Lo psicologo ti legge nel cervello
Lo psicologo ti legge nel cervello
Lo psicologo ti legge nel cervello?
Una frase che incontro spesso
Continuo a rimanere piuttosto colpita dalla frequenza con cui mi imbatto in una particolare frase. Questa:
“Ah, tu fai la psicologa? Allora bisogna stare attenti a parlare con te!”.
Quel “bisogna stare attenti” sembra voler dire che quando si parla con uno psicologo non lo si può fare con naturalezza, tranquillamente. Bisogna pesare le parole. E perchè mai, mi chiedo?
Sembra che la gente pensi che uno psicologo entri nella mente degli altri appena essi aprono bocca. E’ come se le persone si scoprissero improvvisamente più nude di quel che pensavano. Una sensazione senza dubbio imbarazzante.
Il bello è che questa fantasia è del tutto fuorviante. Neanche a dirlo, è l’ennesima bufala. Curioso, no? Uno si imbarazza da morire… e in realtà il suo disagio è totalmente infondato. Che spreco di preoccupazioni.
Confutiamo questa leggenda metropolitana
Tutto parte dal concetto di “inconscio”, che è un elemento portante della psicoanalisi. L’analista, grazie alle sue conoscenze teoriche e alla sua esperienza, costruisce delle ipotesi sul significato inconscio di ciò che il paziente gli riferisce durante le sedute. Questo è probabilmente l’aspetto della psicoanalisi che colpisce maggiormente l’immaginazione della gente.
Se avete prestato attenzione a quel che avete appena letto, avrete notato che ho parlato di psicoanalisti e non di psicologi. A ragion veduta, perchè tra le due categorie ci sono delle differenze. Ma in genere queste diversità non si sanno, e si tende spesso a confondere i due termini. E’ così che si arriva a credere che gli psicologi, tutti gli psicologi, abbiano a che fare con l’inconscio. E questo è un primo errore: si parla di psicologi, mentre senza saperlo ci si riferisce agli psicoanalisti.
Facciamo un passo avanti
Dicevamo dunque che l’analista (e non lo psicologo, come abbiamo appena visto) accede all’inconscio. Ma egli sa bene che la stessa cosa può avere significati inconsci molto diversi a seconda della persona che la riferisce: quindi lo stesso racconto fatto da due persone diverse ha per forza due significati diversi. E’ per questo che bisogna conoscere bene un paziente per potere, come si dice, “interpretare” il senso di ciò che riferisce. Senza conoscere la persona, il suo carattere, la sua storia ci si può limitare solo a fare delle ipotesi (che, peraltro, non possono essere confermate).
Ora, se un analista decifra la componente inconscia dei comportamenti di un paziente, questo equivale a leggere nella mente del paziente?
E’ sufficiente ragionare secondo logica: tutto quel che l’analista è riuscito a fare è stato portare alla luce la radice inconscia di quel contenuto emerso in seduta. E quel contenuto o quei contenuti non equivalgono alla mente nella sua interezza. Dunque siamo molto lontani dal “leggere nella mente” delle persone.
Ma c’è di più!
La leggenda metropolitana dello psicologo “telepatico” si spinge anche più in là.
Voglio farvi notare, infatti, che questo discorso della lettura del pensiero spesso se lo sente fare anche chi ha appena iniziato gli studi di Psicologia.
Sembra che già il solo ingresso in Facoltà conferisca automaticamente questa capacità “telepatica”.
Da dove salta fuori questa fantasia?
Siamo adulti, quindi ragioniamo in modo logico. O no?
In genere preferiamo pensare che, siccome siamo adulti, sappiamo ragionare sulle cose in modo sempre molto logico. Non siamo più bambini: dunque sappiamo bene che Babbo Natale non esiste, che la Befana non è altro che una invenzione per fare un dono ai bimbi buoni, che se si mette un dentino sotto il cuscino non passerà nessuna fatina a lasciarci un regalino in cambio.
Però nel mondo delle persone adulte e vaccinate c’è chi, appena vede un gatto nero tagliargli la strada, si lancia in scongiuri di tutti i tipi. C’è chi di venerdì 13 si aspetta disgrazie di ogni genere. Chi legge presagi fausti o infausti nei fatti più disparati. Chi pensa che certe persone o certe azioni “portino male”: ad esempio, chi ha frequentato l’università sa che ci sono cose che non si devono assolutamente fare se si vuole arrivare alla laurea. Ogni sede universitaria ha i suoi tabù: a Padova ricordo che era tassativamente vietato scavalcare una grossa catena nell’atrio del palazzo del Bò, in centro, e gli studenti si guardavano bene dall’infrangere la regola.
Non sempre gli adulti ragionano in base alla logica
Tutte queste credenze non sono ovviamente spiegabili tramite ragionamenti logici. Non c’è nessun motivo razionale per cui se mi cade il sale sulla tavola devo aspettarmi qualcosa di brutto. Non c’è spiegazione valida al fatto che se si rompe uno specchio sono sette anni di guai che mi attendono. Sono tutte forme di pensiero “magico”. Potremmo vederle come un residuo del modo di ragionare di quando eravamo bambini e credevamo alla fata del dentino.
Ecco, quando si pensa a chi si iscrive a Psicologia come a una specie di stregone scatta secondo me un modo di pensare molto simile: in modo completamente illogico, tendiamo a credere che chi mette piede in quella Facoltà venga investito da chissà quali doti occulte.
Magari fosse davvero così: pensate che vantaggio per uno studente di Psicologia poter leggere, nella mente del docente che lo interroga, la risposta alla domanda che gli ha appena fatto. Ma per quanto ne so io a Psicologia gli esami si continuano a passare nel modo tradizionale. Un motivo ci sarà.
