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Come costruiamo la nostra identità psicologica

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Come costruiamo la nostra identità psicologica

identità psicologicaCome costruiamo la nostra identità psicologica

Con la parola “identità” siamo soliti riferirci all’insieme delle caratteristiche che rendono qualcuno quello che è, distinguendolo da tutti gli altri. È un termine che rimanda a concetti complessi ma molto utilizzati quali ad esempio “formazione dell’identità”, “identità culturale”, “crisi d’identità”.  

 

Occorre dire che ci sono diversi tipi di identità che in psicologia si classificano in differenti modalità. Ad esempio possiamo distinguere l’identità soggettiva (l’insieme delle mie caratteristiche “come io le vedo”) da quella oggettiva. Quest’ultima, in particolare, si riferisce alla propria riconoscibilità ed è possibile scomporlain almeno tre aspetti: l’identità fisica, data soprattutto dalle caratteristiche della faccia, l’identità sociale, ossia le caratteristiche quali età, stato civile, professione, livello culturale, e l’identità psicologica ovvero lo stile costante del proprio comportamento, la personalità di un individuo.

 

Tutte queste tipologie di identità, chi più e chi meno, sono soggette a cambiamenti nel corso del tempo. È questo un tema molto interessante con diverse implicazioni per le quali, però, rimando alla lettura di un interessante dialogo tra il noto psicologo Jervis e una serie di studenti, che si può leggere qui.
In questo articolo, invece, vorrei soffermarmi su un concetto, quello di “soggetto contestuale”, che nasce con Gregory Beatson negli anni 30 e che mi sembra molto importante tenere a mente se parliamo di identità e della sua costruzione. Il concetto di soggetto contestuale, fondante le origini del pensiero sistemico-relazionale, benché per un periodo sia stato accantonato dagli studiosi della psicologia, è ai nostri giorni tornato di grande attualità. La metafora forse più utile per spiegare questo concetto è quella usata dallo stesso Beatson, che raccontava il boscaiolo che accetta un albero, notando come l’azione di un singolo componente del sistema (il falegname che colpisce con l’accetta il tronco) modificasse tutti e tre i protagonisti citati.

L’uomo, infatti, modifica la propria posizione nello spazio rafforzando la propria muscolatura e logorandone le articolazioni; l’accetta consuma la lama mutandone seppure minimamente la capacità di tagliare; l’albero, invece, cade a terra spezzandosi in due parti.
Il concetto di soggetto contestuale, insomma, ricorda come una relazione sia in grado di modificare e influenzare tutti i suoi partecipanti a partire dall’azione di uno solo di essi: questa è la base per affermare che l’individuo costruisce la propria mente ed identità ( e quindi i sintomi stessi) nella relazione ed interazione con gli altri: è su questa pertanto che occorre lavorare per potere dare sollievo al disagio percepito.

costruzione identitàPer quanto oggi l’idea del soggetto profondamente interconnesso al contesto in cui è immerso possa apparire scontata, negli anni 30 lo era molto meno, perché sfidava una premessa tipica del pensiero occidentale fino a poco fa indiscussa: l’idea che la vera essenza dell’uomo si identificasse con qualcosa di “interno” e separato da tutti gli altri uomini “all’esterno”. Bateson ribalta questa premessa individualista per dar corpo alla tesi che i processi mentali siano costruiti nell’interazione con ciò che ci circonda. L’essere umano non soltanto ha bisogno degli altri per vivere, crescere e riprodursi, ma non è in grado neppure di pensare o di sentire se si trova in solitudine. Le emozioni, come i pensieri e i costrutti mentali sono costruiti in un dialogo fatto di gesti e di contatti fisici ancor più che di parole con gli altri. La mente non coincide con il cervello e i processi mentali e la conoscenza si sviluppano nell’ interazione e nel dialogo.

