Andreste da uno psicologo non vedente?
E se lo psicologo fosse non vedente?
Inauguriamo con questo articolo la sezione “psicologia e disabilità” a cura di Chiara Schiroli, psicologa non vedente che decide di raccontarsi e riflettere su un argomento che credo essere molto importante sotto diversi motivi. Mi sono sentito di aggiungere uno spezzone video a questo articolo, tratto da “City of Angels” perchè credo che possa in poche scene condensare alcuni concetti difficili da esprimere.
Andreste da uno psicologo non vedente?
Quanto è importante in terapia psicologica vedere la persona che abbiamo davanti?
Quanti modi per vedere ci sono?
Tante domande sulle quali confrontarsi e provare a dare le nostre risposte.
Buona lettura,
Luca Mazzucchelli
Il termine disabilità significa mancanza di un’abilità. L’espressione diversamente abili, che non amo molto, descrive invece meglio la condizione di disabile: non significa solo essere privi di qualcosa, o lo significa solo in parte, ma compensare l’abilità mancante con altre risorse. Ogni persona con una difficoltà di qualsiasi tipo, dalla dislessia alla disabilità motoria a quella sensoriale, ha il diritto di poter usare ausili compensativi e competenze diverse.
In tal senso, porto il mio caso personale come esempio.
Sono non vedente dalla nascita. Ho studiato sempre nelle scuole normali perché le scuole cosiddette speciali hanno chiuso prima che io nascessi. Per imparare a leggere e scrivere gli insegnanti di sostegno mi hanno insegnato il codice Braille. Dico codice perché l’alfabeto è uguale a quello dei normodotati, ma è scritto in modo diverso, cioè a puntini in rilievo. Gli insegnanti di sostegno hanno anche avuto, negli anni scolastici, la funzione di tradurre dal Braille al nero le mie verifiche per renderle correggibili dagli insegnanti di classe.
Ho frequentato il liceo socio psicopedagogico e, in seguito, mi sono iscritta alla facoltà di psicologia dove le cose si sono un pochino complicate. I libri da studiare per gli esami erano tantissimi, il Braille è molto ingombrante rispetto al codice normale e trascrivere ogni testo sarebbe stato difficile oltre che impegnativo per la mia casa nella quale avrei avuto stanze piene di volumi. Il computer per noi è molto utile e posso scrivere usando una tastiera QWERTY.
Il problema si presenta per la lettura dello schermo, ed ecco che sono entrati in gioco gli screen reader, software che traducono lo schermo in voce, in braille o lo ingrandiscono a vantaggio degli ipovedenti. In questo modo, i libri erano digitalizzati sul computer tramite uno scanner occupando, ovviamente, il minimo spazio ed essendo trasportabili dovunque. Ora sto frequentando una scuola di specializzazione per diventare psicoterapeuta. Sono a tutti gli effetti una psicologa iscritta all’albo, lavoro in qualità di psicologa conducendo dei corsi sullo stress e delle serate sull’importanza che hanno per i normodotati i sensi extra visivi e ricevo pazienti in studi privati.
Il lavoro dello psicologo oggi è molto importante e lo psicologo deve guardare davvero il cliente che si trova di fronte.
Che differenza c’è tra guardare e vedere?
Il verbo vedere, comunissimo in italiano, non si riferisce solo al vedere con gli occhi, ma, più in generale, al conoscere e, in questo senso, tutti sanno che la conoscenza non passa solo attraverso il canale visivo, ma attraverso gli altri sensi che permettono di far arrivare le informazioni al cervello.
Cosa significano espressioni come “ci vediamo domani”, “ho visto un film”?
Queste espressioni le uso anch’io. Chi prevede non vede qualcosa prima con gli occhi, ma ha un sesto senso che gli permette di conoscere in anticipo qualcosa che dovrà accadere. Nella mia professione non devo per forza vedere con gli occhi, ma ho una capacità relazionale, delle strategie che esulano dal visus. Una persona non viene da me per chiedere aiuto solo vestita in un certo modo, ma viene con un tono di voce, con una stretta di mano particolare, tiene sulla sedia una postura ben precisa che io noto tramite il suono della sua voce.
Queste cose si percepiscono stando col nostro cliente in modo empatico, profondo, con l’anima.
Non sono la prima psicologa non vedente che lavora, alcuni ciechi sono anche già psicoterapeuti. Sono felice del mio percorso scolastico e della professione che svolgo perché posso trasmettere un messaggio importante: abbattiamo i pregiudizi sui disabili visivi. La nostra vita non è brutta, triste o priva di stimoli, ma è bella, ricca e importante tanto quanto quella dei normodotati. Certo, facciamo alcune cose in modo diverso, come ad esempio usare il computer con gli screen reader, ma siamo persone come voi.
Abbiamo scoperto che i non vedenti non sono marziani, ma persone. A questo punto vi lascio alla domanda del titolo.
Rispondete così, d’istinto, senza pensarci troppo. Cosa vi metterebbe a disagio o, al contrario, cosa vi farebbe sentire a vostro agio?
O per voi non c’è differenza tra vedente e non vedente, magari perché comunque sapete che vi state rivolgendo ad una figura professionale?
Chiara Schiroli