3 lezioni che tutti dovrebbero imparare dagli introversi
28 Novembre 2015 2021-12-14 18:383 lezioni che tutti dovrebbero imparare dagli introversi
L’introversione è spesso percepita come un tratto di personalità negativo.
Effettivamente, soprattutto la cultura americana promuove modelli di comportamento che non hanno caratteristiche di introversione, basti pensare a nomi come Muhammad Ali, Bill Clinton, Steve Jobs e Martin Luther King, che sono tutte personalità estroverse.
Eppure Steve Wozniak, un uomo introverso e dal basso profilo, fu colui che fondò insieme a Jobs il colosso Apple. Egli trascorse la maggior parte dei suoi anni più produttivi lontano da casa, creando i suoi capolavori in solitudine e, sebbene non abbia ricevuto lo stesso interesse mediatico del collega più estroverso, fu ugualmente fondamentale per la genesi di una delle aziende più celebri del mondo.
La storia di Wozniak è una delle tante raccontate nel libro “Quiet. Il potere degli introversi in un mondo che non sa smettere di parlare”, scritto da Susan Cain. Il testo mette a fuoco il valore delle personalità introverse e ci insegna che ognuno di noi può beneficiare di alcuni comportamenti tipicamente associati agli introversi.
Che voi siate introversi oppure estroversi, ecco 3 spunti per affinare il vostro lato “solitario”:
1. Lavorare da soli (leggi anche: riportare in auge gli uffici chiusi!)
Oggigiorno una sempre maggiore percentuale di uffici sono open space. Addirittura alcuni amministratori delegati trascorrerebbero del tempo lavorando negli uffici dei propri dipendenti, spinti dall’idea che ciò favorisca una maggior collaborazione e il flusso libero delle idee.
Dopotutto, due, tre, quattro, mille teste.. non sono meglio di una?
Nel testo, Cain riporta le ricerche di Marvin Dunnette, un professore di psicologia che nel 1963 condusse i primi studio sul brainstorming di gruppo. Dunette coinvolse nella sua ricerca pubblicitari (per lo più estroversi) e ricercatori (per lo più introversi) e chiese loro di partecipare a sessioni di brainstorming di gruppo e individuali. La sua ipotesi iniziale era che i pubblicitari, più loquaci, avrebbero beneficiato del brainstorming di gruppo, mentre i ricercatori, più introversi, avrebbero funzionato meglio in attività solitarie. Come prima cosa ha diviso i soggetti in sottogruppi e ha sottoposto ad ogni gruppo un problema da risolvere mediante un brainstorming. Dopodichè ha proposto altri problemi da risolvere, questa volta individualmente, e ha confrontato i risultati. Cain scrive: “Nella quasi totalità dei casi, i soggetti hanno prodotto più idee quando avevano lavorato da soli piuttosto che in gruppo. Inoltre, durante il lavoro solitario, i soggetti produssero idee di uguale o maggiore qualità rispetto a quando erano in gruppo. In aggiunta, i dirigenti non funzionarono meglio nel brainstorming di gruppo rispetto ai ricercatori come previsto all’inizio”. Questi risultati dovrebbero condurci a mettere in discussione l’idea che i lavoratori di un’azienda debbano condividere necessariamente lo stesso spazio. Infatti, le scoperte di Dunnette furono le prime di una lunga serie di ricerche tutte giunte alla medesima conclusione: il brainstorming di gruppo non funziona. “E’ stato rilevato che gli uffici open space ridurrebbero la produttività e comprometterebbero la memoria”, scrive Cain. (…) In uno spazio open non vi sono spazi e tempi personali, dunque le persone tendono a discutere maggiormente con i colleghi, si preoccupano di intercettare le telefonate degli altri e di spiare sui loro schermi del pc. Insomma, questa stimolazione eccessiva, unita alle frequenti interruzioni, diverrebbero un enorme ostacolo all’apprendimento, alla concentrazione e alla produttività.
