genitori disabili? Si può! – Prima parte
genitori disabili? Si può! – Prima parte
In quanti pensano che la disabilità possa, in qualche modo, ostacolare il processo evolutivo individuale consistente, ovviamente, anche nel diventare genitori?
Accudire un neonato, fornirgli le cure primarie, dargli tutto il sostegno emotivo e affettivo di cui ha bisogno: come si può se già chi deve fare tutto questo ha, lui per primo, bisogno di tanto aiuto e sostegno?
E invece è possibilissimo e, anzi, praticamente normale!
Se continuerete a leggere questo articolo e il successivo, vi fornirò una serie di testimonianze date da persone disabili visive che stanno crescendo figli, sulle loro difficoltà, sulle loro gioie e sugli accorgimenti che utilizzano per aiutarsi. In realtà, partiremo da questo, ma il discorso poi cercherà di essere il più possibile generale. Non prendete queste righe come delle ricette, ma solo come occasioni di confronto e scambio di diversi punti di vista su una questione che per tutti è, probabilmente, la più complicata al mondo!
Quando una coppia decide di avere un figlio, indipendentemente da un’eventuale disabilità, cerca un costante confronto con chi è già genitore, ha più esperienza e può aiutare i novizi durante tutte le fasi che vanno dal desiderio di concepire, alla nascita e alle fasi successive. Per fortuna, l’uomo è un animale sociale per natura. Quante sono le ansie che poi vengono attenuate dal dialogo con un’amica, la mamma, una cugina e via dicendo? Detto tutto questo, comunque, bisogna distinguere le paure derivanti dal proprio carattere e i limiti oggettivi derivanti dall’handicap.
Innanzi tutto leggiamo alcune esperienze di genitori e fratelli disabili visivi. Per ragioni di privacy, saranno riportate solo le iniziali dei nomi di battesimo.
S., 29 anni, ipovedente. Ha due figli, uno di 6 anni e uno di 4. In gravidanza aveva paura che nascessero col suo problema, ma per ora stanno bene. “Ci sono molte difficoltà ma, piano piano, diventa una cosa meccanica e ce la si può fare benissimo.” Col primo figlio, soprattutto all’inizio, l’ha aiutata sua mamma, ma col secondo ha fatto tutto da sè. La cosa che la spaventa ancora è andare da sola in giro con loro, soprattutto nei posti pubblici.
D., ipovedente e separato, ha una figlia di 9 anni e dice di averla cresciuta praticamente senza l’aiuto di nessuno. “Difficoltà tante, nessun problema. Quando ami tuo figlio, i problemi non si vedono!” Per medicarle l’ombelico quando era piccola, ad esempio, usava le mani anziché gli occhi, con delicatezza. La questione non è crescere un figlio, ma superare i pregiudizi degli altri che ritengono che i disabili visivi non possano diventare genitori. Ci sono figli di normovedenti che vanno in giro spettinati e malconci, figli di disabili visivi che sono sempre ordinati e viceversa. J. ha praticamente cresciuto alcune tra le sue 5 sorelle. Tra di loro, solo un’altra non vede. Quando si è trovata ad accudire le sorelle minori, ha avuto difficoltà: era piccola, non vedente, nessuno le aveva insegnato come comportarsi. Ha imparato da sola con l’esperienza.
Anche tra fratelli disabili e normodotati ci si sente tutti uguali, nessuno escluso.
E come fanno i figli ad accettare la disabilità dei loro genitori?
Nessun genitore ha mai dovuto spiegare nulla a suo figlio, viene tutto naturale. Il bimbo, fin da piccolo, capisce che la mamma o il papà hanno un problema e reagiscono di conseguenza. Il primo figlio di S., ad esempio, ha iniziato a tre anni a vedere il colore del semaforo e a dire alla gente di lasciarli passare. D. va a fare la spesa con la sua bimba ed è lei a dirgli cosa costa meno dei prodotti esposti. Nonostante lui abbia i mezzi per poterlo fare autonomamente, è lei a leggergli la posta.
Quando i figli di entrambi fanno un disegno, glie lo descrivono senza che i genitori debbano chiedere nulla. Succede la stessa cosa a scuola quando, in una classe, c’è anche un bambino disabile. I compagni non capiscono qual è il problema specifico, ma sentono che il disabile ha dei bisogni diversi dagli altri. Per questo chiedono, ad esempio, “Perché hai gli occhi chiusi?”. Bisogna insegnare ai ragazzi a non aver paura di fare domande che, secondo loro, possano imbarazzare il compagno. Se sono poste con rispetto e con la voglia sana di conoscere, sono bene accette ed è giusto che la risposta sia data con lo stesso stile. Può capitare che un disabile non abbia voglia di parlare dei suoi problemi e, per motivi legati alla sua storia, risponda in modo aggressivo o scostante. Ciò non deve scoraggiare nessuno, anzi, deve incoraggiare a coltivare questo atteggiamento conoscitivo perché ognuno di noi è diverso e ognuno di noi, sempre, darà risposte diverse alle domande che gli saranno poste.
Come avviene la comunicazione madre-figlio in mancanza della vista?
Tutti sappiamo che le prime forme di interazione tra madre e bambino si hanno attraverso il gioco di sguardi e le risposte che la madre dà ai sorrisi e agli sguardi del piccolo. Se la madre non vede, è ovvio che sia necessario trovare una forma di comunicazione diversa, che cambierà da diade a diade.
