La terapia strategico breve – Intervista a Giorgio Nardone

La terapia strategico breve – Intervista a Giorgio Nardone
Terapia breve strategica – Giorgio Nardone
A cura di Luca Mazzucchelli
Con piacere posto il video dell’intervista che ho fatto a Giorgio Nardone, il cui pensiero ha influenzato il mio modo di lavorare e che rientra nella playlist dedicata ad approfondire i diversi approcci in psicoterapia.
Giorgio Nardone (Arezzo, 23 settembre 1958) è uno psicologo e psicoterapeuta italiano.
Nel 1987 ha fondato, insieme a Paul Watzlawick, il Centro di Terapia Strategica di Arezzo. È autore di numerosi saggi tradotti in varie lingue e di libri di carattere divulgativo destinati al grande pubblico.
Nardone studia e si laurea in Filosofia presso l’Università di Siena. Nel 1982 ottiene una borsa di studio per recarsi alla Scuola di Palo Alto (California, USA), interessato in particolare ai lavori di Watzlawick, Jackson, Beavin, Weakland e al gruppo del Mental Research Institute. Nasce così una ricca collaborazione con Paul Watzlawick, che definisce un maestro di psicoterapia e un maestro di vita.
A partire dagli studi sui disturbi fobico-ossessivi, punto di partenza per elaborare modelli specifici di trattamento, nasce il Centro di Terapia Strategica e la Scuola di Terapia Strategica due anni più tardi. L’innovazione dell’approccio strategico evoluto sta nell’aver elaborato dei protocolli di trattamento specifici per diverse patologie.
Indice
01:07 Radici teoriche dell’approccio di Nardone: Palo Alto
02:47 Radici più antiche: sofisti greci e saggi cinesi
04:37 L’origine della sofferenza nell’uomo: le Psicotrappole
09:03 Leve del cambiamento
11:50 Relazione psicologo – paziente
13:15 Tecnica più usata: Controrituale per i disturbi ossessivi
16:16 Ambiti lavorativi in cui inserirsi e scuola di Psicoterapia
21.10 Testi di riferimento
23:30 Consigli per i giovani psicologi
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- Scuola di Psicoterapia Strategica: https://www.psicoterapiabrevestrategica.it/
- Scuola di Palo Alto: www.scuoladipaloalto.it
- Giorgio Nardone: www.giorgionardone.i
- Paul Watzlawick: https://it.wikipedia.org/wiki/Paul_Watzlawick
Verbatim intervista
Luca Mazzucchelli: Un saluto a tutti da Luca Mazzucchelli, oggi qui con me c’è un ospite di caratura internazionale, che presento con un aneddoto che riguarda un la mia esperienza personale con lui. Era il 1998, io ero iscritto al primo anno di medicina perché volevo fare lo psichiatra.
Mio padre un giorno mi portò a casa un libro che trovò un po’ per caso in un negozio. Lessi quel libro in una notte e il giorno dopo decisi che dovevo cambiare facoltà e iscrivermi a psicologia. Quel libro era Psicosoluzioni: come risolvere rapidamente complicati problemi umani, l’autore di quel libro è Giorgio Nardone e per me oggi è un vero onore averlo qui 15 anni dopo.
E’ co-fondatore insieme a Paul Watzlawick della scuola di Psicoterapia strategica di Arezzo e con lui oggi parleremo del suo approccio: la psicoterapia breve strategica.
Grazie Giorgio per aver accettato questa intervista.
Giorgio Nardone: Grazie a te per l’invito.
Le radici teoriche.
LM: La prima domanda che ti faccio subito è dove affondano le radici teoriche del tuo approccio?
GN: Questa è una domanda che richiederebbe una lunga risposta, cerchiamo di metterla in tempi brevi. E’ chiaro che il mio interesse verso la psicoterapia nasce quando, come giovane ricercatore di filosofia della scienza, vado a Palo Alto a studiare il modello della scuola di Palo Alto, quello che appariva alla luce della griglia epistemologica scientifica uno dei pochi modelli che reggeva ad una valutazione epistemologica. Conosco per la prima volta i grandi maestri della scuola di Palo Alto, li vedo lavorare, vedo in particolare John Weakland trattare un caso di schizofrenia in una maniera così elegante, sembrava che parlasse con una persona comune mentre gli spiegava come lavare tutti i vestiti del vicinato, perché aveva una compulsione a lavare tutto e aveva organizzato questo servizio per cui dava un beneficio a tutta la comunità intorno, tenendo a bada il suo delirio maniacale. Lì ho osservato quello che Bateson esprime con un aforisma straordinario cioè “non c’è nulla di più pratico di una buona teoria” e lì sono stato folgorato sulla via di Damasco e ho cambiato carriera: come tu sei passato da medicina a psicologia io sono passato da filosofia della scienza a psicologia clinica, poi specializzandomi alla facoltà di medicina a Siena e continuando quindi il mio training a Palo Alto, passando da “colui che era andato a studiare da un punto di vista epistemologico” a “colui che vuole imparare”.
