie in qualche modo,  però incontrano una particolare difficoltà nel periodo dell’adolescenza. L’adolescenza o la preadolescenza è un periodo crucialmente difficile per la futura anoressica,  ma lo è per tutta la famiglia,  molto più di quel che accade per le altre famiglie e considera che sono famiglie che danno molta importanza all’accudimento dei figli, i figli sono importanti in queste famiglie.

Storia di un mancato riconoscimento.

VU: Questo è lo scenario, perché l’adolescenza è un periodo difficile per queste famiglie? Perché sono famiglie che non hanno più problemi delle altre, ma hanno una fortissima competizione interna, sono famiglie dove io dico che prevale la semantica del potere. Cosa intendo con questa semantica? Sono famiglie dove la conversazione è molto orientata a chi nella famiglia ha successo, chi riesce e chi invece rimane indietro.  In queste famiglie è importante essere determinati: chi ha successo, chi riesce è perché è determinato. Questo è importante. L’anoressica combatte con armi apprezzate nella sua famiglia, cioè con la determinazione, tutti vorremmo qualche kilo in meno, ci vuole molto impegno e queste sono famiglie dove è apprezzato chi si impegna, chi è determinato. Sono anche famiglie dove c’è molta competizione, quindi chi si impegna, chi è determinato, chi quindi è vincente rispetto alla comunità, ha successo nel suo lavoro, nella sua professione, nelle relazioni che ha a seconda di quello che fa non è facilmente riconosciuto. La comunità lo riconosce, ma non è riconosciuto. Una madre è dirigente di azienda e noi  vediamo che in famiglia dicono che sì è una dirigente di azienda, ma è una “squaletta”, può essere dirigente di azienda perché c’è stato qualcuno che l’ha aiutata, perché sennò non ce l’avrebbe fatta, che è furba… Lui è diventato importante in finanza, ma ti dicono che è uno con il pelo sullo stomaco, non si è occupato di niente, è stato furbo eccetera. Non hai mai un riconoscimento, la moglie di un padre di un’ anoressica non portava un gioiello, il marito dal nulla si era fatto un sacco di denaro, avevano una casa bellissima, lei non se ne curava assolutamente per niente e diceva che quello che importa sono i sentimenti. Nessuno ti riconosce, a  partire dai tuoi genitori. E’ un tema che in letteratura viene poco sviluppato, anche i genitori o i nonni non riconoscono i loro figli. Avevo presente un papà di un’anoressica che era diventato un avvocato davvero di grande prestigio, ci teneva moltissimo aveva pranzi la domenica e avrebbe voluto anche la sua mamma che era rimasta fra l’altro vedova, ma la mamma veniva e scappava via, perché preferiva stare con la figlia a cui aveva regalato un negozietto, che era un po’ obesa ma su cui si sentiva importante. Con questo figlio che aveva anche una moglie simpatica, non era una nuora che non volesse la suocera, ma in questa famiglia che aveva raggiunto successo lei non si trovava bene. Abbiamo una carenza cronica di conferme. Come bambina cerca di fare bene a scuola, è una bambina che si comporta bene e ottiene conferme dalla sua mamma, perché quando porti in giro una bambina brava e bella non sei competitivo rispetto ad una bambina, quando diventi un’adolescente il gioco cambia, è ovvio che diventi competitiva. Tra l’altro in genere è stata una bambina molto amata dagli insegnanti perché si comporta bene, ma con un rapporto competitivo con i compagni di scuola, i fratelli e le sorelle. Diventando adolescente questo pattern di comportamento si rivolge un po’ anche ai genitori: non sono più le star. Quando un figlio, i tuoi sono piccoli sei lontano da questo, diventa adolescente trova altri idoli e questo determina una crisi anche dei genitori. Considera che i genitori vogliono fare i genitori proprio anche perché hanno anche molte soddisfazioni. Tu hai dei bambini piccoli, è gratificante, il bambino ti guarda e ti da in queste famiglie delle soddisfazioni che nemmeno i tuoi genitori ti han dato. Il bambino ti guarda e sei un idolo per lui, ti mette al centro, ti ammira, sei grande, sei bravo e questi genitori trovano anche una grande e giusta gratificazione in questo.

Il ruolo della madre è così determinante?

Rispetto al ruolo dei genitori molte teorie mettono in evidenza il ruolo della madre in questo genere di problematiche. La tua idea?

