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Musicoterapia: quali peculiarità e ambiti di applicazione?

Musicoterapia: peculiarità e ambiti applicativi
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Musicoterapia: quali peculiarità e ambiti di applicazione?

Uno sguardo scientifico alla Musicoterapia

La musicoterapia può essere intesa come un metodo d’intervento che utilizza la musica e il suono a supporto delle competenze sensoriali, relazionali, emozionali e cognitive di soggetti in condizioni fisiologiche e patologiche.

Gli interventi musicali fanno spesso già parte delle pratiche cliniche, inseriti in un sistema integrato di tecniche di recupero e riabilitazione dell’individuo.

Di fatto, la stimolazione multisensoriale, relazionale, emozionale e cognitiva determinata dalle informazioni musicali (tra cui il suono, il ritmo e la melodia) viene usata all’interno del trattamento di diversi disturbi, molti dei quali di tipo neurologico, tra cui morbo di Parkinson, ictus, sclerosi multipla, demenze, danni cerebrali acquisiti, autismo. Esperienze musicoterapiche sono inoltre state condotte in ambito geriatrico, oncologico e delle cure palliative.

Contemporaneamente, tuttavia, il ruolo della musicoterapia nel miglioramento delle abilità e del benessere delle persone con disturbi psicologici o neurologici è ancora dibattuto per la mancanza di sufficienti studi condotti secondo un corretto approccio metodologico.

 

Quali le novità degli ultimi anni?

Grazie agli strumenti di neuroimmagine, un’ampia letteratura scientifica ha documentato l’impatto del suono sulle aree cerebrali.

In particolare, è stato osservato che la musica viene elaborata nelle regioni fronto-temporo-parietali, mediante una rete neurale che coinvolge non solo aree uditive ma anche il sistema limbico e le aree motorie (Soria-Urios, Duque, & García-Moreno, 2011). Prove condotte su individui sani o su popolazioni pediatriche con deficit neurologici hanno mostrato che le esperienze musicali producono effetti diretti e indiretti sullo sviluppo percettivo-motorio, comunicativo, socio-emotivo e comportamentale (Srinivasan & Bhat, 2013). Un gran numero di studi clinici ha dimostrato che gli stimoli musicali sistematicamente applicati possono portare a risultati positivi nel funzionamento dei pazienti con morbo di Parkinson, ictus e sclerosi multipla (LaGasse & Thaut, 2013). In quest’ambito opera la Neurologic Music Therapy (NMT), un sistema di tecniche terapeutiche basato su modelli neuroscientifici di percezione musicale.

Nel 2008 è stata fondata la Società internazionale di Neuromusicologia Clinica (CNM) con il fine di approfondire l’impatto della musica sulle funzioni cerebrali e tentare di migliorare il trattamento di alcune malattie neurologiche.

 

Quali sono i meccanismi alla base di questi processi?

In primo luogo, le neuroscienze hanno rivelato che la musica, in quanto stimolo complesso e organizzato, modula la plasticità sinaptica e l’apprendimento neuronale nel cervello. L’idea è che la performance artistica favorisca una forma di plasticità del cervello che, in una certa misura, potrebbe compensare anche i danni cerebrali causati da malattie neurologiche (Lin, et al., 2011).

Un altro importante filone di ricerca nell’ambito degli effetti neurologici della musica riguarda il ruolo del sistema dei neuroni specchio, che sembra attivarsi anche in seguito ai suoni prodotti dall’azione altrui. L’attivazione dei neuroni specchio nelle sedute di musicoterapia potrebbe quindi probabilmente essere alla base della produzione sonoro-musicale, e poiché le funzioni di questo sistema neuronale sono collegate alla cognizione sociale (Wan, Demaine, Zipse, Norton, & Schlaug, 2010), l’ascoltare e fare musica favorirebbe le funzioni sociali (Koelsch, 2010) come l’interazione, la comunicazione e l’empatia.

 

Cosa ne è stato della relazione terapeutica?

A livello teorico, la World Federation Of Music Therapy ha, nel 1999, riconosciuto universalmente cinque modelli di Musicoterapia.

Tra questi, il modello di Benenzon ha come ambito privilegiato il trattamento dell’autismo, dei pazienti in coma e della demenza, rivolgendosi essenzialmente a persone con deficit della comunicazione e della relazione, di natura psicogena o organica. I suoi fondamenti teorici fanno riferimento a studi di matrice psicodinamica ma anche a concetti propri della psicologia sistemica (Manarolo, 2006).

