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Omosessualità e coming out – Intervista a Vittorio Lingiardi

Omosessualità e coming out – Intervista a Vittorio Lingiardi
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Omosessualità e coming out – Intervista a Vittorio Lingiardi

Oggi parliamo di omosessualità e coming out.

Per approfondire questo tema, ho intervistato Vittorio Lingiardi, psichiatra e psicoanalista italiano, Professore Ordinario di Psicologia Dinamica presso la Facoltà di Medicina e Psicologia de La Sapienza. Vittorio Lingiardi ha condiviso con noi la sua visione sull’importanza di accettare e comunicare il proprio orientamento sessuale, sui fattori che influenzano questa decisione e sul ruolo della famiglia e della società nell’accogliere questo aspetto dell’identità individuale.

Cosa troverai in questa intervista:

  1. È sempre bene fare coming out?
  2. Accettare e comunicare il proprio orientamento
  3. Quando la famiglia non accetta
  4. Omosessualità e genitorialità
📌 Preferisci vedere l’intervista in video? Eccola qui (e non dimenticare di iscriverti al mio canale Youtube)

1) È sempre bene fare coming out?

Luca Mazzucchelli: Vittorio, prima domanda. Comunicare il proprio orientamento sessuale al mondo, per alcuni, è un momento molto delicato. È sempre bene fare coming out?

Vittorio Lingiardi: La domanda si divide in due parti; rispondo alla prima. È un momento delicato perché è il momento di conclusione di un processo in cui la persona ha fatto coming out con sé stesso; è entrato in relazione con il suo orientamento sessuale, lo ha capito, riconosciuto e vissuto, e ha deciso che può parlarne anche con altre persone.

È delicato perché in un mondo, fortunatamente sempre meno, segnato storicamente dallo stigma nei confronti delle persone omosessuali, non sempre è sicuro l’incontro con una risposta di accoglienza o anche di normale “presa d’atto” di questa realtà.

Quindi, c’è un elemento di delicatezza che ha a che fare con il percorso compiuto e un altro che ha a che fare con l’ambiente che accoglierà questa informazione.

Per rispondere alla seconda domanda: io penso che sia sempre bene fare coming out, ma penso anche che ciascuno abbia il suo tempo, il suo momento e la sua storia.

2) Accettare e comunicare il proprio orientamento

LM: Prima hai detto che, prima di tutto, bisogna comunicarlo a noi stessi. Per alcuni è più facile rispetto ad altri accettare il proprio orientamento sessuale. Come mai questa differenza?

VL: Parliamo di accettazione proprio orientamento omosessuale, perché l’accettazione del proprio orientamento eterosessuale è data per scontato e, in questo, ti ho in parte risposto.

In realtà, dovrebbe essere che ciascuno accetta il proprio orientamento sessuale, punto. Perché l’orientamento sessuale è una cosa che capita e nessuno sa perché una persona è omosessuale e una persona è eterosessuale.

Il coming out è anche un momento che segna forse un passaggio che possiamo descrivere così: dalla presa d’atto della propria omosessualità alla scelta di essere gay o essere lesbica, cioè di riconoscere che l’orientamento sessuale implica anche un’identità sociale, una comunicazione pubblica. E quindi, in questo senso, per alcune persone può essere più facile, per altre può essere più difficile. Perché? Per l’ambiente e la cultura, e soprattutto, direi, la risposta familiare.

Noi sappiamo che c’è un rapporto, lo dicono le ricerche, estremamente positivo tra la serenità del proprio coming out e l’accettazione da parte della famiglia e della comunità. E invece ci sono ricerche che documentano dati anche preoccupanti, come un pensiero suicidario o problematiche di benessere psicologico anche molto significativi, quando la scuola e la famiglia rifiutano di riconoscere e di rispettare l’orientamento sessuale. E quindi la comunicazione di questo orientamento è anche legata, diciamo, da una parte alla resilienza personale e dall’altra alla sicurezza dell’ambiente.

 

3) Quando la famiglia non accetta l’omosessualità

LM: Cosa si può fare quando la famiglia non accetta l’omosessualità?

VL: Io partirei raccontando un episodio positivo che indica che le famiglie hanno fatto dei passi da gigante rispetto a una volta.

Una volta, i genitori andavano dallo psicologo dicendo: “Ho un figlio che penso abbia dei problemi, che sia omosessuale. Come possiamo aiutarlo?”.

Ora è più facile che dei genitori si rivolgano allo psicologo o alla psicologa dicendo: “Abbiamo bisogno noi di essere aiutati per non fare del male a nostro figlio”. Perché per molti genitori l’omosessualità del figlio è ancora legata all’idea di una vita infelice, all’idea di una vita stigmatizzata e, purtroppo, anche legata a fattori come una vita sbagliata o una vita che dovrebbe essere in un altro modo e invece va raddrizzata. Da qui, purtroppo, anche la ricerca e la richiesta delle cosiddette “terapie riparative”, che terapie non sono.

Io penso che, da una parte, è importante che si sviluppi il dialogo e che ciascuno abbia dei tempi di comprensione e riconoscimento dell’altro. Purtroppo non è sempre possibile, e questo lo vediamo in alcune storie in cui avvengono degli strappi, dei silenzi, delle finte comprensioni che, in realtà, poi si trasformano in disinteresse, ostilità, difficoltà di riconoscimento.