Com’è possibile che i bambini così piccoli aiutino i genitori?
Su questo punto ci sono varie risposte. La prima è che probabilmente accade una cosa simile a quella che succede nei figli degli alcolisti, cioè una sorta di adultizzazione precoce. Quante volte un bambino, vedendo uno dei due genitori ubriaco o star male, chiama l’ambulanza? E quante volte questo rito si ripete in situazioni del genere? Quante volte sono i figli stessi a svegliare i loro genitori per farsi accompagnare a scuola? Ciò succede perché i bambini si rendono conto ancor prima degli alcolisti stessi di cos’hanno bisogno.
Si potrebbe dire che aiutare i genitori rende i loro figli più responsabilizzati?
Una seconda risposta è la seguente.
I figli dei vedenti e dei disabili visivi crescono allo stesso modo, i secondi non sono più adulti o responsabilizzati dei primi. Per i figli dei disabili tutto ciò è normale, non il frutto di insegnamenti o adultizzazioni. I bambini non vedono la disabilità del genitore: “papà non vede e basta”, non “papà è disabile”. Nascere cechi in una famiglia di cechi è normale, così come lo è nascere vedenti in una famiglia di disabili visivi. Accade il contrario se a un genitore sano nasce un figlio disabile. In questo caso specifico, il problema non sarà tanto del figlio, quanto del genitore che, probabilmente, proverà un senso di colpa molto grande.
Il figlio di disabili visivi, crescendo, potrebbe vergognarsi dei suoi genitori a causa della loro disabilità?
Questa paura spesso provoca molti dubbi ed impedisce ai giovani di affrontare serenamente la possibilità di avere un figlio. Ciò è imputabile alla nostra società che non è pronta a ritenere i disabili delle persone normali e a trattarli come tali. Ciò provoca una conseguente sensazione di insicurezza e inadeguatezza nei genitori e impedisce loro di fornire al figlio i giusti strumenti per affrontare la situazione famigliare e il successivo ingresso in società nel modo corretto.
Il paradosso si verifica quando il figlio di un disabile si vergogna di portare i suoi amici a casa a causa del problema in famiglia. Il vergognarsi dei propri genitori è una cosa tipica di molti bambini dalle elementari in poi, al di là dell’handicap. Spesso chiedono a chi li accompagna di lasciarli non proprio davanti a scuola, di non dar loro il bacino e via dicendo.
Ma c’è anche il rovescio della medaglia! Potrebbe, invece, essere proprio il modo diverso di fare le cose che rende interessante l’incontro tra gli amici dei figli e il genitore non vedente.
In ogni caso, comunque, dipende tutto dal modo di vivere di ogni famiglia. Secondo alcuni, gli incontri che il figlio di disabili ha con le famiglie cosiddette normali, li porterà per forza a considerare la sua famiglia diversa. La risposta di altri è che un figlio nato da non vedenti non vivrà l’incontro coi normali come problematico, ma saranno semplicemente mondi diversi dal suo: in fondo, esistono padri coi capelli castani e altri coi capelli biondi, non è la stessa cosa?
Non esistono famiglie perfette, ognuna ha una storia, dei valori, uno stile e dei problemi unici che saranno comunque diversi da quelli delle altre. In ogni famiglia ci sarà qualcosa da scoprire e ogni bambino si comporterà in modo diverso in base alla casa nella quale entra, al di là che i proprietari siano o meno disabili visivi: un amico ha la mamma strana, un altro mangia cose diverse, un altro ancora ha il microonde parlante e via dicendo. Il bambino in prima istanza non è diffidente, ma curioso, quindi chiede tutto quello che non capisce. La curiosità per il nuovo dura finchè quel nuovo non gli è spiegato, poi diventa tutto normale e il primario interesse del bambino non è concentrarsi sulle diversità, ma giocare con i suoi amici e divertirsi.
Meglio nascere cieco fra ciechi o cieco tra vedenti?
Molti sostengono che un figlio possa sentirsi normale o diverso al di là che nasca da genitori ciechi o vedenti, tutto ruota intorno ad una corretta gestione famigliare. Altri affermano che nascere in una famiglia dove siano tutti disabili visivi, faccia sentire un figlio più capito e alla pari rispetto al nascere in una famiglia di genitori vedenti dove non ci potrà mai essere una comprensione totale del problema. D’altro canto, il bambino non vedente nato in una famiglia di vedenti avrà determinati stimoli, diversi da quelli che potrà avere nascendo da genitori non vedenti. E’ vero che i vedenti hanno una macchina per portare il figlio in montagna, ma è altrettanto vero che un luogo è raggiungibile anche coi mezzi pubblici da non vedenti. Ogni situazione ha pro e contro. Ognuno di noi si sente a proprio agio nella sua famiglia.
In questo primo articolo abbiamo riassunto vari concetti che meriterebbero tutti un ulteriore approfondimento. Continuate a seguirci perché, nel prossimo articolo, affronteremo i temi della gestione pratica di un figlio da parte di genitori disabili visivi, e molto altro ancora.
Chi di voi è mamma o papà, provi a porre delle domande su aspetti della quotidianità con un figlio che, a suo avviso, ritiene impossibili da gestire e proverò a rispondervi.
Chiara Schiroli