Continuo a rimanere piuttosto colpita dalla frequenza con cui mi imbatto in una particolare frase. Questa:
“Ah, tu fai la psicologa? Allora bisogna stare attenti a parlare con te!”.
Quel “bisogna stare attenti” sembra voler dire che quando si parla con uno psicologo non lo si può fare con naturalezza, tranquillamente. Bisogna pesare le parole. E perchè mai, mi chiedo?
Sembra che la gente pensi che uno psicologo entri nella mente degli altri appena essi aprono bocca. E’ come se le persone si scoprissero improvvisamente più nude di quel che pensavano. Una sensazione senza dubbio imbarazzante.
Il bello è che questa fantasia è del tutto fuorviante. Neanche a dirlo, è l’ennesima bufala. Curioso, no? Uno si imbarazza da morire… e in realtà il suo disagio è totalmente infondato. Che spreco di preoccupazioni.
Confutiamo questa leggenda metropolitana
Tutto parte dal concetto di “inconscio”, che è un elemento portante della psicoanalisi. L’analista, grazie alle sue conoscenze teoriche e alla sua esperienza, costruisce delle ipotesi sul significato inconscio di ciò che il paziente gli riferisce durante le sedute. Questo è probabilmente l’aspetto della psicoanalisi che colpisce maggiormente l’immaginazione della gente.
Se avete prestato attenzione a quel che avete appena letto, avrete notato che ho parlato di psicoanalisti e non di psicologi. A ragion veduta, perchè tra le due categorie ci sono delle differenze. Ma in genere queste diversità non si sanno, e si tende spesso a confondere i due termini. E’ così che si arriva a credere che gli psicologi, tutti gli psicologi, abbiano a che fare con l’inconscio. E questo è un primo errore: si parla di psicologi, mentre senza saperlo ci si riferisce agli psicoanalisti.
Facciamo un passo avanti
Dicevamo dunque che l’analista (e non lo psicologo, come abbiamo appena visto) accede all’inconscio. Ma egli sa bene che la stessa cosa può avere significati inconsci molto diversi a seconda della persona che la riferisce: quindi lo stesso racconto fatto da due persone diverse ha per forza due significati diversi. E’ per questo che bisogna conoscere bene un paziente per potere, come si dice, “interpretare” il senso di ciò che riferisce. Senza conoscere la persona, il suo carattere, la sua storia ci si può limitare solo a fare delle ipotesi (che, peraltro, non possono essere confermate).
Ora, se un analista decifra la componente inconscia dei comportamenti di un paziente, questo equivale a leggere nella mente del paziente?
E’ sufficiente ragionare secondo logica: tutto quel che l’analista è riuscito a fare è stato portare alla luce la radice inconscia di quel contenuto emerso in seduta. E quel contenuto o quei contenuti non equivalgono alla mente nella sua interezza. Dunque siamo molto lontani dal “leggere nella mente” delle persone.
Ma c’è di più!
La leggenda metropolitana dello psicologo “telepatico” si spinge anche più in là.
Voglio farvi notare, infatti, che questo discorso della lettura del pensiero spesso se lo sente fare anche chi ha appena iniziato gli studi di Psicologia.
Sembra che già il solo ingresso in Facoltà conferisca automaticamente questa capacità “telepatica”.
Da dove salta fuori questa fantasia?
Siamo adulti, quindi ragioniamo in modo logico. O no?
In genere preferiamo pensare che, siccome siamo adulti, sappiamo ragionare sulle cose in modo sempre molto logico. Non siamo più bambini: dunque sappiamo bene che Babbo Natale non esiste, che la Befana non è altro che una invenzione per fare un dono ai bimbi buoni, che se si mette un dentino sotto il cuscino non passerà nessuna fatina a lasciarci un regalino in cambio.
Però nel mondo delle persone adulte e vaccinate c’è chi, appena vede un gatto nero tagliargli la strada, si lancia in scongiuri di tutti i tipi. C’è chi di venerdì 13 si aspetta disgrazie di ogni genere. Chi legge presagi fausti o infausti nei fatti più disparati. Chi pensa che certe persone o certe azioni “portino male”: ad esempio, chi ha frequentato l’università sa che ci sono cose che non si devono assolutamente fare se si vuole arrivare alla laurea. Ogni sede universitaria ha i suoi tabù: a Padova ricordo che era tassativamente vietato scavalcare una grossa catena nell’atrio del palazzo del Bò, in centro, e gli studenti si guardavano bene dall’infrangere la regola.
Non sempre gli adulti ragionano in base alla logica
Tutte queste credenze non sono ovviamente spiegabili tramite ragionamenti logici. Non c’è nessun motivo razionale per cui se mi cade il sale sulla tavola devo aspettarmi qualcosa di brutto. Non c’è spiegazione valida al fatto che se si rompe uno specchio sono sette anni di guai che mi attendono. Sono tutte forme di pensiero “magico”. Potremmo vederle come un residuo del modo di ragionare di quando eravamo bambini e credevamo alla fata del dentino.
Ecco, quando si pensa a chi si iscrive a Psicologia come a una specie di stregone scatta secondo me un modo di pensare molto simile: in modo completamente illogico, tendiamo a credere che chi mette piede in quella Facoltà venga investito da chissà quali doti occulte.
Magari fosse davvero così: pensate che vantaggio per uno studente di Psicologia poter leggere, nella mente del docente che lo interroga, la risposta alla domanda che gli ha appena fatto. Ma per quanto ne so io a Psicologia gli esami si continuano a passare nel modo tradizionale. Un motivo ci sarà.
Per gentile concessione della Dott.ssa Silvia Bianconcini www.psicologia-imola.it