Omosessualità e coming out – Intervista a Vittorio Lingiardi
Oggi parliamo di omosessualità e coming out.
Per approfondire questo tema, ho intervistato Vittorio Lingiardi, psichiatra e psicoanalista italiano, Professore Ordinario di Psicologia Dinamica presso la Facoltà di Medicina e Psicologia de La Sapienza. Vittorio Lingiardi ha condiviso con noi la sua visione sull’importanza di accettare e comunicare il proprio orientamento sessuale, sui fattori che influenzano questa decisione e sul ruolo della famiglia e della società nell’accogliere questo aspetto dell’identità individuale.
Cosa troverai in questa intervista:
- È sempre bene fare coming out?
- Accettare e comunicare il proprio orientamento
- Quando la famiglia non accetta
- Omosessualità e genitorialità
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1) È sempre bene fare coming out?
Luca Mazzucchelli: Vittorio, prima domanda. Comunicare il proprio orientamento sessuale al mondo, per alcuni, è un momento molto delicato. È sempre bene fare coming out?
Vittorio Lingiardi: La domanda si divide in due parti; rispondo alla prima. È un momento delicato perché è il momento di conclusione di un processo in cui la persona ha fatto coming out con sé stesso; è entrato in relazione con il suo orientamento sessuale, lo ha capito, riconosciuto e vissuto, e ha deciso che può parlarne anche con altre persone.
È delicato perché in un mondo, fortunatamente sempre meno, segnato storicamente dallo stigma nei confronti delle persone omosessuali, non sempre è sicuro l’incontro con una risposta di accoglienza o anche di normale “presa d’atto” di questa realtà.
Quindi, c’è un elemento di delicatezza che ha a che fare con il percorso compiuto e un altro che ha a che fare con l’ambiente che accoglierà questa informazione.
Per rispondere alla seconda domanda: io penso che sia sempre bene fare coming out, ma penso anche che ciascuno abbia il suo tempo, il suo momento e la sua storia.
2) Accettare e comunicare il proprio orientamento
4) Omosessualità e genitorialità
LM: Si parla molto in questo periodo di adozioni da parte di coppie omosessuali, ad esempio con la legge Cirinnà. Ti chiedo se ci sono delle ricerche a riguardo, quale è la tua idea su questo, cose succederà in futuro, come cambierà la società.
VL: Io penso che la società, da questo punto di vista, cambierà molto, ma al tempo stesso rimarrà la stessa, perché il tessuto sociale è composto da relazioni affettive, non è composto da relazioni differenziate in base al genere di chi vive queste relazioni affettive.
Tutta la ricerca scientifica, ormai da quarant’anni, racconta di figli cresciuti da coppie o da persone di orientamento omosessuale che non presentano delle problematicità specifiche. E quello che è emerso, da una parte, è che i figli hanno bisogno di essere amati e riconosciuti; quindi è vero un po’ lo slogan delle famiglie arcobaleno, che poi è il titolo di una pubblicazione dell’American Psychological Association, che dice “love makes a family”: l’amore fa una famiglia.
Dall’altro punto di vista, io credo che sia anche questa un’affermazione da superare. Mi spiego: l’attenzione che le omogenitorialità hanno ricevuto negli ultimi anni hanno, in qualche modo, spinto tutti a riflettere e a pensare, e ripensare, a che cosa è la genitorialità, a ridefinire la genitorialità. E si è visto che, ovviamente, l’amore e il piacere di crescere un figlio o una figlia è il nucleo centrale della genitorialità, ma ci sono tanti elementi che hanno a che fare con la possibilità di essere buoni genitori: saper dare dei limiti, saper contenere, saper riconoscere i bisogni, saper fare un passo indietro o un passo avanti in relazione alle necessità e alle caratteristiche del figlio o della figlia.
Le caratteristiche della genitorialità non sono specificate dal prefisso “omo” o “etero”. Si è buoni o cattivi genitori indipendentemente dal proprio genere.
Quanto alla Legge Cirinnà, per me è una legge importantissima, perché comunque introduce, con l’autorevolezza della giurisprudenza e della legge, un cambiamento importantissimo in un paese come l’Italia, arretrato rispetto a queste tematiche.
Purtroppo, proprio perché l’Italia è un paese molto arretrato, una parte molto importante, cioè la possibilità di poter riconoscere il figlio del partner o la figlia del partner e le tematiche di stepchild adoption e di genitorialità, sono state, al momento, sacrificate.
Io sono sicuro che presto, grazie anche al lavoro della giurisprudenza, anche questa parte stralciata avrà, insieme probabilmente magari ad un testo più ampio sulle adozioni, un suo riconoscimento pieno; ma in ogni caso credo che, grazie al lavoro magnifico fatto dal Cirinnà e dal governo in questo senso, che è rimasto unito intorno a questo progetto di legge, molte persone si sentiranno più difese e più protette. Perché vivere in un paese che ti fornisce una cittadinanza di serie B significa, in qualche modo, autorizzare l’ostilità, la discriminazione, in una parola, l’omofobia sociale.
LM: Vittorio, chiarissimo, molto gentile. Grazie anche a voi per averci seguito fin qui e alla prossima.