VU: La mamma è stata ingiustamente accusata, ha un ruolo sicuramente la famiglia, ma non soltanto la mamma. Queste sono famiglie dove c’è competizione. Ad esempio la figlia torna a casa da una festa e dice di essere stata eletta “miss occhi verdi”, la mamma può dire di essere contenta e che effettivamente ha dei bei occhi verdi…ma le caviglie? E arriva la sorella che rincara la dose dicendo che il nasino non è proprio all’insù. In questa dinamica partecipano anche il papà, i fratelli e le sorelle, non meno della mamma. Ho in mente un papà che era commercialista, la figlia fa economia, torna e soffre tantissimo che si sia innamorata di alcuni insegnanti bravi, torna a casa e dice al padre una serie di cose che contrattacca, discute quello che il padre dice. Spesso i padri sono molto gelosi dei fidanzati, per non parlare dell’incontro con la famiglia dei fidanzati, dei corteggiatori insomma, degli uomini che entrano in famiglia. Non è la mamma la protagonista principale, ti do anche una motivazione meno superficiale e più profonda. L’anoressia sebbene sia una patologia che può diventare anche grave, non presenta un danno primario, le anoressiche hanno avuto un’infanzia normalissima con delle mamme in genere accudenti. La mamma ha un’importanza maggiore nella prima infanzia, poi ovviamente papà nonni e famiglia entrano ma in modo indiretto, nelle nostre culture ancora la mamma svolge una funzione preminente. Le anoressiche, se sei un clinico lo vedi nell’interazione, sono persone che non hanno un danno primario, i problemi prima dell’adolescenza non ci sono. Un po’ di problemi ci sono come tutti, ma non specifici, quindi io trovo che l’insistenza sulla madre nel caso delle anoressiche sia assolutamente fuori luogo. Il papà è altrettanto importante e spesso anche i nonni hanno non poca importanza.

LM: Da quanti anni lavori con pazienti con disturbi alimentari?

VU: Questa è la patologia con cui ho lavorato di più, perché ho cominciato alla fine degli ani settanta ed è stata Mara Selvini Palazzoli a mandarmi le prime anoressiche ed era una situazione non tanto facile perché sembravo molto giovane e quando arrivavano le famiglie mi dicevano: “Ma è lei la dottoressa Ugazio?!” Avevano chiesto di andare da Mara Selvini Palazzoli, che era un’autorità ed era avanti negli anni, invece si trovavano di fronte una ragazzina, quindi ho cominciato molto presto.

Gli aspetti di risorsa all’interno del disturbo alimentare.

LM: Cosa ti hanno insegnato rispetto alle risorse insite in questa loro condizione, ci sono aspetti di risorsa…

VU: Tanti, tantissimi aspetti di risorsa. Prima di tutto le anoressiche hanno una grande capacità relazionale, il loro punto debole è un altro, ma la capacità relazionale è fortissima. Per questo non sono d’accordo con quanti dicono che le anoressiche hanno aspetti narcisistici, non ci sono affatto. Caso mai nell’anoressia abbiamo aspetti di egocentrismo che può esserci e non esserci, dipende, sicuramente non ci sono aspetti di narcisismo perché sono molto attente alla relazione, decisamente competenti. In questa semantica molto competitiva basata sul confronto si crea un’attenzione fortissima alla relazione. Tu considera che il mondo è fatto di relazioni.

C’è anche un aspetto addirittura maggiore di risorsa, addirittura nel danno. Le anoressiche quando cominciano a stare bene, quando iniziano a prendere peso, quando escono dall’anoressia hanno una fase in cui sono giù di morale. Io non dico depresse perché non è vero, non è una vera e propria depressione, ma piangono sono giù di morale, piangono perché si rendono conto di aver perso anni cruciali, a volte due – quattro anni , chiudendosi nella lotta col cibo, una guerra che dà un senso di efficacia personale, ma che le impegna totalmente, lo stimolo della fame lo sentono anche loro come lo senti tu e lo sento io, quindi un’attenzione continua. A volte piangono pensando all’aver perso anni cruciali, al non aver fatto esperienze fondamentali per la propria età. Vero tutto questo, ma io rispondo loro quello che ora rispondo a te: questi anni non sono persi, le anoressiche hanno fatto uno straordinario esercizio di determinazione, di riuscire ad esprimere fino in fondo attraverso la battaglia contro il cibo la propria volontà, è un esercizio di volitività, e qualsiasi cosa tu voglia fare nella vita o sei determinato o non ce la fai. Auden era un poeta e quando gli chiesero cosa fosse importante per un poeta disse: “Bah, l’intelligenza non saprei se sia cosi determinante, la sensibilità sì, forse è importante, ma più di tutto bisogna farsi un mazzo, bisogna lavorare”. Persino la poesia nasce da uno sforzo enorme e le anoressiche hanno fatto un addestramento importante.

Determinazione e volontà nel processo di guarigione e scelta del percorso terapeutico

LM: Questa determinazione e volontà può aiutarle nel processo di guarigione sia anoressiche che bulimiche?

VU: Assolutamente si, anzi è facile la guarigione, anche se esiste una percentuale entro il 10% di persone che muoiono di anoressia, ma di anoressia si guarisce, la terapia funziona e si guarisce in modo totale, è un superamento completo.

LM: Quale percorso terapeutico suggerisci?

