La Motivazione al cambiamento
Il CAMBIAMENTO, fondamentale in ogni contesto, risulta di primaria importanza nell’ambito della cura alla persona. Ma come funziona tale percorso? Da cosa dobbiamo partire attuarlo? Indispensabile è possedere un buon livello di MOTIVAZIONE, definita come la forza che ci spinge verso un determinato obiettivo (Motiva – Azioni).
Detto ciò, si comprende che solo possedendo e/o lavorando sulla motivazione intrinseca si otterranno benefici effettivi. Essa avviene, ad esempio, quando un alunno si impegna in un’attività perché la trova stimolante e gratificante di per sé stessa, e prova soddisfazione nel sentirsi sempre più competente.
Di contro, la motivazione estrinseca, è quella propria di uno studente che si impegna in attività per scopi diversi dalla mansione stessa, quali, ad esempio, ricevere lodi o evitare situazioni spiacevoli, come un castigo o una brutta figura.
È proprio da tali riflessioni che muove il Modello Transteoretico di Cambiamento (TTM) di Carlo DiClemente e James Prochaska (1982), utile tanto ad incentivare le risorse personali di persone con Disturbi Alimentari quanto, come mostrano successive revisioni dello stesso, applicabile a qualsivoglia problema di dipendenza.
Esso nasce a partire da un’analisi comparata delle principali teorie psicoterapeutiche e di modificazione del comportamento, allo scopo di connetterle ed integrarle tra loro (da qui il nome Transteoretico). L’originalità del modello consiste nel non considerare i precursori del cambiamento comportamentale ma solo il suo divenire nel tempo.
Secondo il TTM, per promuovere e consolidare cambiamento si deve lavorare su comportamenti, pensieri e vissuti emotivi (significati soggettivi che diamo alle nostre emozioni)partendo dall’ultimo sino al primo, per trasformarli da disfunzionali a funzionali, ossia fautori di benessere.
Si opera, a tal fine, su tre dimensioni fondamentali: gli stadi del cambiamento, i processi del cambiamento edi fattori psicologici, che determinano il movimento tra stadi.
Per quanto riguarda gli stadi del cambiamento, essi possono essere sintetizzati come segue:
Precontemplazione: il soggetto, in questa fase, non ritiene di dover modificare il proprio comportamento in quanto non lo vede come un problema oppure, avendo messo in atto tentativi di mutamento fallimentari (ad esempio, restrizioni caloriche che, a lungo andare, divengono insopportabili e vengono abbandonate), ha perso la fiducia nelle proprie capacità. Si lavora, quindi, per accrescere la consapevolezza del soggetto e le informazioni sul problema nonché aumentare le possibilità di cambiamento.
Contemplazione: qui il soggetto è parzialmente consapevole del proprio problema; da lato prende in considerazione il cambiamento, dall’altro lo rifiuta. L’interesse a cambiare non coincide, infatti, con l’impegno in tal direzione e questo perché è la persona stessa a conferire vantaggi alla propria sintomatologia, di modo che essa sia funzionale al raggiungimento di un proprio equilibrio. Si lavora, quindi, per valutare l’ambivalenza della situazione e considerare la progettualità esistente. Utile, a tal fine, la Bilancia decisionale, strumento atto a promuovere comparazione tra aspetti positivi e negativi di un particolare comportamento, favorire consapevolezza ed attivare cambiamento.
Determinazione: il soggetto giunge a tale stadio quando decide di porre fine al proprio comportamento problematico. Ciò non significa necessariamente che il cambiamento sia automatico, che le metodologie usate siano efficaci, che tutta l’ambivalenza sia stata risolta o che il tentativo avrà successo a lungo termine. Si interviene, allora, per trovare strategie comportamentali adeguate, percorribili, appropriate e rivalutare le intenzioni espresse.
Azione: rappresenta l’insieme di attività messe in atto dall’utente al fine di modificare il proprio comportamento, di modo da ridurre il rischio di insorgenza della problematica. Si tenta, quindi, di promuovere una nuova esperienza, mettere meglio a fuoco gli obiettivi e realizzare un programma che rispetti il più possibile gli intenti del singolo.
Mantenimento&ricaduta: si stabilizza il nuovo comportamento e la minaccia di ricaduta diminuisce progressivamente. Qui le azioni sono ridotte, il soggetto non è impegnato attivamente come nella fase precedente. Si lavora per: accrescere capacità di problem-solving, lavorare sull’irrazionalità di pensieri svalutativi, imparare a vedere la ricaduta come ostacolo prevedibile e gestibile.
Quest’ultima, infatti, non deve essere intesa come “fallimento” ma come un’eventualità costruttiva e funzionale. Se immaginiamo il cambiamento come un percorso in salita ed inciampiamo, una volta rialzati dove ci troveremo? Nella medesima posizione, per non dire rotolati all’indietro. Il problema, piuttosto, è quanto tempo impieghiamo a risollevarci: quanto maggiore sarà il lasso temporale che intercorre tra questi due momenti più grande sarà la possibilità di scivolare indietro.
In conclusione, tale modello, nonostante abbia sollevato non pochi disappunti, dato il forte valore euristico posseduto, nonché l’applicabilità in contesti di gruppo (che permette, comunque, un percorso individuale) ed a differenti fasce d’età, risulta particolarmente utile se usato in maniera flessibile, ragionata e critica.
https://www.youtube.com/watch?v=9W_EiG_GlXkGiada Pietrabissa