Anormalità del quadro psichico ed esclusione di imputabilità
Anormalità del quadro psichico ed esclusione di imputabilità
Con questo breve articolo vorrei parlare del problema dell’imputabilità, un problema antico che investe tanto il profilo sostanziale del reato, tanto quello processuale volto all’accertamento del fatto.
Sul piano sostanziale, è ormai chiarito che l’imputabilità non si identifica con la capacità di essere assoggettato a pena e che l’imputabilità è “capacità di reato” o meglio di “capacità di colpevolezza”.
Sul piano processuale, esclusi gli automatismi cui facevano riferimento le più antiche concezioni criminologiche, il problema dell’imputabilità va risolto caso per caso. E la soluzione del “problema”, al pari di ogni altra questione relativa al “fatto”, non può prescindere dalle regole dettate in materia di valutazione della prova; mentre ogni conclusione sul piano della definizione del processo deve incanalarsi nelle regole indicate negli art. 530 e 533 C.p.p., rispettivamente, dettate nella prospettiva dell’assoluzione o condanna dell’imputato.
Il concetto di infermità quale condizione dell’esclusione o della riduzione dell’imputabilità vengono trattate negli artt. 88 e 89 C.p.. Entrambi parlano di “infermità” che pone il soggetto agente in tale stato di mente da escludere (ovvero, da scemare grandemente) la capacità di intendere e di volere. L’infermità, dunque, genera il vizio di mente, totale o parziale che sia; questo rileva in termini di imputabilità, se è tale da escludere o attenuare la capacità d’intendere e di volere..Qualunque forma di infermità può essere idonea ad escludere o ridurre l’imputabilità.
Iniziava tutto con un banale litigio domestico derivato da questioni inerenti l’uso della lavatrice, ma la lite degenerava e l’uomo prendeva per il collo la moglie, sbattendole la testa contro il muro e contro il pavimento della cucina violentemente e ripetutamente, così da provocare alla consorte un grave trauma cranico encefalico che ne decretava la morte, sopraggiunta dopo due giorni.
Giocata la carta dell’incapacità di intendere e di volere, la difesa evidenziava che già i consulenti del Pubblico Ministero avevano riscontrato l’anormalità del quadro psichico dell’imputato in capo al quale erano stati riscontrati disturbi psichici risalenti nel tempo che si erano accentuati quando era avvenuta la separazione con la moglie, la lontananza del figlio e la prospettiva di perdere figlio e casa, dopo aver già “perso” la consorte. Secondo la difesa si rendeva dunque necessaria una perizia psichiatrica per accertare se tali patologie avevano influito sul potere di autocontrollo: era stato evidenziato infatti che il soggetto aveva “difficoltà di controllo degli impulsi in presenza di stimoli a contenuto emotivo, nonché una patologia psichiatrica, della quale non era stata tuttavia accertata l’effettiva serietà clinica e la possibile incidenza sul controllo dell’agire, tale da escludere ovvero ridurre notevolmente la sua capacità d’intendere e volere al momento del fatto”.
Di contrario avviso la Corte d’appello e la Cassazione che evidenziavano come la consulenza medico-psichiatrica svolta durante le indagini preliminari aveva accertato che l’imputato era affetto da “semplice depressione reattiva di grado moderato, tendente a risolversi col passare del tempo e comunque non connotata da elementi degenerativi”. Non si trattava, in altre parole, di stato morboso della psiche, idoneo ad escludere o diminuire grandemente la capacità di intendere e di volere, ma di meri disturbi della personalità ovvero di anomalie psicotiche che incidevano sulle attitudini relazionali.
Come noto, l’accertamento di un disturbo di personalità di matrice psicotica non è sufficiente ad affermare l’incapacità di intendere e volere essendo necessario verificare che quel disturbo abbia un nesso causale con lo specifico fatto di reato commesso: il disturbo deve essere causa del crimine commesso; inoltre, le Sezioni Unite (sent. 9163/2005) avevano precisato che le infermità di mente utili a fondare un giudizio di non imputabilità sono anche i disturbi della personalità e tutte le anomalie psichiche non inquadrabili nelle figure tipiche della nosografia clinica né aventi necessariamente base organica clinicamente accertabile, ma tali disturbi e anomalie devono essere di consistenza, intensità, gravità e rilevanza tali da escludere o scemare grandemente la capacità di intendere e di volere, cioè da incidere concretamente sull’imputabilità. Il disturbo deve essere idoneo a determinare una “situazione psichica incontrollabile e ingestibile, tale da rendere l’agente incolpevolmente incapace di esercitare il dovuto controllo dei propri atti, di indirizzarli e di percepire il disvalore del fatto commesso”; segue il giudizio sull’effettiva determinazione nel caso concreto.
Nel procedimento deciso dalla Cassazione si è ritenuto che l’accertamento medico svolto durante le indagini preliminari non evidenziasse una situazione psichica caratterizzata da quella grave consistenza necessaria per giudicare compromessa la capacità di intendere e di volere.
(Vedi anche la sentenza Cass. pen. 45559/2012)
Teresa Lamanna