Secondo questo modello, è l’interazione non verbale e pre-verbale che s’instaura nel momento dell’improvvisazione musicale a permettere alle persone con linguaggio verbale di accedere a esperienze pre-verbali e, dall’altra parte, a consentire alle persone non verbali di interagire comunicativamente senza parole, impegnandosi in una relazione musicale ed emotiva (Geretsegger, Elefant, & Mossler, 2014). La risonanza emotiva tra il musicoterapeuta e il paziente diviene dunque espressione dell’avvenuta sintonizzazione tra due identità sonoro-musicali nel momento in cui il suono e gli strumenti musicali assumono la funzione di oggetti intermediari e favoriscono la relazione intersoggettiva.

Secondo Alfredo Raglio (musicoterapeuta che svolge attività clinica e di ricerca in ambito neuropsichiatrico, psichiatrico e neurologico), l’intervento musicale di natura terapeutica possiede alcune caratteristiche peculiari che lo distinguono dall’utilizzo della musica in altri ambiti: [..] la presenza di un operatore qualificato, con una formazione musicale, relazionale e clinica; la presenza di un setting terapeutico; finalità che inducano cambiamenti che tendano a divenire stabili o duraturi nel tempo (in rapporto alla patologia considerata); l’utilizzo di specifiche tecniche (attive e recettive) che si riferiscano a modelli psicologici e a prassi che pongano al centro dell’attenzione il rapporto, imprescindibile, tra suono e relazione, sganciato da una logica estetica o di performance (Raglio, 2012, p.86)

L’attuale letteratura sull’impiego della musica e della musicoterapia nell’ambito della riabilitazione neurologica mostra invece, secondo questo autore, alcune limitazioni, in quanto prevalgono interventi basati sulla stimolazione ritmica, intesa come supporto ritmico-musicale all’attività motoria. Eppure l’aspetto relazionale rimane comunque un essenziale valore terapeutico anche nella riabilitazione neuromotoria, poiché l’elemento sonoro-musicale mette in gioco un’importante dimensione psicologica e motivazionale che può portare a cambiamenti rilevanti nell’azione riabilitativa.

 

La formazione e la professione

L’applicazione della musicoterapia richiede una formazione accademica e clinica specializzata (Geretsegger, Elefant, & Mossler, 2014), ma attualmente in Italia, nonostante il diffuso uso di questa pratica e la legge 4/2013, la figura del musicoterapeuta non gode ancora di una regolamentazione adeguata che ne fissi i criteri per la formazione, la supervisione e l’applicazione.

Negli Stati Uniti d’America, invece, l’American Music Therapy Association ha stabilito la necessità di una formazione specifica consistente in un diploma di laurea in musicoterapia. Anche in altri paesi, tra cui Gran Bretagna, Germania, Canada e Australia, già da qualche tempo esiste una legislazione specifica sullo svolgimento dell’attività musicoterapica e sulla formazione, che richiede la frequentazioni di particolari programmi a livello universitario e l’iscrizione ad un albo professionale.

 

Il dibattito in corso

Il dibattito attuale sulla scientificità della musicoterapia, dei suoi contenuti e delle sue modalità applicative, è probabilmente in parte dovuto alla pluralità di approcci e ai differenti contesti geografici e culturali in cui la disciplina è applicata (Raglio, 2012), senza un modello terapeutico condiviso da cui derivino modalità applicative e valutative.

Attualmente, gli interventi musicoterapici possono essere definiti tali se vengono rispettati due criteri: 1) la musica è utilizzata come strumento per affrontare obiettivi non musicali e 2) le sessioni di musicoterapia sono condotte da un musicoterapeuta formato (Geretsegger, Elefant, & Mossler, 2014).

Se da un lato è auspicabile un’integrazione di strumenti di neuroimaging (Lin, et al., 2011) e linee guida per l’erogazione della musicoterapia, dall’altro l’integrazione di metodi di valutazione quantitativi e quantitativi può essere utile per chiarire alcune delle differenze più sottili nel comportamento dei soggetti durante le sedute di musicoterapia, nell’interazione interpersonale e in altri contesti.

