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Il mito dei nativi digitali

Attualità / Psicologia

Il mito dei nativi digitali

See on Scoop.itParliamo di psicologia

di ALESSANDRO D’AVENIA.

(…)

La definizione “nativi digitali” è uno di quei neologismi fortunati per confinare un mostro di ben altra entità. Confinato il mostro nel recinto tecnologico ci sembra di poterlo gestire meglio o quanto meno di non subirne l’ombra minacciosa.

(…)

“Nativi digitali” è efficace metafora che indica coloro che sono nati in uno spazio (il nativo è l’aborigeno, l’autoctono) fatto di tecnologia digitale, rispetto a coloro che vi arrivano provenendo da un altro spazio: coloni, immigranti. L’altra faccia del nativo digitale è quindi il “colono digitale” che sbarca nell’isola del nativo e ne rimane abbagliato e confuso allo stesso tempo. La generazione dei nativi digitali infatti provoca sudori freddi a quella dei coloni, quelli che, come me, si sono ritrovati ad usare una tecnologia nuova e vi si sono (nel mio caso più che volentieri) adattati.

 

Ma la consuetudine che ho con i nativi digitali mi ha fatto capire che si tratta di un mito, una narrazione con cui nascondiamo un altro mostro. Lo dico perché i nativi mi sembrano tanto imbranati quanto la generazione precedente. Nell’uso generico di smartphone, social, pc sono rapidissimi, ma in fin dei conti raggiungono un livello simile a quello di un adulto. Ma quando si tratta di operazioni più complesse chiedono aiuto. (…) Insomma il nativo digitale non ha un cervello nuovo o diverso da quello degli adolescenti della mia generazione. (…)

 

Questo mito è diventato presto efficace proprio per la sua semplificazione. Ha dato una scusa ad adulti che non riescono più a farsi ascoltare e vedono la noia dipinta sui volti dei ragazzi: “ha un altro cervello, non può capire, non è colpa mia, altri tempi”.

(…) Invece non siamo di fronte ad un nuovo tipo di homo sapiens, non c’è una generazione diversa dalle precedenti, né una mutazione genetica. L’unica differenza che è stata scientificamente dimostrata non è tra nativi e coloni, ma tra utilizzatori e non utilizzatori degli strumenti. Il cervello si specializza in breve tempo grazie ad azioni ripetute, ma questo, in relazione alla tecnologia, si dà ad ogni età e non solo nei giovanissimi.

(…) Insomma il nativo digitale è il volto che abbiamo dato ad una paura: la rapidità del progresso di questi anni e dei ritmi di vita a cui siamo sottoposti che porta il dialogo fra le generazioni, già di per sé arduo, a incepparsi di più. Il mito, una volta smitizzato, ci riporta faccia a faccia con il mostro: non ci capiamo e ci capiamo sempre meno perché andiamo velocissimo. La velocità è una delle cause della “crisi dell’esperienza”. Andiamo così veloci che non riusciamo a fare esperienza delle cose, figuriamoci trasmetterla alla generazione successiva. Non è ridurre la Divina Commedia in tweet da 140 caratteri inviati da Dante Alighieri a renderla interessante per un sedicenne.

La tecnologia senz’altro ci potrà affiancare ed aiutare a raggiungere quella che erroneamente chiamiamo “attenzione” dei ragazzi, ma che in realtà non è altro che il loro “stato di veglia”.(…) Ma l’attenzione resta compito nostro, compito degli insegnanti e degli educatori, dotati della tecnologia eterna della “parola”.

Il mostro è un altro, meno consolante dell’aborigeno tecnologico. Il mostro è la nostra mancanza di disponibilità ad ascoltare, a dedicare tempo di qualità, a frenare la rapidità dei nostri impegni di lavoro, a fare una passeggiata calma, a giocare con i bambini e leggere loro storie, a dialogare con i ragazzi come si fa in tanti sistemi scolastici esteri in incontri (con test di auto-valutazione) programmati e regolari (che noi invece dedichiamo solo a genitori pieni di “buona” volontà).

(…) La motivazione di uno studente è dentro di lui e viene attivata da quella del docente. In assenza di motivazione del docente non si attiva quella dello studente e non c’è dispositivo che possa fare miracoli. Ma noi pur di non guardare in faccia il mostro, chiediamo miracoli al dio scintillante della tecnica.

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Bella riflessione di Alessandro D’Avenia sul termine “nativo digitale” e il significato retrostante a questa parola.

Non solo il significato letterale o simbolico, ma anche l’utilizzo che talvolta viene fatto di questa parola come scudo dietro il quale nascondere parte delle nostre responsabilità.

Non posso che consigliare la lettura per intero di questo brano ricco di spunti di riflessione.

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