L’individuo inteso come soggetto contestuale, pertanto, non esiste se non in relazione con l’altro.
https://www.youtube.com/watch?v=Mf5F37YMhIY

Implicazioni cliniche e nascita dei diversi orientamenti interni alla terapia sistemica (capitolo riservato ai “tecnici” della psicologia)

Questo concetto così come inteso da Bateson è stato per un certo periodo modificato prendendolo buono solo per metà: il gruppo degli studiosi di Palo Alto (si pensi ad esempio a Watzlawick e Haley) decise di mettere tra parentesi il soggetto e di lavorare invece molto sul contesto, occupandosi quindi non tanto del boscaiolo quanto della sua interazione con l’accetta e l’albero. Questa è la terapia sistemica che per lungo tempo si è portata avanti, ad esempio, con indirizzi più strategici che lavoravano sull’interazione attuale o con quelli strutturali che si concentravano sullo “scheletro” delle relazioni.
E’ con l’avvento del costruzionismo sociale, che viene reintrodotto prepotentemente l’interesse a come il soggetto costruisca i propri significati, credenze ed emozioni. Il destino cui andrà incontro l’idea del soggetto contestuale può quindi essere riassunto principalmente in due linee di sviluppo: 

1) Secondo il costruzionismo radicale, più di origine americana, l’importanza dell’interazione è parecchio maggiore rispetto al costrutto della persona, che sfuma in secondo piano: è inutile e sbagliato parlare di personalità, perché è sempre il contesto a modificare il soggetto. L’io viene concepito secondo la metafora dell’attaccapanni, per cui indossa differenti vestiti a seconda delle diverse situazioni. E’ il “qui ed ora” a contare e le personalità sono tante quanti i contesti in cui si è inseriti.

Partendo da questo presupposto vi sono alcune interessanti ripercussioni nell’ambito clinico, tra le quali il fatto che viene considerata più importante la singola seduta rispetto all’intero processo terapeutico (ossia il filo che interconnette i diversi incontri). Secondo questo filone di pensiero, infatti, ogni volta che la persona ritorna dal terapeuta è un individuo diverso dalla prima volta e, pertanto, ciò che era accaduto nella seduta precedente ha una importanza relativa: ogni seduta è una storia a sé stante. E’ un po’ il modo di lavorare tipico della scuola sistemica di Boscolo e Cecchin, che lavoravano tantissimo sul singolo incontro e molto meno sul processo terapeutico, ritenuto di minor importanza.

2) La seconda linea di sviluppo è di derivazione più europea e implica un modo di lavorare più obliquo: si rifà in maniera più importante all’idea di soggetto contestuale e dice che il soggetto emerge e si costruisce nelle diverse relazioni che vive e, in queste, costruisce i suoi personali significati del mondo. L’individuo non è un attaccapanni che cambia continuamente i vestiti che indossa, ma è parte di una storia della quale noi vediamo la punta di un iceberg, potendo però intuire che sotto vi sia altro. L’emergere delle caratteristiche individuali è legato alla storia specifica dell’individuo e a come fino a oggi si sono intrattenute le sue relazioni, pertanto la personalità esiste se contestualizzata nel contesto famigliare. Si recupera in questo modo il soggetto contestuale, per cui al cambiare del contesto il soggetto non si trasforma completamente come un attaccapanni che veste nuovi abiti, ma mantiene anche degli aspetti “storici” della sua personalità (ad esempio l’aspetto competitivo, la voglia di inclusione sociale, la tendenza a entrare in relazione secondo determinate modalità e altro ancora).

Da questo secondo filone deriva l’approccio da me condiviso, che introduce però anche il concetto di polarità semantiche elaborato da Valeria Ugazio, secondo il quale (in maniera estremamente semplificata) all’interno delle famiglie vi sono alcuni temi semantici critici rispetto ai quali l’individuo è costretto a posizionarsi, assumendo di conseguenza un tipico e particolare modo di essere e di sentire che orienta il modo di pensare, di vedere se stessi e gli altri e, di conseguenza,  la modalità di comportarsi (rimando al sito di Valeria Ugazio e della sua scuola per ulteriori approfondimenti –> www.eist.it  e alla videointervista che ho inserito nel testo precedentemente).

Luca Mazzucchelli

 

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