A questo proposito, una menzione speciale va al progetto internazionale “TIME-A”, il primo grande studio randomizzato e controllato a livello internazionale su bambini in età prescolare con diagnosi di Disturbo dello Spettro Autistico progettato per valutare l’efficacia della musicoterapia improvvisativa sulle competenze di comunicazione sociale e sulla reattività sociale. (Nella musicoterapia improvvisativa, il musicoterapista e il soggetto sono impegnati in un’improvvisazione sonoro-musicale. Il musicoterapista invita il soggetto a suonare uno o più degli strumenti musicali disponibili e accoglie la proposta sonora dell’altro, espressione del suo stato d’animo in quel momento, restituendogliela poi per imitazione, uguale o variata. In questo modo i due attori dell’azione costruiscono un codice sonoro musicale condiviso col quale comunicare ad un livello emotivo profondo).

Questo progetto, promosso e finanziato dall’Università di Bergen con la partecipazione di altri istituti in nove Paesi (Norvegia, Austria, Regno Unito, Israele, USA, Brasile, Korea, Australia eItalia), terminerà quest’anno, dopo oltre quattro anni di ricerche. L’approccio musicoterapico applicato in questo studio si basa sui principi dell’improvvisazione musicoterapia, sui risultati della ricerca musicale precedente tra cui Kim, Wigram, & Gold (2008) e sulla psicologia dello sviluppo di Stern.

 

Conclusioni

La musicoterapia può essere considerata uno strumento promettente nel campo della riabilitazione, ma sono ancora necessari studi scientifici più rigorosi che possano valutarne maggiormente l’efficacia e quindi permettere il suo riconoscimento nell’ambito scientifico.

D’altro canto occorre una maggiore diffusione, nella pratica clinica, di metodologie e tecniche sviluppate alla luce di teorie, peraltro anch’esse in questo momento in continua evoluzione. Emerge quindi la necessità di un dialogo interdisciplinare in cui musicoterapisti, psicologi, psichiatri e neuroscienziati integrino saperi teorici e prassi terapeutico-riabilitative.

 

Bibliografia

  • Geretsegger, M., Elefant, C., & Mossler, K. (2014). Music therapy for people with autism spectrum disorder. Cochrane database of systematic reviews, 1(6), 1-64.
  • Koelsch, S. (2010). Music in the treatment of affective disorders: an exploratory investigation of a new method for music-therapeutic research. Music Perception, 27(4), 307–316.
  • LaGasse, A., & Thaut, M. (2013). The Neurobiological Foundation of Neurologic Music Therapy. Music and Medicine, 5, 228-233.
  • Lin, S., Yang, P., Lai, C., Su, Y., Yeh, Y., Huang, M., & Chen, C. (2011). Mental health implications of music: insight from neuroscientific and clinical studies. Harvard review of psychiatry, 1, 34–46.
  • Manarolo, G. (2006). Manuale di musicoterapia. Teoria, metodo e applicazioni della musicoterapia. Torino: Cosmopolis.
  • Overy, K., & Molnar-Szakacs, I. (2009). Being Together in Time: Musical Experience and the Mirror Neuron. Music Perception: An Interdisciplinary Journal, 26(5), 489-504.
  • Raglio, A. (2012). L’efficacia della musica e della musicoterapia nella riabilitazione neuromotoria. Giornale Italiano di medicina del lavoro e ergonomia, 34(1), 85-90.
  • Soria-Urios, G., Duque, P., & García-Moreno, J. (2011). Music and brain (II): evidence of musical training in the brain. Revista de neurologia, 12, 739–746.
  • Srinivasan, S., & Bhat, A. (2013, Apr.). A review of “music and movement” therapies for children with autism: embodied interventions for multisystem development. Frontiers in integrative neuroscience, 7, 221-216.
  • Wan, C., Demaine, K., Zipse, L., Norton, A., & Schlaug, G. (2010). From music-making to speaking: engaging the mirror neuron system in autism. Brain Res Bull, 82.

 

Si parla spesso di “musicoterapia”, un approccio che utilizza la musica o il suono come strumento per intervenire a livello educativo o riabilitativo in una varietà di condizioni fisiologiche e patologiche.

Ma a che punto è la ricerca scientifica in questo ambito? Quali i contesti di applicazione, in ambito “psico”, di dimostrata efficacia? E quale la formazione richiesta, in Italia e all’estero?

Nell’articolo di oggi cerchiamo di rispondere a queste domande da un punto di vista scientifico.

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