Psicologia del futuro – Come cambierà la psicologia tra 20 anni?
Psicologia del futuro – Come cambierà la psicologia tra 20 anni?
Come sarà la psicologia fra vent’anni? Viviamo in un’epoca nella quale i cambiamenti stanno accelerando fortemente, modificando il nostro modo di comunicare, di relazionarci, di chiedere aiuto. La psicologia resterà così come è oggi oppure dovrà rinnovarsi? E se sì, in quali direzioni? Questa è la domanda che ho posto ad alcuni grandi psicologi italiani ed internazionali, ecco le risposte:
Claudio Bosio: Fra vent’anni sarà molto diversa da quella di oggi, difficilmente immaginabile. Sarà il risultato di come si gestiranno due processi: uno, la possibilità di esplorare nuove aree professionali oltre quelle già esistenti e due, la nostra capacità di abitare ed inserirsi in territori professionali in cui ci sono gli psicologi, ma non solo gli psicologi.
Vittorio Lingiardi: La psicologia immagino andrà verso una sua sempre più precisa definizione e diventerà sempre più interdisciplinare, questo mi sembra importante. Io credo che il dialogo fra i campi disciplinari aumenterà.
Saths Cooper: Penso che cambierà drasticamente, la psicologia si è già molto evoluta nel corso degli ultimi 125 anni, ma entrerà sempre più nell’ambito delle situazioni della vita quotidiana. Senza la psicologia che interviene nelle situazioni di ogni giorno, fornendo una guida e un supporto, mediando e trattando, il nostro mondo sarebbe un luogo più povero.
Isabel Fernandez: Il futuro lo vedo molto basato sulla ricerca e sui dati che vengono in particolare dalle neuroscienze.
Gianluca Castelnuovo: Lo psicologo deve sapersi adattare alle nuove tecnologie, deve saperle utilizzare a suo favore, evitando che siano altre professioni ad impadronirsene e sostituire il nostro lavoro.
Matteo Lancini: Vent’anni è un tempo lungo, è difficile immaginare tanti cambiamenti. Quello che mi immagino è che le nuove generazioni che sono cresciute abituate ad avere relazioni profonde senza il contatto corporeo potranno usufruire di servizi che già iniziano a nascere, in cui si utilizzi anche la rete, la tecnologia. Ora c’è internet, non so se fra vent’anni avremo inventato un nuovo strumento quindi per i giovani psicologi penso sia importante studiare anche come si possono utilizzare questi strumenti, dove è vero che anche il corpo non è presente, ma la profondità del contatto può esistere e a volte esiste in maniera molto profonda appunto.
Fulvio Giardina: Intanto mi immagino una società che è cambiata, una società chiaramente multietnica, una società universale che non ha più barriere culturali e barriere linguistiche, barriere tecnologiche. Ormai la tecnologia permette a chiunque di potersene appropriare, le conoscenze si diffondono in un attimo quindi avremo uno psicologo che sarà dentro i problemi reali e concreti. Sarà un professionista esperto di nuove tecnologie e tecniche comunicative e ci saranno tante professioni di psicologo, tante quanti saranno gli scenari che lo accoglieranno, una visione univoca secondo me è superata. Avremo psicologi che si occuperanno di ambiti legati al benessere e alla salute, psicologi che si occuperanno di processi di integrazione e psicologi che lavoreranno in questo nuovo percorso formativo, perche anche la scuola cambierà, cambia la società che richiede competenze trasversali e su questo lo psicologo ha le risorse indubbiamente per poter dare risposte sempre più concrete e adeguate.
David Lazzari: Questa è una domanda difficile, perché da un lato la psicologia riguardando l’uomo [è atemporale], possiamo vedere una tragedia greca e trovarci dentro la psicologia di cui ci occupiamo oggi, quindi è qualcosa che va aldilà del tempo, me la immagino per certe cose molto simile a quelle di oggi. Su altri aspetti me la immagino diversa, perché comunque la nostra è una scienza in continuo cambiamento quindi immagino degli scenari nuovi, nuove scoperte e direi una tensione, che spero non sia forte, tra le tecniche, che sicuramente progrediranno, e la necessità comunque di guardare sempre all’uomo nella sua globalità.
Robert Roe: Ritengo che la psicologia abbia un grande futuro di fronte a sé e penso che una delle cose che possono fare gli psicologi è uscire dal proprio ufficio, aprire le finestre, aprire la porta andare fuori e non occuparsi solo delle singole persone che si rivolgono a loro, ma rivolgersi ad altre persone, nonché ad affrontare i fenomeni di massa, i fenomeni del comportamento collettivo, i comportamenti di massa. Penso che questa sia una grande opportunità, che è legata alle grandi questioni politiche della nostra epoca, come il terrorismo, la povertà; ci sono così tante cose su cui possiamo ancora lavorare e di cui non ci siamo occupati sinora.
Umberto Galimberti: La psicologia ha un rischio: oggi nella mentalità comune è insidiata dalle neuroscienze. Nella mentalità comune nel senso che là dove si toccano le cose, il cervello, la gente presta più credibilità di quanto non la presti alle parole . Io direi che la psicologia proprio perché è psico – logia, proprio perché è psiche deve mantenere una grande distanza nei confronti delle neuroscienze, perché le neuroscienze possono spiegare come funzionano le cose, ma non mi potranno mai offrire il significato delle cose che lo descrivono e circa la modalità di come funzionano. Diceva giustamente Jean – Paul Sartre che quando uno ride o uno piange impegna la stessa muscolatura, la stessa innervazione, ma non posso dire che il significato del riso sia equivalente a quello del pianto. La psicologia deve occuparsi di significati, di sensi; le neuroscienze possono fare benissimo il loro lavoro spiegando come questi significati e questi sensi si originano, ma non arriveranno mai a darmi il senso e il significato, mi daranno solo la modalità di funzionamento
Cesare Kaneklin: Credo che il valore aggiunto della psicologia fra quindici o vent’anni sarà il fatto che nelle organizzazioni sociali l’accompagnamento dei processi darà grande spazio alla psicologia, se penso anche solo oggi alla transizione generazionale nelle aziende familiari di successo, che in passato era appannaggio di avvocati e commercialisti, oggi sempre di più richiede la presenza di qualcuno che accompagni il processo di cambiamento e quindi che tenga insieme obiettivi problemi e persone coinvolte nel processo.