L’influenza dei sofisti e dei saggi cinesi.
Le radici del mio approccio poi andando avanti sono molto più profonde e lontane nel tempo, perché i primi grandi terapeuti strategici sono stati i sofisti e i saggi sofisti cinesi. Tra i sofisti abbiamo addirittura Antifonte che è stato il primo psicoterapeuta della storia, aveva aperto uno studio nell’antica città di Mileto e aveva un successo incredibile tanto che ad un certo punto si scocciò e smise di farlo. Noi diremmo modernamente è andato in burnout, aveva una coda infinita. Antifonte aveva scritto un libro, l’arte della consolazione, che inizia con questa sentenza: “non c’è alcun dolore che non possa essere alleviato con le parole”.
Nella tradizione antica cinese abbiamo i saggi strateghi che già utilizzavano l’ipnosi le tecniche ipnotiche per alleviare dolori, per far superare traumi e per guidare con una logica di stratagemmi le persone a superare problemi dove la ragione non funzionava, utilizzando una logica non ordinaria. Queste tecniche appartengono quindi alla tradizione lontana, la scuola di Palo Alto le riporta alla ribalta negli anni ’50; Paul Watzlawick è assolutamente un grande mentore, ma anche colui che ha portato ad un approccio forse troppo americano un po’ di sana cultura mitteleuropea, portando anche gli studi sulla pragmatica della comunicazione sulla teoria del cambiamento ad un livello superiore di studio della logica. La mia carriera parte da lì e poi viene il dopo, però non piace dichiararlo a me!
L’origine della sofferenza: le Psicotrappole
LM: Senti Giorgio, come mai le persone stanno male, quale è la concezione del disagio che le persone sviluppano?
GN: 15 anni fa io ho scritto il libro Psicosoluzioni che è stato il mio primo libro divulgativo, che non a caso viene pubblicato dieci anni dopo che io ho cominciato a costruire protocolli di trattamento specifici per i disturbi fobici, ossessivo –compulsivi, per i disordini alimentari e avendo accumulato a quel tempo una statistica di quasi 4000 casi trattati con successo e avendo fatto evolvere il modello logico dell’intervento dalla logica del “studio il problema per trovare una soluzione” alla logica “studio la soluzione per conoscere il problema”.
15 anni dopo c’è il libro Psicotrappole e oggi a distanza di 15 anni, ma di oltre 15000 casi trattati da me personalmente e molti di più dai miei allievi e collaboratori in giro per il mondo, possiamo anche dire come i problemi si strutturino, come funzionino proprio in virtù delle soluzioni in grado di risolverlo.
In quel libro spiego come le patologie siano un effetto di qualcosa che le persone fanno di sano ma portato all’estremo, reiterato all’estremo finché si struttura come patologia.
Per essere più chiari: avere paura è sano, ci salva la vita, ci fa fare le cose meglio e ci attiva. Se io di fronte ad una situazione che mi spaventa comincio ad evitarla, questa psicotrappola dell’agire fa sì che io aumenti la paura; se poi aggiungo a questo la psicotrappola della richiesta d’aiuto che si sostituisce a me continuerò ad aumentare la mia paura, perché ci aggiungerò l’idea che non sono abbastanza capace, confermata dall’ aiuto che ricevo. Se poi ci aggiungo la tentata soluzione del controllo che mi fa perdere il controllo, questo paradosso del panico, costruirò un vero e proprio attacco di panico. Queste tre psicotrappole nella loro combinazione costruiscono la patologia attacchi di panico.
Questo è un esempio per dire come le patologie non sono nella maggioranza dei casi l’effetto di qualcosa che ci è accaduto di traumatico. Solo il disturbo post traumatico ha una strutturazione che si può identificare come l’effetto di qualcosa che accade.
