Psicologia e criminalità
Psicologia e criminalità

L’intervista definitiva è consultabile qui, per motivi di spazio è stata in parte tagliata e viene dato giustamente spazio anche a un altro collega che si esprime sull’argomento. Di seguito potrete invece leggere quanto ho dichiarato nella versione più completa e come originalmente da me pensato.
Tutti i commenti, come sempre, sono benvenuti.
grazie
Luca Mazzucchelli
Dobbiamo distinguere anzitutto due tipologie di paure differenti. La prima è la paura sana e amica, che si chiama prudenza e ci permette di essere vigili sulle cose pericolose attorno a noi e attorno ai nostri cari. Un uomo senza paura sarebbe in costante pericolo perchè non penserebbe ad esempio a guardare il semaforo quando attraversa la strada, come non avrebbe la saggezza di proteggere i propri figli davanti a degli imprevisti. Un secondo tipo di paure, invece, sono quelle nemiche che ci immobilizzano e spaventano in maniera eccessiva e smodata, peggiorando la nostra performance e instaurando un un circolo vizioso per il quale la paura genera a sua volta ulteriore paure.
Si dice che in natura nasciamo dotati di alcune emozioni di base, la paura è tra queste per motivi legati alla sopravvivenza: senza di essa saremmo destinati ad estinguerci in poco tempo. Non siamo invece alla nascita dotati di altre caratteristiche quali il coraggio, che altro non è che la paura vinta: come a dire che per poterlo costruire e conquistare dobbiamo decidere di guardare in faccia le nostre paure e timori affrontandoli, piuttosto che procrastinare il momento di farci i conti facendole in questo modo diventare sempre più forti e invalidanti.
Guardare in faccia la paura, spesso, ci permette di conoscerla e relativizzarla per quanto realmente essa merita. Non farlo implica la possibilità di entrare in un circolo vizioso di paure sempre più invadenti, con tutto il disagio psicologico e sociale che ne può conseguire, come ad esempio il chiudersi in casa e rinunciare alle normali attività quotidiane.
Da un punto di vista clinico devo registrare un dato che reputo interessante per questo fenomeno: tramite il mio sito internet psicologo-milano.it noto che sono in aumento le richieste di persone che vivono in uno stato di paura costante e apparentemente immotivato. Spesso questi individui si rivolgono agli esperti troppo tardi, ossia quando i timori non permettono loro neanche di uscire di casa: per lavorare con questa tipologia di utenti ci vengono fortunatamente in aiuto le nuove tecnologie. La webcam, ad esempio, rende possibile un primo approccio a distanza con chi sta male, il quale grazie all’ausilio iniziale del virtuale ha una possibilità per lavorare sulle proprie emozioni in un ambiente protetto che, dopo alcuni incontri, può evolversi in un contatto dal vivo tra professionista e utente.
I ricercatori hanno evidenziato due dimensioni principali del senso di insicurezza: la fear of crime ed il concern about crime. Ci spieghi questi due concetti.
Il primo rimanda alla dimensione più personale della paura della criminalità, quindi il timore per essere vittima in prima persona di un crimine, o comunque che questo possa verificarsi a un qualcuno o qualcosa a noi molto prossimo. Il secondo invece ha più a che fare con la preoccupazione e inquietudine verso il problema sociale della criminalità, da intendere pertanto come qualcosa che interessa la sicurezza della comunità di appartenenza.
Perché, secondo Lei, le dimensioni del comune di residenza influiscono sulla paura della criminalità di strada?
Si possono fare alcune ipotesi che andrebbero verificate su un campione dal vivo. Un primo fattore potrebbe essere che le grandi città hanno in effetti un tasso di criminalità maggiore rispetto ai piccoli paesi, e pertanto in questi centri urbani i cittadini avrebbero avuto nel corso della loro vita conoscenza diretta o indiretta di eventi criminali. Avere esperienza di tale accadimento influenza inevitabilmente il modo che si ha di pensare il pericolo e di rapportarsi a esso, facendo scaturire dei timori talvolta fondati, talvolta eccessivi.
Un secondo punto che mi viene in mente è che nei piccoli centri abitati solitamente c’è l’impressione di avere tutto sotto controllo, visto che tutti gli abitanti si conoscono e le relazioni sono pertanto più strette: abbiamo l’impressione di sapere cosa aspettarci da chi frequentiamo più o meno abitualmente. Questa caratteristica è assai più rara nelle grandi città, dove convivono non soltanto persone tra loro sconosciute, ma anche di razze, culture, religioni e valori talvolta molto differenti. La dimensione dell’ignoto genera in noi paura, mentre ciò che ci è famigliare tende a tranquillizzarci e a darci maggiore fiducia.
Affinchè si realizzi la criminalità è necessario che sussistano tre elementi: un individuo in grado di commettere un reato; un individuo facilmente aggredibile; l’assenza di mezzi efficaci a garantire la sicurezza contrastando l’azione delittuosa. Se uno soltanto di questi elementi viene a mancare il reato non si verifica. Secondo Lei la paura della criminalità è qualcosa di irrazionale?
La paura in genere, come dicevo all’inizio, talvolta è irrazionale talvolta no, sia che si parli di criminalità, di malattia, di futuro e così via. Un fattore che ci permette di contrastarla è la conoscenza di ciò che temiamo: pertanto nei casi di paure esagerate può mostrarsi nocivo l’atteggiamento di iperprotezione verso il cittadino, perchè va a discapito dell’importante opportunità di affrontare il fantasma invece che scappare via. Guardare in faccia i nostri incubi è l’unico modo per comprenderne l’infondatezza ed esagerazione, mentre lavorare esclusivamente nella direzione di proteggere il cittadino da essi, rischia di procrastinare il momento del contatto con la realtà aumentando la sensazione di paura e di incapacità ad affrontarli da solo.
Luca Mazzucchelli