A questo proposito, è molto importante e anche molto bello il lavoro dei genitori dell’Agedo che possono aiutare i genitori che fanno fatica ad accettare qualcosa che né va accettato né va respinto; è una cosa che esiste e c’è.

LM: Ti senti di fornirci, se ci sono, dei suggerimenti, delle precauzioni, delle “linee guida” da tenere a mente per fare coming out?

VL: Io penso che ci sia un momento in cui il ragazzo o la ragazza si sente pronto per farlo. Che ci siano delle persone con cui sia più facile partire: amici, parenti, o genitori stessi. Non ci sono delle linee guida, se non la consapevolezza che la ricerca della propria verità personale, e una vita non costruita intorno alla finzione e alla clandestinità, è l’unica possibilità per essere sereni.

coming out vittorio lingiardi

4) Omosessualità e genitorialità

LM: Si parla molto in questo periodo di adozioni da parte di coppie omosessuali, ad esempio con la legge Cirinnà. Ti chiedo se ci sono delle ricerche a riguardo, quale è la tua idea su questo, cose succederà in futuro, come cambierà la società.

VL: Io penso che la società, da questo punto di vista, cambierà molto, ma al tempo stesso rimarrà la stessa, perché il tessuto sociale è composto da relazioni affettive, non è composto da relazioni differenziate in base al genere di chi vive queste relazioni affettive.

Tutta la ricerca scientifica, ormai da quarant’anni, racconta di figli cresciuti da coppie o da persone di orientamento omosessuale che non presentano delle problematicità specifiche. E quello che è emerso, da una parte, è che i figli hanno bisogno di essere amati e riconosciuti; quindi è vero un po’ lo slogan delle famiglie arcobaleno, che poi è il titolo di una pubblicazione dell’American Psychological Association, che dice “love makes a family”: l’amore fa una famiglia.

Dall’altro punto di vista, io credo che sia anche questa un’affermazione da superare. Mi spiego: l’attenzione che le omogenitorialità hanno ricevuto negli ultimi anni hanno, in qualche modo, spinto tutti a riflettere e a pensare, e ripensare, a che cosa è la genitorialità, a ridefinire la genitorialità. E si è visto che, ovviamente, l’amore e il piacere di crescere un figlio o una figlia è il nucleo centrale della genitorialità, ma ci sono tanti elementi che hanno a che fare con la possibilità di essere buoni genitori: saper dare dei limiti, saper contenere, saper riconoscere i bisogni, saper fare un passo indietro o un passo avanti in relazione alle necessità e alle caratteristiche del figlio o della figlia.

Le caratteristiche della genitorialità non sono specificate dal prefisso “omo” o “etero”. Si è buoni o cattivi genitori indipendentemente dal proprio genere.

Quanto alla Legge Cirinnà, per me è una legge importantissima, perché comunque introduce, con l’autorevolezza della giurisprudenza e della legge, un cambiamento importantissimo in un paese come l’Italia, arretrato rispetto a queste tematiche.

Purtroppo, proprio perché l’Italia è un paese molto arretrato, una parte molto importante, cioè la possibilità di poter riconoscere il figlio del partner o la figlia del partner e le tematiche di stepchild adoption e di genitorialità, sono state, al momento, sacrificate.

Io sono sicuro che presto, grazie anche al lavoro della giurisprudenza, anche questa parte stralciata avrà, insieme probabilmente magari ad un testo più ampio sulle adozioni, un suo riconoscimento pieno; ma in ogni caso credo che, grazie al lavoro magnifico fatto dal Cirinnà e dal governo in questo senso, che è rimasto unito intorno a questo progetto di legge, molte persone si sentiranno più difese e più protette. Perché vivere in un paese che ti fornisce una cittadinanza di serie B significa, in qualche modo, autorizzare l’ostilità, la discriminazione, in una parola, l’omofobia sociale.

LM: Vittorio, chiarissimo, molto gentile. Grazie anche a voi per averci seguito fin qui e alla prossima.

Chi è Vittorio Lingiardi

Vittorio Lingiardi (Milano, 1960) è uno psichiatra e psicoanalista italiano, professore ordinario di psicologia dinamica presso la Facoltà di Medicina e Psicologia della Sapienza Università di Roma.

Si è laureato nel 1985 in Medicina e chirurgia e si è specializzato in psichiatria nel 1989. Ha svolto attività clinica e di ricerca presso l’Istituto di Clinica Psichiatrica dell’Università degli Studi di Milano e presso l’Ospedale San Raffaele di Milano, e ha trascorso periodi di studio e formazione negli Stati Uniti e in Canada, presso la Menninger Clinic (Topeka, Kansas), la Chestnut Lodge Clinic (Rockville, Maryland) e la McGill University (Montreal, Canada).

È psicologo analista con funzioni di training presso il Centro Italiano di Psicologia Analitica (CIPA) e socio analista della International Association for Relational Psychoanalysis and Psychotherapy (IARPP). Dal 2006 al 2013 ha diretto la Scuola di Specializzazione in psicologia clinica della Sapienza Università di Roma.

I suoi studi riguardano principalmente la personalità e i suoi disturbi, i meccanismi di difesa, l’alleanza terapeutica, la ricerca in psicoterapia, gli studi di genere e l’orientamento sessuale.

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