Faccio bene a iscrivermi a psicologia?
Iscriversi a psicologia conviene? – intervista a Claudio Bosio
A cura di Luca Mazzucchelli
Il Professor Bosio è Preside della Facoltà di Psicologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (dal 2011) e presidente della Consulta di Psicologia Accademica (CPA) italiana (dal 2014). È Professore Ordinario di Psicologia dei Consumi e del Marketing presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore. Dal 2006 Direttore Scientifico del Master in “Metodi Qualitativi per la ricerca applicata all’indagine sociale e di marketing” presso la medesima Università. È infine Direttore scientifico della rivista Micro&Macro Marketing dal 2011.
Indice della chiacchierata
00:22 Iscriversi a Psicologia costruendo un progetto.
02:55 Sbocchi lavorativi oggi:nuove e vecchie professioni.
05:53 Psicologia: una professione da valorizzare.
10:35 La psicologia fra vent’anni: alcuni drivers secondo Claudio Bosio
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Mappa mentale dell’intervista a Claudio Bosio – A cura di Luca Mazzucchelli
A. Claudio Bosio: Fare lo psicologo
Sbobinatura intervista
Iscriversi a Psicologia costruendo un progetto.
Luca Mazzucchelli: Faccio bene ad iscrivermi alla facoltà di psicologia? E’ una domanda che molti giovani ragazzi e ragazze spesso mi pongono perché spaventati dalle prospettive occupazionali e dall’iter che aspetta loro. Di questa domanda parlo oggi con Claudio Bosio che è il Preside della facoltà di Psicologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Oggi è mio ospite, grazie Claudio per il tuo tempo oggi.
Claudio Bosio: Grazie a voi …
LM: Claudio tu qualche anno fa hai effettuato una fotografia molto interessante della nostra professione che mantiene anche nell’attualità un suo interesse molto molto importante. Come vedi ad oggi la condizione professionale dello psicologo, hai l’impressione che si riesca a lavorare e in quali ambiti?
CB: Cominciamo a sfatare alcuni miti: il problema per gli psicologi non è tanto quello di trovare un’occupazione in ambito psicologico. Anche con i tempi di crisi non abbiamo avuto delle cadute specifiche, se non un’onda lunga che ha interessato un po’ tutto il mondo giovanile. Il problema degli psicologi non è nemmeno quello di fare cose interessanti, in genere ci riescono abbastanza in fretta sulla base delle loro motivazioni. Il problema degli psicologi molto spesso è quello di essere riconosciuti anche da un punto di vista economico per quello che fanno. Tu dicevi se si fa bene ad iscriversi a psicologia, si ritorna alla grande domanda di fondo per dire sì, ma a certe condizioni: primo, devo avere forti motivazioni per farlo, perché è una professione che richiede grossi investimenti personali; secondo, non devo commettere l’errore fondamentale di pensare che studiare psicologia sia imparare una professione. Studiare psicologia significa imparare dei riferimenti scientifici, poi nel piano di formazione ci deve essere una progettazione specifica che faccia transitare dalla formazione alla professione. In altre parole, faccio bene se nel momento in cui mi iscrivo a psicologia comincio a riflettere e a far crescere un progetto di professionalizzazione che significa esplorare anche il mondo delle opportunità, vedere quali sono le opportunità che sono più consone alle mie esigenze, capire anche la diversità degli sbocchi professionali.
Sbocchi lavorativi oggi: nuove e vecchie professioni .
LM: Chiarissimo. Sbocchi professionali ne vedi ad oggi?
