“L’intreccio: neuroscienze, clinica e teoria dei sistemi dinamici complessi”
29 Luglio 2013 2013-07-29 13:17“L’intreccio: neuroscienze, clinica e teoria dei sistemi dinamici complessi”
“L’intreccio: neuroscienze, clinica e teoria dei sistemi dinamici complessi”
Propongo con piacere una breve introduzione all’interessantissimo libro di Marcello Fiorita, che racconta apposta per Psicologo-Milano.it che cosa incontrerà il lettore che deciderà di comprarlo. Ringrazio Marcello, al quale auguro in bocca al lupo, Luca Mazzucchelli Parlando dell’Intreccio vorrei raccontare qualcosa della psicologia e della sua evoluzione e qualcosa che ci racconta quanto essa sia cresciuta con, e grazie, alle altre scienze. Per questo vi parlerò dell’intreccio tra le scienze, le filosofie e le storie, tra la biologia e la psicologia, tra la mente e il corpo. Sono passati 112 anni da quando fu scritta da Sigismung Schlomo Freud “L’interpretazione dei sogni” e talvolta sembra che la psicologia non lo tenga presente. Dico questo non tanto per sottovalutare il lavoro di Freud, per molti aspetti geniale e all’avanguardia, quanto per non dimenticarci di contestualizzare e rileggere con criticità e, con i mezzi attuali, quanto detto e studiato all’epoca. Freud, per esempio, era profondamente influenzato dal movimento filosofico detto “positivista”. Il positivismo è una corrente di pensiero tesa ad esaltare il metodo scientifico e alla continua ricerca di una verità scientifica. Per questo filosofia e psicologia non erano ritenute “scienze” ed erano bisfrattate e tacciate di idealismo. Tanto è vero che, con il fine di far rientrare la psicoanalisi tra le “scienze”, Freud è costretto a pensare ad una teoria che si basa su elementi concreti importati da altre scienze (per es. la fisica), quale l’energia. Da questa tensione verso il modello posivitista nasce un modello “idraulico” della psiche: energia=pulsione libidica-scarica-equilibrio. La libido sessuale e il soddisfacimento degli istinti primari sembrano essere al centro della vita psichica (naturalmente semplificando un po’ il modello). Sono passati 19 anni dalla morte di Freud e il suo modello è ancora ampiamente in voga. Nel frattempo un ricercatore americano sta per effettuare un esperimento che confuta, almeno in parte, alcuni presupposti freudiani. Harlow vuole capire se un primate, come una scimmia Rhesus, sia incentrato sul solo soddisfacimento del bisogno fisiologico (così come l’uomo disegnato da Freud). Egli decide di mettere una scimmietta in una gabbia lontana dalla mamma e, una volta liberata, gli dà la possibilità di scegliere una sagoma della madre metallica con il biberon oppure un fantoccio caldo e morbido della madre. Ebbene la scimmia beve qualche goccia di latte e poi va ad avvinghiarsi al fantoccio caldo e morbido della mamma (vedi il video dell’esperimento). La scimmia cerca primariamente la relazione! Normal 0 14 false false false IT JA X-NONE Harlow ci racconta una cosa non banale: forse anche l’uomo, oltre alla scimmia, non cerca solo il soddisfacimento degli istinti libidici o fisiologici ma anche la relazione. Finalmente si parla di relazione e non solo di libido! Questi brevi passaggi storici vi fanno capire come sono bastati solo 19 anni per sfatare, con un esperimento emblematico, alcuni miti di Freud: non gira tutto intorno alle pulsioni fisiologiche! Non gira tutto intorno al sesso, l’uomo non è solo organizzato sulla scarica della libido ma cerca anche e primariamente la relazione. Ecco sono passati moltissimi anni e moltissimi esperimenti. Ora, al contrario dell’epoca in cui viveva Freud, ci sono studi eccellenti condotti sui bambini neonati. Questi esperimenti ci raccontano molto dei bambini: i bambini non sono esseri passivi, non sono solo pulsioni, i bambini cercano l’interazione fin da appena nati, i bambini riconoscono la mamma e la cercano. In una parola il funzionamento del cucciolo umano è molto più complesso di come s’immaginava Freud. Non c’è un singolo trauma che dà vita a problemi, non c’è una mamma perfetta, non c’è un bambino narcisista e rinchiuso in sé stesso come descritto da Freud. Il clima che si respira è quello di una maggiore complessità, magari accompagnata da un maggiore grado d’incertezza, ma di una maggiore complessità. Le relazioni, anche tra mamma e neonato, si fanno in due e tutte e i due sono co-autori di ciò che si crea molto più di quanto si possa immaginare. A tale proposito c’è un esperimento molto interessante condotto da Tronick. Si chiede alla madre di guardare improvvisamente il bambino con il “volto immobile” cioè senza espressione né altro. A 3 mesi il bambino percepisce quell’inattività della mamma come disturbante e cerca, attraverso l’emissione di suoni o sorridendo, di far “sbloccare” la mamma. Ecco che viene descritto un bambino attivo, rispondente, attento e con delle competenze affettive e relazionale, fin da 3 mesi. Ho portato questo esempio per stimolare la curiosità e per far capire come siamo andati ben oltre l’idea del bambino freudiano passivo, narcisista, chiuso in se stesso, “perverso e polimorfo” e pronto