La psicologia del futuro è già arrivata?
Mi sono imbattuto in un filmato veramente interessante e curioso che testimonia come sempre più le nuove tecnologie e la realtà virtuale facciano passi in avanti rispetto all’interazione con gli uomini.
Questo video mostra alcuni passaggi tratti da un colloquio tra un essere umano e un virtual human: gesti, attenzioni e interazioni che fino a pochi anni fa avrei reputato impossibili da compiere e che aprono la porta a una serie di considerazioni a mio avviso non tanto su ciò che il computer potrà fare al posto dell’uomo in un futuro anche molto recente, ma su quali vantaggi lo psicologo (e l’utente) potranno fruire dall’affiancamento di queste nuove strumentazioni durante una terapia.
Prima di proseguire con le mie osservazioni, però, vi lascio giudicare voi stessi cosa si possa fare oggi con questi nuovi strumenti.
Nel video si può notare come la consulente virtuale interagisca con l’umano anche a seguito di una serie di parametri non verbali emessi dal “paziente”, che possono essere registrati con grandissima cautela e minuzia.
Sono questi dei fattori che il clinico in terapia valuta, ma mai in maniera sistematica e puntuale come può fare un computer.
Vengono registrate l’attività corporea, il livello di attenzione dell’individuo, il suo sguardo, la voce, le microespressioni facciali e molto altro ancora.
Anche grazie a queste informazioni il virtual human può decidere come comportarsi con l’utente: muovere leggermente il mento per annuire e incoraggiare l’eloquio, spostare le spalle più in avanti per “andare verso” l’interlocutore, utilizzare un tono di voce più o meno alto per costruire con lui una buona relazione, imitarne il sorriso per aumentare il livello di empatia, e così via.
Ed è proprio questo ciò che si osserva nel video di cui sopra, come nel passaggio in cui SimSensei registra una aumentata attività corporea da parte dell’utente e domanda se si sente a suo agio a parlare di quel determinato argomento.
Ecco allora alcune mie riflessioni, in parte in realtà domande senza risposta, che voglio scrivere per punti e condividere con voi:
- Come si modificherà la nostra professione e la modalità di fruirla tra 10-15 anni? Potrà la nostra disciplina non cambiare e restare ancorata a una dimensione più “ortodossa”? Se sì, per quanto tempo ancora? Forse il cambiamento (capacità che auspichiamo e promuoviamo tanto in ogni essere umano con cui lavoriamo) deve avvenire anche al nostro interno.
- Se Freud, ad esempio, fosse nato oggi e fosse pertanto un nativo digitale, avrebbe teorizzato la psicoanalisi con un setting così “rigido”? o avrebbe accettato di buon grado anche di fare psicoterapie a distanza, come sempre più accade negli Stati Uniti?
- Lo psicologo, a oggi, riceve una formazione adeguata agli sviluppi che il mondo tecnologico sta affrontando? E’ preparato su questi nuovi strumenti e sui vantaggi potenziali che questi possono portare nell’esercizio più efficace della professione?