Ψ L’obesità
L’obesità: un quadro complessivo
Viene definita come: condizione cronica, ad eziologia multifattoriale, caratterizzata da un aumento del peso corporeo per accumulo di tessuto adiposo, in misura tale da influire negativamente sullo stato di salute (OMS, 1997). La quantità di adipe non dovrebbe, infatti, superare il 19 % della massa corporea negli uomini ed il 22 % nelle donne: è possibile, quindi, parlare di obesità solo al di sopra di tali limiti. Diversi studiosi hanno, poi, proposto alcuni sistemi di classificazione basati sull’indice di massa corporea, permettendo l’individuazione di quattro gradi di obesità:
• grado 0 (BMI < 25) = assenza di obesità
• grado 1 (BMI 25 – 29) = sovrappeso
• grado 2 (BMI 30 – 40) = obesità
• grado 3 (BMI > 40) = obesità severa
Eziologia e fattori di rischio dell’obesità
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Causa primaria di tale condizione sembra sempre essere l’eccessiva alimentazione, seppur in molti obesi, tuttavia, si registri un apporto calorico inferiore alla media della popolazione normoponderale. L’obesità può anche essere, quindi, frutto di una diminuzione del metabolismo basale, che spingerebbe l’organismo ad economizzare al massimo ogni apporto energetico introdotto nell’organismo. Ciò spiegherebbe anche la difficoltà di alcuni a dimagrire pur seguendo diete (Stunkard, Wadden, 1993). Esistono, inoltre, fattori causali di tipo emozionale, socioeconomico, genetico e neurologico alla base di tale disturbo.
Sono obese soprattutto persone di status socioeconomico relativamente basso e donne, le quali, a causa dell’enfasi che la società attuale attribuisce alla magrezza, mettono in atto comportamenti di controllo alimentare, spesso associati a bassa autostima e depressione (Riedan, Koff e Stubbs, 1987; Rosen, Gross, e Vara, 1987). Quando, però, i risultati ottenuti con la dieta non corrispondo alle aspettative ciò, oltre ad abbassare il livello di autostima ed aumentare la frustrazione, favorisce quei comportamenti di abbuffata (Cargill et al., 1999; Kuehnel e Wadden, 1994) che contribuirebbero all’insorgenza dell’obesità in soggetti biologicamente predisposti, o di sovrappeso, in assenza di predisposizione (Magnani et al., 1998). La condizione peggiora in relazione ad abitudini di vita sedentarie, come il numero eccessivo di ore trascorse davanti alla televisione e la riduzione dell’attività fisica.
Recenti evidenze sperimentali confermano, però, la prevalenza di fattori genetici rispetto a quelli ambientali nella formazione dell’obesità.
L’ipotesi psicosomatica riconosce, poi, che molte persone, nel tentativo di far fronte all’arousal emozionale, consumano cibo in risposta a stati ansiosi, promuovendo l’instaurarsi di un circolo vizioso, in quanto l’aumento ponderale comporta insoddisfazione di sé e della propria immagine corporea, generando ulteriori sentimenti di inadeguatezza, tristezza ed ansia.
L’American Academy of Child and Adolescent Psychiatry (Wiener, 1997) ha cercato, inoltre, di organizzare schematicamente i differenti tipi di obesità in base a cause endogene, date da anomalie nel funzionamento fisiologico della persona, o esogene, dovute, cioè, a fattori esterni all’individuo quali: eccessivo apporto calorico risultato del comportamento di un caregiver che, per scarsa informazione o per abitudine culturale, alimenta troppo il bambino, familiarità ed obesità psicogena (dovuta a separazione traumatica dal caregiver primario o grave e cronica disorganizzazione familiare). Hilde Bruch (Bruch & Touraine, 1940), a tal proposito, esaminando una sindrome attribuita ad un’ignota disfunzione della ghiandola ipofisaria, la sindrome di Frohlich, caratterizzata da grave obesità, genitali piccoli e ritardo comportamentale in bambini di sesso maschile, ritenne che l’eccesso ponderale fosse dovuto a mancanza di attività fisica ed iperalimentazione, nonché alla relazione della madre nei conforti di un figlio non voluto, a cui offriva cibo in sostituzione dell’amore materno. Sulla base di tali osservazioni cliniche, una delle prime ipotesi sulla patogenesi dell’obesità nell’infanzia identificava, alla base dei Disturbi del Comportamento Alimentare, un’anomalia nel modo in cui è avvertita la fame: il bambino può fraintendere le sue sensazioni fisiche e imparare ad abusare della funzione nutritiva per sedare tensioni emotive e sopportare difficoltà interpersonali. La risposta dei genitori ai bisogni del figlio assume, quindi, un ruolo fondamentale in quanto, se monotona (cibo) per ogni segnale di malessere, il soggetto imparerà a rispondere mangiando ad ogni futura esperienza di disagio.
La nutrizione dell’adolescente nelle società industrializzate avanzate è, poi, spesso caratterizzato da comportamenti di dieting e da un’alimentazione qualitativamente sbilanciata. Vasta è, quindi, la problematica circa una corretta educazione alimentare, spesso scarsa ed affidata all’iniziativa dei singoli, per cui stanno acquistando particolare valore quelle indotte da televisione e giornali.
Immagine corporea e obesità
Epidemiologia e diffusione dell’obesità
Il nostro paese, in particolre, si colloca tra gli ultimi posti nella classifica europea dell’obesità, con una percentuale di obesi del 7,6 % per gli uomini e del 7,0 % per le donne. Tuttavia, se si considerano le persone in sovrappeso, l’Italia balza ai primi posti della graduatoria europea (insieme a Francia ed Inghilterra) col 39,8 % dei maschi ed il 25,3 % delle donne aventi peso superiore ai valori considerati normali. Al di sotto dei 14 anni, invece, gli italiani sembrano dominare le classifiche europee dell’obesità (Maffei et al., 1993).
Pochi studi hanno, invece, calcolato il tasso di incidenza dell’obesità; tuttavia i dati presenti mostrano come essa aumenti in relazione al crescere dell’età, soprattutto tra le donne.
Comorbilità
Risulta, quindi, importante ricorrere a differenti tipi di trattamenti, sia farmacologici, sia medici, sia di cambiamento dello stile di vita, sia psicologici che terapeutici a livello sociale ed individuale.
Dott.ssa Giada Pietrabissa