Quale differenza tra uno psicologo e una prostituta?
Psicologo e prostituta: un accostamento irreverente che stimola importanti riflessioni
Gentile dott. Mazzucchelli, ho letto con interesse i suoi articoli in merito alla differenza tra psicologo, amico e prete. (…)
Vorrei provocatoriamente proporre alla sua attenzione un altro tema che reputo interessante: la differenza tra psicologo e una prostituta…Le due figure benché apparentemente differenti hanno a mio modo di vedere aspetti in comune di particolare rilevanza.
Riccardo C.
Effettivamente la riflessione di Riccardo sembra azzeccata: sono diverse e curiose le similitudini tra quella che è considerata la professione più vecchia del mondo e quella terapeutica e, benché possa apparire irriverente l’accostamento dei due lavori, la provocazione propostaci non si limita a farci sorridere ma anche a riflettere.
“La prima volta che ho visto un paziente nel mio studio privato – afferma A.R., psichiatra milanese – ho avuto l’impressione di fare un marchetta… al momento del pagamento quei soldi “brevi manu” messi lì dopo la mia “prestazione” di 45 minuti mi hanno messo un po’ in difficoltà…”.
Dallo psicologo ci si sfoga, mettiamo in mostra i nostri istinti pulsionali più profondi, diciamo cose che altri non sanno perché all’interno di una situazione protetta. Talvolta alla fine si va via più contenti, sereni, leggeri, talvolta più tristi.
Le prestazioni vengono puntualmente pagate (non poco), con la richiesta di soddisfare le proprie esigenze, che possono essere il parlare a voce delle proprie problematiche o del lasciare parlare il proprio corpo da sé, cercando un contatto mentale o fisico per sentirsi più accettati e meno soli.
Tutte queste sono caratteristiche riscontrabili sia che si vada dallo psicologo sia dalla prostituta.
Inoltre molte persone dopo esserci andate tengono la cosa segreta ai più, quasi a vergognarsi del fatto che si è chiesto l’aiuto di qualcun altro per potersi sentire meglio, per poi rincontrarsi la settimana dopo senza essersi frequentati nel frattempo, al limite pensati.
Chi va a prostitute non si sfoga soltanto dal punto di vista sessuale ma anche da quello emotivo: persone insospettabili come padri di famiglia ricorrono a questa particolare “cura” per potersi poi rituffare con “nonchalances” nel mondo di sempre.
Sembrano due modi diversi di affrontare un problema: in un caso si raccontano ed elaborano le proprie fantasie, nell’altro le si mettono in pratica, cercando una soddisfazione immediata a quelli che possono essere i propri bisogni.
Senza entrare in merito all’utilità della figura del terapeuta rispetto a quella della prostituta, così come non vi sono entrato a proposito del ruolo del prete e dell’amico, mi sembra tuttavia importante puntualizzare alcuni “paletti” che differenziano i due operati.
Lo psicologo agisce in base ai criteri di una scienza, toccando di conseguenza determinate componenti psichiche proprie della persona. Non che le prostitute non lo facciano: andare con le “belle di notte” è un’esperienza che non può non far vivere determinate sensazioni ed emozioni diverse a seconda del cliente, ma suscitate appunto tramite altre strategie.
Secondo l’orientamento psicologico del terapeuta si tende a far leva sulle difese inconsce dell’individuo, sulla sua storia passata, sulla maniera di gestire le relazioni attuali, sugli schemi comportamentali disadattivi utilizzati, al fine di ottenere un cambiamento attraverso tecniche di libere associazioni, interpretazione, restituzione di quanto raccontato, desensibilizzazione a stimoli patogeni…
Il cambiamento verso cui la terapia auspica avviene solitamente gradualmente e dovrebbe essere duraturo e profondo. Ciò che con le prostitute viene messo in pratica è ciò che in terapia si cerca di gestire: non il soddisfacimento istantaneo dei nostri impulsi ma imparare a elaborarli e conviverci per quanto possano essere più o meno distruttivi.
Si cercherà quindi di fornire alle necessità delle persone un significato in relazione alla propria storia personale, ragionarci e capire l’utilità che possono avere, analizzarne la loro funzione adattiva e quella distruttiva, esternarle in maniera alternativa e creativa.