VU: La terapia familiare, ci sono anche tutti i risultati, è la terapia considerata d’elezione, anche la Nice in Inghilterra la considera il trattamento di elezione soprattutto nell’adolescenza, nella pubertà e lo capisci non fosse altro perché almeno inizialmente le anoressiche non vogliono guarire, perseguono l’emaciazione anche se non sanno nemmeno loro perché sia per loro così importante. L’aiuto della famiglia è determinante, poi sono molto relazionali, sono famiglie dove ci sono rapporti molto stretti, è assolutamente il trattamento di elezione. Ultimamente, negli ultimi 15anni, tendo a privilegiare percorsi alternati dove c’è una prima fase di lavoro con la famiglia, una fase di lavoro individuale e si richiude con la famiglia, sono famiglie che vogliono seguire il percorso dei figli, però c’è anche una parte individuale. Questo tipo di percorso che ho elaborato è per affrontare meglio i problemi delle anoressiche e ti dico il problema fondamentale, abbiamo visto che ci sono tante risorse, io te ne ho dette due, sono persone in cui la semantica del potere le rende capaci di muoversi nelle relazioni con il mondo esterno, sanno come muoversi nelle relazioni di potere.

La scelta di un intervento individuale: ecco perché.

VU: Ci sono tantissime cose positive, però c’è un punto problematico nella vicenda di queste famiglie. Te lo dico con due immagini: questa immagine è una immagine di Tamara de Lempicka, era bella come questa immagine glamour, questa magnifica elegante donna, è un quadro molto interessante, considera che  è stata la prima artista donna ad essere anche una star, un’attraente star. Noi oggi ne abbiamo parlato poco, abbiamo parlato dell’anoressia principalmente, ma oltre all’anoressia e alla bulimia ci sono le obesità che fanno parte della stessa famiglia e c’è un problema che trovi negli uni e negli altri, è un problema che passa trasversalmente nei disturbi alimentari. Guarda ora questa seconda immagine apparentemente opposta:[26:15] Botero, che conosci benissimo, il pittore colombiano che era specializzato nel fare persone un po’ sovrappeso. Qui [primo quadro] abbiamo un’elegante donna di alto livello sociale, qui [secondo quadro] abbiamo invece una popolana. Botero era molto ironico, la signora espone le sue grazie che dovrebbe nascondere…c’è molta ironia, è un quadro molto diverso dal primo. Se li guardi però hanno un tratto in comune che è tipico dei disturbi alimentari: il fatto che in questi quadri bellissimi c’è un tipo di bellezza dove tutto quello che c’è da vedere è fuori, non c’è introspezione, c’è poca interiorità. Sono quadri bellissimi, anche adatti ad essere un manifesto, quello che ti devono dire te lo dicono. Questo è l’aspetto problematico dell’anoressia e di tutti i disturbi alimentari, è un aspetto che passa trasversalmente fra quelli che sembrano degli opposti, cioè qui abbiamo un sistema di allevamento che  è tipico di quando in una famiglia è importante chi ha successo e chi non ce l’ha, c’è un’attenzione sempre al confronto, all’altro. Attenzione che poi abbiamo visto essere anche utile, ma che ti rende incompetente sulle tue emozioni. Quando una ragazza  anoressica o che lo diventerà torna da una festa ad esempio il papà o la mamma non le chiedono se si sia divertita, le chiedono se ha fatto bella figura, se la ammiravano, se era al centro dell’attenzione oppure se sia rimasta in ombra, se non sia riuscita a farsi valere eccetera. Quando si tratta di decidere il percorso scolastico non ti guardano a quello che tu sei, alla tua dotazione naturale genetica o costruita […], guardano se riuscirai a fare una determinata cosa. Io ricordo una ragazza che ho incontrato che aveva quasi trent’anni e che aveva un problema di bulimia che si portava dietro da anni, lei ad esempio aveva fatto architettura. Quando la incontro non fa affatto l’architetto anche se aveva avuto il massimo del punteggio, premi eccetera, perché non sapeva tirare una riga, non era una cosa che le piaceva. Faceva infatti il dirigente, stava cercando di diventare dirigente. Sono esempi banali, ma se vuoi c’è una incompetenza rispetto a quello che tu sei, che tu senti. Su questo hai un vuoto, hai una competenza sulle relazioni ma non sui sentimenti e le emozioni. Un lavoro individuale serve per trovare, per chi capire chi tu sei. Nelle famiglie sono soprattutto i figli ad avere questi problemi, perché è quando questa semantica fondata su vincenti e perdenti diventa cosi importante che allora le persone guardano nel piatto dell’altro, io scherzosamente dico che sono strabiche, non guardano dentro di sé, guardano fuori e questo richiede un trattamento attento a te, a chi sei a quello che ti piace fare. Riuscire a capire i tuoi talenti e quello che tu vuoi essere e che deve essere ciascuno a modo suo.

LM: Valeria generosissima e preziosissima come sempre, chi avesse piacere di approfondire questo argomento ricordo il libro Storie Permesse Storie Proibite dove vengono discussi nei dettagli molte delle cose a cui abbiamo accennato e anche altre. Vi ringrazio per averci seguito e alla prossima.

 

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