CB: Ce ne sono tanti e anzi vorrei dire forse troppi. Il problema qui non è tanto della numerosità ma è, per usare una metafora, quella di imparare a surfare sul mondo delle professioni. Noi siamo un mondo di professioni molto ampio che però è in forte movimento di cambiamento. Abbiamo un blocco storico delle professioni che è quello del welfare, della sanità, dei servizi alla persona, dell’educazione che in qualche maniera ha bisogno di essere rivisto e rinegoziato. Noi sappiamo come per gli psicologi nell’ambito della sanità negli ultimi dieci – quindici anni ci sia stato meno accesso. Questo dal mio punto di vista ha comportato un impoverimento dell’offerta di salute in Italia. Il problema che abbiamo oggi è di riacquisire spazi, reputazione e credibilità in questo ambito. Dall’altra parte c’è tutto il mondo delle nuove professioni che passa dalla comunicazione ai new media, ma anche alle relazioni meno scontate. Ho in mente il non profit, ho in mente settori dell’economia o la robotica per esempio, cose che sono molto lontane e che si configurano come nuove professioni, dove lo psicologo può esserci dentro non come protagonista unico, ma come professionista fra i professionisti in grado di sviluppare un risultato professionale. Per questo io credo che la cosa fondamentale sia avere una grossa attenzione alla mobilità. Guardare il mondo fuori, vedere come cambia, intercettare le nuove domande potenziali e ritagliare su queste domande potenziali quelle che possono essere i propri progetti professionali. E’ chiaro che è un lavoro, un lavoro che pone il problema di qualificazione del percorso. Credo che chi sa fare questo lavoro e non soltanto come singolo, intendo anche quelle istituzioni formative che si pongono in questa logica, quindi non soltanto insegnare materie discipline, ma sviluppare progettazioni culturali scientifiche e professionali, riusciranno a operare un transito felice.
Psicologia: una professione da valorizzare.
LM: In base alla ricerca che hai fatto hai l’impressione che gli psicologi siano contenti della scelta professionale che hanno fatto o siano a qualche livello “pentiti”?
CB: Gli psicologi in genere sono contenti della scelta che hanno fatto. Il motivo della loro contentezza rinvia proprio a quelle motivazioni personali, quel riscontro personale che uno ha nella professione e sono motivazioni in qualche maniera autogene: volevano fare lo psicologo, stanno facendo delle cose per diventarlo, hanno voluto dedicarsi e sono contenti di fare questo. Questo non toglie che nella professione vi siano aree che vanno assolutamente migliorate e che oggi sono motivo di scarsa o nulla soddisfazione. La prima di queste è l’aspetto economico. Noi non abbiamo in maniera specifica un problema di disoccupazione, abbiamo un problema di sottovalutazione economica di quello che facciamo e con i numeri che abbiamo, siamo 100mila psicologi in Italia fra poco, non dobbiamo correre il rischio di proletarizzare una professione; per tenerla a dei livelli professionali dobbiamo in qualche modo qualificare anche questo livello economico, non solo economico ma anche di reputazione sociale. Il problema della costruzione, del potenziamento del valore sociale e della reputazione sociale, dell’utilità sociale dello psicologo e del fare lo psicologo sarà uno dei punti qualificanti a sostegno di questa professione.
LM: Quali sono le nostre risorse secondo te per riuscire a far veicolare questo valore, per riuscire a far sentire il peso del nostro contributo?