Nella maggioranza degli altri casi vale l’ indicazione di Aldo Huxley “ La realtà non è ciò che ci accade, ma quello che noi facciamo con ciò che ci accade ”quindi sono i nostri tentativi di risolvere i problemi che non funzionano, che noi insistiamo nel mettere in atto e che strutturano prima le difficoltà, poi i problemi e poi le patologie quando sono combinati con altre Psicotrappole.
In questo libretto [Psicotrappole] spiego come si creano prima le difficoltà, poi i problemi e poi le patologie. Lo studio della psicopatologia da un punto di vista strategico è lo studio di come un individuo, in virtù di come risponde a ciò che la realtà gli presenta partendo da azioni sane e pensieri sani, costruisce prima disagi, poi problemi, poi patologie perché reitera, perché insiste e non ha la capacità di cambiare. Del resto il nostro Einstein ci dà una spiegazione molto isomorfa quando parla della strategia dell’ameba. L’ameba muore perché non ha capacità di adattarsi, esegue sempre le stesse cose anche nei confronti di circostanze differenti. L’uomo ha la capacità di adattarsi e per questo sopravvive. La psicopatologia nasce dall’incapacità dell’individuo di cambiare ciò che non funziona, cercando ciò che funziona finché non lo trova e lo mette in atto e dell’incapacità spesso dell’individuo di svincolarsi da ciò che ha funzionato, perché noi tendiamo a ripetere ciò che ha già funzionato. I copioni di successo li ripetiamo come se dovessero funzionare per forza e questo porta a strutturare prima problemi e poi patologie.
Le leve del cambiamento e relazione psicologo – paziente.
LM: Mi viene in mente quella frase di Darwin in cui diceva che non è la specie più forte o quella più intelligente che sopravvive, ma quella che ha più facilità di adattamento e cambiamento. Quali sono le leve del cambiamento che in questa terapia si utilizzano per promuovere l’evoluzione?
GN: “Darwinianamente” noi facciamo leva utilizzando una comunicazione che non è la comunicazione della spiegazione e dell’informazione, quella che viene usata nella maggioranza delle psicoterapie; non si indottrina, non si spiega, non si insegna. Si usa un linguaggio della suggestione, un linguaggio ipnotico per far sì che la persona sposti il suo punto di vista nella percezione della realtà; se io ti faccio vedere la stessa realtà da un punto di vista diverso cambia la realtà e cambiano le tue reazioni.
Questo effetto di ristrutturazione è la leva del cambiamento più importante. Si lavora sulla percezione non sulla cognizione e sul comportamento, questi sono effetti come le emozioni e il cambiamento di percezione. Per fare questo, oltre ad una comunicazione che fa sentire oltre che capire, quindi una comunicazione performativa nel linguaggio di Austin, noi utilizziamo degli stratagemmi terapeutici che sono stati costruiti ad hoc per ogni tipologia di disturbo, tanto che in questi 25 anni abbiamo messo a punto strategie e stratagemmi terapeutici per le più importanti psicopatologie, dimostrando come la media dei trattamenti di successo arriva quasi al 90% , l’88% in generale, ma alcune patologie come attacchi di panico arrivavano al 95% e in una durata media del trattamento sotto le dieci sedute.
Se pensiamo che questo viene applicato alle patologie dove spesso la psicoterapia non ha risposte, come nel disturbo ossessivo – compulsivo, si avvalora ancora di più il trattamento perché su quello siamo assolutamente best practice,su tutti i disturbi compulsivi che frequentemente vengono bombardati di farmaci, ben sapendo che non funzionano perché la psicoterapia offre ben poco. Noi abbiamo messo a punto proprio per quel tipo di disturbo delle leve strategiche su cui premere e innescare nell’individuo, e questo è un passo molto importante, gli autoinganni terapeutici in grado di fargli spostare il punto di vista e cambiare le reazioni. Non si mette nulla che già non ci sia, Paul Watzlawick una volta disse “Siamo come meccanici, noi sblocchiamo meccanismi inceppati, non aggiungiamo niente che già non c’è”
LM: In percorsi di così breve durata che tipo di relazione si instaura tra lo psicologo e la persona?