Enrico Molinari: Direi che la psicologia ha bisogno, come altre discipline e come è stato anche per la mia generazione, di giovani, e ne conosco diversi, che hanno il coraggio di oltrepassare le colonne d’ercole e così vanno ad esplorare nuovi mari, nuovi oceani, nuove possibilità di intervento, perché ci saranno e ci sono nuovi bisogni. Per esempio ai miei tempi non c’era la dipendenza dal gioco, c’erano pochissimi disturbi dell’alimentazione o disturbi nuovi che vengono generati dal vivere civile. Quindi la psicologia avrà un futuro, perché l’evoluzione non è terminata e ogni uomo deve raggiungere la pienezza della sua umanità e della sua persona probabilmente da solo, con l’aiuto della famiglia e in alcuni casi anche con l’aiuto degli psicologi.
Giuseppe Riva: Io penso che il principale cambiamento che avremo nel mondo della psicologia riguarderà il tema della patologia, oggi siamo ancora in un mondo dove la psicologia è pensata soprattutto per curare la patologia. Io suppongo che tra vent’anni avremo invece un mondo dove sarà la psicologia del benessere, la psicologia positiva che attirerà la maggior parte di utenti e di applicazioni. Quindi forse la sfida per chi oggi affronta lo studio della psicologia è sì fare lo psicologo clinico, che è il sogno di molti giovani, ma tenendo presente che la psicologia può aiutare a cambiare e far migliorare chi malato non lo è del tutto.
Antony Scioli: Chi può dirlo? La mia sensazione è che la psicologia continuerà a divenire sempre più globale e penso che svilupperemo sempre più modelli integrati. Ritengo sinceramente, e qualcuno potrebbe trovarlo azzardato, che prima o poi la terapia cognitiva sarà assorbita da qualcosa di più grande. Penso che ci troviamo in una fase transitoria. Sono davvero convinto, anche se può suonare provocatorio, che la terapia cognitiva sia una terapia temporanea, finché non avremo qualcosa di più ampio e migliore. Non è il centro della questione. E’ quello che dico sempre: più globale, più spirituale e più integrato.
Valeria Ugazio: E’ una prospettiva lontana, però si vedono già alcune cose che emergono. Io mi aspetto che la psicologia sia ancora più importante di oggi per un motivo semplicemente: l’ambiente sociale diventa più complesso. Siamo in un mondo dove sempre più gli individui manipolano le relazioni, manipolano il loro corpo, abbiamo persone che cambiano il sesso e diventa questa pratica sempre più usuale. Avremo forse fra vent’anni i figli che saranno extra uterini, saranno fatti “fuori”, avremo tra l’altro sempre più coppie miste, siamo di fronte a processi migratori di grandi proporzioni, grandissime. Avremo quindi più famiglie con persone dello stesso sesso, figli fatti in provetta, figli fatti naturalmente, avremo una complessità sociale enorme e quindi una domanda di psicologia e direi proprio di psicologia clinica. Mi aspetto anche che nelle aziende ci sia domanda di psicologia, mi aspetto che ci sia domanda di psicologia nelle aziende perché ci sarà un ristretto numero di tecnici altamente specializzati, ma poi si tratterà di gestire le relazioni e di acquisire sempre più capacità e quindi il problema grossissimo sarà far sì che le persone sviluppino i propri talenti e questo mette in gioco il nostro lavoro, aiutare le persone a sviluppare i propri talenti.
Philip Zimbardo: E’ davvero una domanda interessante. Quando ho cominciato, come studente di psicologia, erano gli anni Cinquanta, un altro mondo. La psicologia era il campo più noioso del mondo. L’unico voto mediocre che presi fu nel corso di Introduzione alla psicologia, dove presi una C. C è la sufficienza. Tutti i miei altri voti erano delle A. Allora sono passato alla Sociologia e all’Antropologia fino al quarto anno quando sono tornato di nuovo alla Psicologia . Il punto è : porre domande interessanti. A quel tempo, la Psicologia non poneva mai domande interessanti. Ora, le domande che pongo, che invito gli psicologi a porre, sono le grandi domande, come cosa rende cattive le persone buone. Possono le persone normali diventare degli eroi? Come è possibile eliminare le diseguaglianze tra i gruppi sociali? Come possiamo rendere partecipi le persone che sono indifferenti al futuro disastro del cambiamento globale del clima? Ecco, queste sono le tante domande appassionanti che, al cuore della questione, gli psicologi dovrebbero porre e alle quali dovrebbero cominciare a rispondere.
Luca Mazzucchelli: Questo video è stato registrato nel 2016 e chissà quante di queste “profezie” si realizzeranno nel 2036. Una cosa però è certa: il futuro della Psicologia dipende dagli psicologi, da quanto sapremo leggere i cambiamenti del contesto intorno a noi e quindi andare incontro ai bisogni e alle forme di comunicazione delle persone. Ci vediamo nel 2036…