CB: Noi veniamo da un passato in cui abbiamo goduto del fatto che potevamo fare gli psicologi perché c’era bisogno di psicologia. Bastava essere psicologi e qualcuno che aveva un bisogno più o meno immediatamente si riferiva a te. In una società evidentemente più complessa le risposte ai bisogni che magari prima occupavamo in termini più univoci oggi sono partecipati anche da altre forme professionali. Il problema che abbiamo non è di laurearci, sederci e aspettare che qualcuno venga a chiedere la nostra professione, anche a livello di gruppo professionale, soprattutto a livello di gruppo professionale e anche dei singoli il problema è vendere al meglio la professione. Con “vendere al meglio la professione” non intendo operazioni banali di pubblicità, ma intendo quel tipo di costruzione sociale del valore della professione che è fondamentale. Gli psicologi sono una risorsa per il paese, una risorsa per le persone e bisogna mostrare in che senso, per quali aspetti e in che circostanze. Poi gli strumenti sono tanti, voglio fare una boutade. Parliamo di comunicazione: la figura dello psicologo nell’ambito della comunicazione di massa è una figura assente. Quando è stata veicolata in qualche programma televisivo di entertainment o di rete 1 o rete 2 non è stata una figura particolarmente brillante. Guardiamo cosa han fatto le forze dell’ordine, carabinieri e polizia negli anni ’90 quando hanno avuto bisogno di fare un’operazione di riqualificazione dell’immagine e di valorizzazione di quello che facevano: Il maresciallo Rocca piuttosto che Distretto di polizia piuttosto che altri programmi. Io credo che bisogna avere la pazienza oggi di creare una rappresentazione sociale che sia onesta e che sia in grado di trasmettere il valore di cui possiamo essere portatori oggi nella società, gli strumenti poi li definiranno gli esperti.
La psicologia fra vent’anni: alcuni drivers secondo Claudio Bosio
LM: Ultima domanda Claudio: come ti immagini la psicologia fra vent’anni?
CB: Sicuramente molto diversa da quella di oggi. Noi ci stiamo dibattendo, […] è difficile dire come sarà tra vent’anni, è più facile immaginare quali sono i drivers su cui si costruirà la nuova psicologia o si costruiranno i futuri psicologi, posto che si chiameranno ancora tali perché questa non è una domanda a cui saprei rispondere con certezza. A me sembra che siano due i drivers di fondo: il primo driver riguarda il presidio di alcune aree che sono tradizionali, classiche come la psicoterapia per esempio. Come vogliamo gestire la psicoterapia, che en passant è sempre l’occupazione dominante, ma lo è sempre di meno. Come vogliamo gestirci la psicoterapia a fronte di altre opportunità professionali che spesso sono molto lontane dal contesto psicoterapico. Le nuove professioni in genere, l’entertainment, la società della conoscenza, la formazione, il mondo organizzativo e via di seguito. Come vogliamo gestire questa pluralità e leggerne le priorità e dove ci vogliamo muovere, queste sono le scelte fondamentali. Il secondo driver risponde a questa domanda: saremo professionisti in esclusiva in un certo ambito o concorreremo in qualche maniera a dare un’interpretazione da psicologi ad un compito che non sarà soltanto da psicologi? Faccio anche qui un esempio: psicoterapia e ricerca di marketing. La psicoterapia è uno strumento, un’occupazione, un ambito professionale che è tipicamente da psicologi, che difendiamo giustamente come specificità degli psicologi. Sbaglieremmo se travasassimo questo atteggiamento nell’ambito della ricerca di marketing che pure occupa alcune migliaia di ricercatori e fra questi una parte consistente di psicologi. Ci sono psicologi, sociologi, linguisti, economisti, addirittura filosofi e sicuramente mi sto dimenticando di qualcuno. Voglio dire che ci sono mondi professionali in cui ci possiamo essere anche noi e ce la possiamo giocare alla grande, ma non soltanto noi, il che pone tutto il problema della capacità di essere competitivi, ma anche collaborativi, di creare quel differenziale di valore per cui una certa cosa la si fa svolgere ad uno psicologo e non ad un’altra persona. Un tema su cui sto riflettendo in questo momento su un crinale che mi pare particolarmente cruciale da questo punto di vista è il tema del counseling. Oggi il tema del counseling ha una variabilità di interpretazione molto ampia. Sicuramente c’è una componente psicologica che è fondamentale e fondativa. Il punto è che temo non riusciremo a risolverla il termini di pura protezione del settore, ma di qualificazione, di differenziale di brand per cui se lo fa uno psicologo è meglio …
LM: Ha più valore … Claudio grazie per questi spunti e per questa chiacchierata, ci vediamo alla prossima.
CB:Grazie a voi …