solo alla scarica libidica. Ben oltre! La questione è molto più complessa, ed è di complessità che si parla ora in psicologia e in psicoanalisi. Complessità perché si sa che nell’interazione siamo influenzati tanto dall’esterno (la mamma, il papà, l’ambiente, etc…) ma anche tanto da un interno (il nostro DNA, i tratti temperamentali, le esperienze passate nella nostra memoria, etc…) e ci organizziamo sia grazie all’interno e che all’esterno. Guardate questa foto: Non trovate che abbia qualcosa di strano? E sì, avete ragione. La stranezza è che stiamo guardando un uomo a testa in giù (studio fotografico di Brandon Voges). Se ci pensate, a proposito d’influenze esterne continue, noi siamo continuamente soggetti alla forza di gravità e, come ci sviluppiamo nel corso del tempo, è anche influenzato da questa variabile silenziosa (vedi la gobba, le rughe, la digestione, etc…) Gli esempi possono essere innumerevoli, ma l’idea di fondo è che ci sono moltissime variabili in gioco sempre e non sempre possono essere valutate tutte; sia che si parli di variabili interne che esterne. Non c’è più un solo trauma che ci fa stare male (come sosteneva Freud), ma c’è un evento e un come noi lo viviamo, cioè il significato che gli diamo, insieme a molte altre variabili imponderabili (per esempio, livello di arausal di partenza-capacità di gestione dell’ansia). Per questi motivi un medesimo evento non dà sempre lo stesso effetto nell’uomo. Ecco che con la complessità introduciamo il concetto d’incertezza, perché non c’è più una causa che produce per forza e sempre un effetto. Non c’è più linearità: A + B non danno sempre C. Inoltre non pensiamo più ad un trauma che porta ad una fobia specifica ma parliamo di multifattorialità: c’è l’evento negativo o “traumatico” (se così si può chiamare), il significato specifico che assume, e molte altre variabili che s’intrecciano con esso. La psicologia non è più lineare, perfetta, certa così come le altre scienze. Sentite Heisenberg e il suo principio di indeterminazione: “Non è possibile conoscere simultaneamente la quantità di moto e la posizione di una particella con certezza”. La fisica, la scienza esatta per antonomasia nell’epoca del positivismo, ci racconta che non si può conoscere con certezza? Sì, con il tempo ha iniziato ad insinuarsi il germe dell’incertezza anche nelle scienze esatte. Non solo, Heisenberg attraverso il principio d’indeterminazione verifica anche che l’osservatore influenza ciò che si osserva: per questo che “non si può conoscere con certezza”. Ebbene, se questa cosa vale per la fisica, voi pensate che non possa valere anche per la psicologia? Possiamo pensare realmente che noi, che siamo persone, non ci influenziamo quanto, o forse più, di alcune particelle elementari? Il principio d’indeterminazione ha aiutato la psicologia ha poter parlare con “scientificità” di incertezza e dell’influenza dell’osservatore. Effettivamente negli studi di psicologia l’osservatore influenza enormemente ciò che si vede. Nel momento in cui io, per come sono fatto, entro in relazione con un mio paziente influenzerò (per come interagisco e per come mi sente-vede l’altro) la reazione dell’altro e ciò farà sì che io veda qualcosa nella relazione tra me e lui che potrà essere unico e diverso rispetto ad un’altra relazione. Insomma come vedete siamo partiti dall’esperimento su una scimmia Rhesus e passando attraverso l’Infant Research (lo studio del volto immobile) siamo arrivati alla fisica, raccogliendo qua e là spunti di riflessione su una psicologia diversa. Una psicologia che parla di complessità, di relazione, di multifattorialità, di non linearità (l’opposto di: evento negativo=trauma=patologia), di osservatore che influenza l’osservato, di non certezza, di fattori esterni che co-partecipano insieme a fattori interni nel creare come siamo fatti. In questa visione complessa che rapporto c’è tra mente e corpo? Attraverso studi scientifici, filosofici e casi clinici attualmente è facile dimostrare che dividere l’uomo in corpo-macchina e psiche-anima è vetusto e infondato. L’idea è di una psicologia che parli di un essere umano che si muove in un tutt’uno tra mente-corpo, con una melodia unica e complessa, un INTRECCIO profondo e armonico. Il mio libro racconta proprio tutto ciò; come la psicologia e la psicoterapia si sia trasformata attraverso la fisica, l’infant research, la filosofia e le altre scienze. Racconta una psicologia e una psicoterapia dinamica e multidisciplinare che guarda a Freud con rispetto e lo sorpassa con l’orgoglio di chi si può dire scienza, al di là della sottomissione alle scienze, ma attraverso un dialogo tra esse. Racconto di una psicologia che parla alla psiche ma anche al corpo, ma soprattutto all’uomo nel suo funzionamento globale psico-corporeo. Ecco perché parlo di un intreccio. Buona lettura, Marcello Florita www.marcelloflorita.it/Psicoterapeuta_Milano/Florita_psicoterapeuta_Milano.html Il libro: “L’intreccio: neuroscienze, clinica e teoria dei sistemi dinamici complessi” Autore: Marcello Florita Prefazione: Edoardo Boncinelli Franco Angeli Editore, 2011.