2. Guardare e osservare (in altre parole: pensare prima di agire)
In una situazione nuova, gli introversi tendono a perlustrare l’ambiente circostante prima di fare qualsiasi mossa. Sono più sensibili, attenti e cauti perché hanno un temperamento “ad alta reattività”, che è una delle basi biologiche per l’introversione. Negli introversi infatti l’amigdala (cioè la parte del cervello che controlla le emozioni) è più reattiva ed eccitabile rispetto agli estroversi, e ciò li conduce ad essere altamente attivati emotivamente davanti a stimoli nuovi. Tale “avversione alle novità” induce gli introversi a trascorrere molto tempo all’interno dell’ambiente familiare e “dentro le loro teste”, ed è forse per questo motivo che molti artisti, scrittori, scienziati e pensatori sono introversi. Dall’altra parte, i soggetti estroversi (o “a bassa reattività”) tendono ad essere amanti del rischio. Molti grandi avventurieri come Chuck Yeager, il primo pilota a rompere la barriera del suono, hanno temperamenti a bassa reattività. Anche se l’avversione al rischio degli introversi potrebbe essere considerata un aspetto negativo, la ricerca ha scoperto che i bambini ad alta reattività che possono contare su un ambiente stabile e su cure genitoriali adeguate tendono a sviluppare un minor numero di problemi emotivi e maggiori abilità sociali rispetto ai coetanei a bassa reattività. Spesso sono bambini molto empatici, attenti e cooperativi. Inoltre sono solitamente gentili, coscienziosi e facilmente infastiditi dalla crudeltà e dall’ingiustizia. Insomma, hanno successo nelle cose che contano per loro.
Queste scoperte sono avvalorate da studi condotti sui nostri “cugini biologici”: le scimmie. Il ricercatore Stephen Suomi ha rilevato che le scimmie “ad alta reattività” sarebbero, rispetto a quelle “a bassa reattività”, più adatte a svolgere compiti sociali, come la ricerca del compagno e la risoluzione di conflitti. Per questo motivo, la scimmie introverse diventano spesso leader nei loro gruppi. Suomi ipotizza che “le scimmie ad alta reattività debbano il loro successo all’enorme quantità di tempo trascorso ad osservare il gruppo piuttosto che a parteciparvi, assorbendo ad un livello profondo i meccanismi che regolano le dinamiche sociali”. Le scimmie hanno avuto successo perché hanno preso tempo per osservare e capire il loro ambiente prima di agire, e questa lezione è applicabile anche a noi umani.
3. Arrossire di più (in altre parole: accettate l’imbarazzo)
La ricerca suggerisce che i bambini altamente reattivi (dunque introversi) tendono a sentirsi più colpa o a provare maggior vergogna dopo aver fatto qualcosa di male. Il senso di colpa provato da questi soggetti quando fanno qualcosa di sbagliato è così forte che solitamente impedisce loro di fare di nuovo lo stesso errore in un secondo momento. I bambini altamente reattivi, scrive la Cain, “hanno meno probabilità rispetto ai loro coetanei di ingannare o rompere le regole, anche quando pensano che non possono essere scoperti, e hanno più probabilità di essere descritti dai genitori come dotati tratti morali, come l’empatia”.
Il senso di colpa, inoltre, può “promuovere l’altruismo futuro, la responsabilità personale, il comportamento adattivo a scuola, nonché delle relazioni armoniose e prosociali con i genitori, gli insegnanti e gli amici”. Senso di colpa, vergogna o imbarazzo non sono condizioni emotive che le persone normalmente perseguono; esse sono, tuttavia, emozioni morali che, secondo la Cain, suggeriscono umiltà, modestia e desiderio di evitare l’aggressione e trovare accordi.
Dacher Keltner, uno psicologo che studia le emozioni positive, fa risalire l’imbarazzo umano ai primati. Keltner ha osservato come i primati, dopo aver combattuto, siano soliti attuare gesti che indicherebbero il loro senso di colpa. Tali gesti sono simili a quelli degli esseri umani, ad esempio “distogliere lo sguardo, che indica l’intenzione di interrompere il comportamento aggressivo, abbassare la testa, che riduce la propria altezza, e stringere le labbra, segno di inibizione”. Secondo Keltner, “Imbarazzo rivela quanto l’individuo si preoccupa delle regole che ci legano gli uni agli altri.” (…)
E voi, siete introversi o estroversi? E cosa, del vostro abituale modo di fare, funziona a vostro favore, o a vostro sfavore?
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Nel libro “Quiet. Il potere degli introversi in un mondo che non sa smettere di parlare”, l’autrice Susan Cain si dedica completamente a quelle persone che “preferiscono ascoltare, invece che parlare, che preferiscono leggere invece cha fare vita sociale, che creano e inventano, ma che non ostentano la loro opinione”: gli introversi.
L’autrice passa in rassegna le storie di numerosi introversi a cui dobbiamo alcuni dei più importanti progressi dell’umanità, fornisce dati scientifici e aneddoti a sostegno della dignità e della ricchezza di queste personalità in un mondo che premia l’estroversione, e racconta il suo passaggio “dalla timidezza riluttante a una timidezza orgogliosa”.
A partire dal testo, che vi consiglio, vediamo in questo articolo 3 importanti lezioni che ognuno di noi, a prescindere dal suo grado di estroversione, dovrebbe imparare dalle persone introverse, e i motivi per cui farlo…
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