GN: Fin dalla prima seduta si utilizza la tecnica del dialogo strategico, una sorta di protocollo per la prima seduta, una tecnica comunicativa che richiama il dialogo euristico di Protagora, ossia fare in modo che io ti ponga delle domande e attraverso le tue risposte ti faccia scoprire cose prima mai contemplate, senza essere io a spiegartele ma ti ci faccio arrivare.
Pascal diceva “ chi si persuade da solo lo fa prima e meglio” quindi si stabilisce un rapporto di tipo dialogico, non one up and one down, non dialettico del tipo “io sono più forte e tu sei più debole”, non le tesi che suppongono le tesi, ma come indica il termine dialogico un incontro e uno scambio fra intelligenze.
In secondo luogo si crea un’atmosfera un po’ magica nel senso ipnotico del termine, si crea un’atmosfera dove il cambiamento è possibile attraverso la relazione, attraverso l’incentivo alle risorse. Poi si applicano già fin dalla prima seduta degli stratagemmi che aiutano la persona sia durante la seduta sia tra una seduta e l’altra a scoprire quelle realtà fino ad allora nascoste per lui, delle realtà di cambiamento.
Tecnica privilegiata: Controrituale per disturbi ossessivi – compulsivi.
LM: Puoi farci un esempio di uno stratagemma, di una tecnica che usi spesso?
GN: Una delle più famose e anche più vecchie tra quelle da me messe a punto sicuramente è il controrituale per tutti i disturbi ossessivi – compulsivi basati su una sequenza numerica, ovvero quando si ha una persona che è costretta a ripetere dei rituali continuamente. Questi rituali vengono compiuti o per riparare a ciò che è accaduto, o per propiziare ciò che accade.
Il Controrituale è stato messo a punto sotto la supervisione di John Weakland e Paul Watzlawick quando io ero nel 1985 a chiedere loro aiuto per mettere a punto questa tecnica. Avevo iniziato a videoregistrare nel mio studio i pazienti, cercando di affinare le strategie e cominciai a ipotizzare se la logica di un disturbo ossessivo – compulsivo non fosse stata quella di fare qualche cosa che mi permetta di rendere possibile qualche altra cosa. L’ossessivo – compulsivo mette in atto un rituale che lo difende da quello che è accaduto o da quello che può accadere.
Mi è venuto così in mente che il modo di intervenire deve essere isomorfo, “similia similibus curantur” diceva Ippocrate, serviva quindi un controrituale che invertisse il senso dell’esperienza e dell’effetto.
L’idea era “ok, tu ripeti quella cosa. Allora te la faccio ripetere io un certo numero di volte”, in modo da prendere noi il potere rispetto all’ossessione, si toglie il potere all’ossessione e lo prendiamo noi. Se l’ossessione non ha più potere posso anche rinunciarvi.
La prescrizione si esprime in una ingiunzione ipnotica:
“Da qui a quando ti rivedo ogni volta che metti in atto il rito se lo fai una volta devi ripeterlo cinque volte, non una volta di meno non una volta di più. Puoi non farlo, ma se lo fai una volta allora lo fai cinque volte, ne una volta di più ne una volta di meno” e la prescrizione si ripete ipnoticamente per almeno cinque o sei volte, avendo il contatto oculare e devi avere la persona che ti risponde come il gatto di fronte ai fare dell’auto, immobile, perché altrimenti raramente la mettono in atto.
La sintesi tra questo tipo di comunicazione e la struttura dello stratagemma fa si che nella stragrande maggioranza dei casi, oltre il 90% dei casi che hanno questa tipologia di disturbo e che magari li ha invalidati da decenni, alla seconda seduta ti dicono “ è strano io ho smesso di mettere in atto la sua prescrizione perché non ne avevo più bisogno, non ho più fatto rituali” e allora gli spieghiamo come è accaduto, che abbiamo preso noi il potere dell’ossessione e quindi abbiamo potuto decidere di non farla, non perché è diventata noiosa, perché prima magari ripetevano molto molto di più, semplicemente perché abbiamo trasformato il loro modo di percepire la realtà.
Ora ho io il potere dell’ossessione non ce l’ha più lei.
Sbocchi lavorativi e scuole di psicoterapia
LM: Molto chiaro ed esemplificativo proprio del funzionamento del tuo approccio. Per gli psicologi che si formano nella tua scuola, quali sono gli ambiti lavorativi nei quali poi inserirsi?
GN: La nostra scuola di specializzazione è strutturata un po’ come tutto il modello, con una forte impronta teorica costruttivista ma, come il fondatore del costruttivismo radicale von Glasersfeld indica, quando tu lavori applicando il problem solving la teoria dell’epistemologia la devi mettere in frigorifero.
Prima applica, poi ci torni dopo quando rifletti. La scuola è molto molto operativa, i nostri allievi imparano nel primo biennio studiando tutti i protocolli di trattamento attraverso video-tape di terapie selezionate, dove si mostra loro la tecnica per raggiungere certi risultati e imparano poi attraverso l’esercitazione a mettere in atto proprio le prescrizioni, le ristrutturazioni, il dialogo strategico.
Il secondo biennio è estremamente operativo, fanno co-terapia accanto a me con i reali pazienti che forniamo noi. Siamo l’unica scuola a fornire pazienti, ma per il semplice motivo che non abbiamo problemi ad avere pazienti, ad Arezzo arrivano pazienti da tutto il mondo, continuamente, proprio per il trattamento di quelle patologie cosiddette impossibili, come il disturbo ossessivo – compulsivo, il panico grave e i disordini alimentari.
Ogni allievo impara piano piano: come l’allievo chirurgo impara a usare il bisturi insieme al maestro, il terapeuta breve strategico impara queste strategie fino a che non si sente sicuro.
Una volta che ha completato la scuola di specializzazione l’applicazione prioritaria è ovviamente la psicoterapia breve strategica, che però ha ambiti di applicazione estremamente estesi. Non è solo per chi vuole fare il professionista, ma immaginate chi lavora nei servizi pubblici.
Oggi uno dei paradossi italiani più incredibili è che i servizi pubblici sono il rifugio delle terapie a lungo termine. Dove ci sarebbe il bisogno di dare un servizio più pronto, più rapido è invece il rifugio delle terapie a lungo termine.
Io sono un po’ crudele in questo e dico: forse perché li non c’è bisogno di garantire il risultato per stare nel ruolo. Negli ultimi anni la professione ha ridotto i suoi ambiti perché con la crisi economica c’è anche la crisi delle richieste. Questo non succede con i nostri allievi, i nostri allievi continuano a lavorare benissimo, se la media di sedute di uno psicoterapeuta italiano è di sei sedute a settimana, nel caso dei miei affiliati è trenta a settimana e con il ricambio, perché se fai vedere che funzioni c’è il passaparola, la gente viene, è la legge del mercato che determina il mercato, molto più che leggi rigide teoriche.
Immaginiamo oltre all’applicazione nei servizi pubblici anche negli ospedali, quando devi intervenire sul paziente che arriva in emergenza per altre cose. Un esempio sono i pazienti che arrivano in cardiologia, quelli che pensano di avere un infarto e invece hanno un attacco di panico. Si può intervenire rapidamente e in tante altre modalità. Possiamo anche riferirci alla formazione che si può fare ai medici, insegnandogli a comunicare con i pazienti; pochi sanno che la compliance terapeutica è uno dei problemi più gravi della medicina, con compliance si intende la capacità di fare in modo che il paziente osservi ed aderisca alle prescrizioni.
L’adesione è sotto il 30% perché i medici non sono abbastanza attenti al contatto comunicativo ed emotivo. Aldilà della scuola di specializzazione in psicoterapia breve strategica noi abbiamo altri corsi che sono la scuola di comunicazione e problem solving strategico, che si applicano in ambiti aziendali e in ambiti di performance con atleti o sportivi e questo per esempio negli ultimi anni ha dato grandi soddisfazioni.
Abbiamo seguito atleti olimpici, atleti da record, artisti di fama internazionale, aiutandoli a sbloccare i loro momenti critici nelle loro performance bloccate per tanti episodi; oppure aiutare i manager a lavorare meglio in azienda, salvaguardare i posti di lavoro perché talvolta il clinico è un po’ snob rispetto a chi lavora in azienda, si dimentica che se tu aiuti un manager a salvare l’azienda hai salvato posti di lavoro. E’ una terapia del sistema lavorativo che non è meno importante di altro, tanto per fare qualche piccolo esempio.
Testi di riferimento
LM: Se siamo riusciti ad incuriosire qualche nostro spettatore di youtube, quali sono alcuni libri per approfondire un po’ questo discorso? Io sicuramente avrei detto Psicosoluzioni e da provare questo Psicotrappole. Un altro libro che mi è piaciuto molto è Cogito ergo soffro scritto con Giulio De Santis. Vuoi dirci altri due titoli?
GN: Per entrare dentro l’approccio ci sono i due titoli storici, un titolo storico è anche il libro che mi ha lanciato sul piano internazionale, scritto nel 1989 a quattro mani con Paul Watzlawick quindi per me rimane il must che è L’arte del cambiamento e il primo capitolo di quel libro che è Se vuoi vedere impara ad agire scritto da Paul credo sia il più bel scritto che io abbia mai letto nel nostro settore. Dieci anni dopo Paul Watzlawick e io abbiamo collezionato una serie di capitoli scritti dagli esponenti più significativi dell’ approccio strategico nel mondo che si chiama Terapia breve strategica che è uscito per Raffaello Cortina Editore, mentre L’arte del cambiamento per Ponte alla Grazie, la casa dove io dirigo la collana.
Questi due testi sono i must fondamentali. Il terzo titolo ineludibile rappresenta l’evoluzione dell’approccio ed è il dialogo strategico, la tecnica per creare un colloquio di cambiamento fin dalla prima seduta, creare già le esperienze emozionali correttive dentro il dialogo del primo incontro. Questi sono i tre must fondamentali, chi vuole avere poi una visuale un po’ più approfondita di tutto l’ambito di psicoterapia devo dire che una fatica mia, ma soprattutto di tutti i miei collaboratori che hanno partecipato a questo progetto veramente granitico e di tutti i colleghi mondiali che hanno partecipato, 370 colleghi in tutto, è il Dizionario internazionale di Psicoterapia, che è uscito per Garzanti ed è un’ opera monumentale dove il giovane psicologo può vedere tutti gli approcci: gli otto paradigmi fondamentali, oltre 55 modelli dentro i paradigmi e i lemmi di ogni singola tecnica e infine il capitolo sulla ricerca dell’efficacia empirica della psicoterapia.
Consigli ai giovani psicologi.
LM: Questa è in parte una risposta anche all’ultima domanda che ti faccio, quale suggerimento per il giovane psicologo che vuole orientarsi meglio fra gli approcci? Partire dal dizionario che avete redatto è un’ ottima idea, come hai fatto a trovare la tua strada, a decidere “è questo e non quest’altro?”
GN: Devo dire prima di tutto che io appartengo agli antichi, la nostra generazione aveva caratteristiche completamente diverse da queste nuove generazioni. Quando sono passato alla psicologia, in Italia non esisteva un corso di laurea in psicologia, è venuto subito dopo.
Quindi io sono partito da un percorso diverso e sono arrivato a delle scelte e come ho detto prima sono stato folgorato dall’esperienza di aver studiato per quattro mesi all’inizio i maestri Paloaltiani dove sono andato a formarmi negli anni successivi, fino a diventare collaboratore e poi ricercatore associato.
Io direi che oggi il percorso che deve fare un giovane psicologo prima di tutto è puntare sul migliorare la qualità di quello che deve fare.
Prima regola: evitare di far diventare un modello il cardine della propria personalità, della propria identità personale. Anche se ti hanno insegnato che questa è la verità guardati intorno e come scrive Heinz von Foerster: “Comportati sempre in modo d’aumentare le possibilità di scelta”. Quando hai contemplato tutte le differenze senti quella che sembra calzare più a te, ma anche qui stai attento alla Psicotrappola di colui che pensa che quello che fa sia giusto e quello che fanno gli altri è sbagliato, perché potresti essere nello sbagliato. Mettiti in gioco, sperimentati, prova più cose finché per tentativi ed errori trovi quello che si confà più a te e che ti fa evolvere e migliorare. Non scegliere ciò che ti fa rimanere quello che sei. Il giovane che si arrocca e difende quello che è perde la capacità di evolversi, per Darwin muore perché non si adatta.
Dobbiamo continuare a migliorarci continuamente. Devo dire che per me è diventata una sorta di abitudine, ma anche una missione personale: io cerco quotidianamente di fare qualcosa di meglio per me, perché se non lo faccio con me non lo faccio con gli altri, “ogni giorno in cui non abbiamo migliorato noi stessi è un giorno perduto”, questo scrive Lao Tzu il maestro del Taoismo e mai dovremmo dimenticarcelo.
LM: Giorgio grazie mille per il tempo che ci hai dedicato e a presto!