Psicopatologia e cambiamento – la terapia sistemico relazionale
9 Ottobre 2015 2016-08-07 9:10Psicopatologia e cambiamento – la terapia sistemico relazionale
Ferdinando Salamino è Psicologo Psicoterapeuta ad orientamento sistemico relazionale. Ha conseguito un Dottorato di Ricerca in Psicologia Clinica presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca.
Svolge la propria attività clinica in contesto privato con individui, coppie e famiglie e collabora all’interno di diverse equipe multidisciplinari per il disagio in età evolutiva. Svolge attività clinica e di formazione con famiglie adottive.
È attivo nell’area dell’handicap e della riabilitazione, sia attraverso la formazione e supervisione degli operatori, sia attraverso la consulenza e la psicoterapia rivolta alle famiglie con un membro disabile.
Nell’a.a. 2008-2009 è stato professore a contratto per la cattedra di Psicologia Clinica presso l’Università degli Studi di Bergamo, per la quale svolge tuttora attività formativa in regime di collaborazione a progetto.
Collabora con il CQIA di Bergamo (Centro per la Qualità dell’Insegnamento e dell’Apprendimento) come formatore nei Master di II Livello rivolti a insegnanti e dirigenti scolastici.
Indice
01:12 Come si originano le psicopatologie secondo l’approccio sistemico – relazionale.
04:26 Dal concetto di omeostasi alla coerenza organizzativa.
07:42 Condizioni necessarie per il cambiamento.
11:05 Quali sono le storie permesse e le storie proibite?
13:58 Come promuove il cambiamento l’approccio sistemico.
16:33 EIST: non solo terapia familiare.
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Sbobinatura intervista
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L’identificazione dei sistemi come nucleo familiare è sbagliata in due sensi: intanto perché anche altre forme di terapia si aprono alle famiglie, sbagliato anche nell’altro senso perché noi possiamo vedere la persona che abbiamo di fronte, che arriva lì da sola come la punta emergente di una storia sommersa che noi non vediamo, ma di cui vediamo la sua posizione nel mondo e siamo in grado di riconnetterla alla sua storia personale e familiare.
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Come si originano le psicopatologie secondo l’approccio sistemico – relazionale.
Luca Mazzucchelli: Un saluto a tutti da Luca Mazzucchelli, oggi siamo qui con Ferdinando Salamino, un amico e un ex collega alla scuola EIST: European Institute of Systemic – Relational Therapies, dove oggi è docente oltre a essere presso l’Università degli Studi di Bergamo docente responsabile della didattica integrativa. Ciao Ferdinando e grazie per essere qui con me.
Ferdinando Salamino: Ciao, buongiorno a tutti, hai già detto che siamo stati commilitoni, la EIST costruisce un grande spirito di corpo poi in chi l’ha frequentata…
LM: Siamo propositivi e combattivi…
FS: Mai rinunciare a dire la propria, anche quando è impopolare…
LM: Oggi parliamo dell’ approccio psicoterapeutico sistemico relazionale, in particolare volevo con te affrontare questa argomento: sono diverse le strade che portano a Roma e che portano al cambiamento, andata e ritorno direi, ci sono diversi modelli di spiegazione dell’eziopatogenesi, come mai le persone si ammalano e sono di conseguenza differenti anche le soluzioni che i vari approcci tentano per cercare di portare al processo di guarigione una persona. Dal punto di vista sistemico relazionale, perché le persone sviluppano quadri psicopatologici?
FS: Ti porto proprio il punto di vista della EIST, sai che nella sistemica è una voce per certi versi particolare e dal nostro punto di vista l’insorgenza di un disturbo clinico è in qualche modo legata ad una difficoltà di posizionamento dentro il sistema delle proprie relazioni. Puoi visualizzare questo come la nascita di un dilemma che la persona ha dentro e non riesce in qualche modo a snodare, a dispiegare ed è un dilemma che riguarda il mondo in cui esiste, le persone a noi care, le situazioni per noi importanti, i dilemmi che in qualche modo finiscono per essere irrisolvibili, perché ciascuna delle alternative risulta per certi versi improponibile, impercorribile o magari depauperante.
LM: Quindi è un’impostazione all’interno della quale il problema non è della persona, non è solo nella persona, ma è soprattutto tra le persone. Si parla molto di pazienti designati ad esempio quando si parla di psicoterapia sistemica…
FS: Questo è di grande condivisione all’interno del pensiero sistemico, l’idea che i problemi e le soluzioni stiano nelle relazioni, quindi l’idea di rifiutare una visione che sia totalmente intrapsichica o addirittura biologica e genetica del disturbo psichico. E’ un po’ quello che contraddistingue tutte le sistemiche, all’interno delle quali poi le voci assumono anche sfumature differenti proprio su quanta enfasi si mette anche sul concetto di paziente designato. La EIST fa una scelta anche di rivalutazione della soggettività all’interno delle relazioni, quindi l’idea è sì che il paziente sta dentro una rete di rapporti che costruisce anche le sue possibilità relazionali, ma ci sta dentro con una propria soggettività che per certi versi è tutta sua e lo differenzia dagli altri.
Dal concetto di omeostasi al concetto di coerenza organizzativa.
LM: Paziente designato vuol dire che chi sviluppa un malessere psicologico a qualche livello è portavoce di un disturbo più allargato e questo perché le persone da un punto di vista sistemico relazionale sono tra loro interconnesse. Tra questi due concetti, quello del paziente designato e del sintomo come familiare e allargato, si colloca il concetto dell’omeostasi. Puoi spiegarci meglio in che cosa consiste questa cosa che peraltro so che la EIST ha un po’ rivisitato?
FS: Il concetto di Omeostasi ha che fare con tutta quella che è stata la formulazione di Palo Alto, della sistemica anche classica, quella da cui tutti discendiamo. Se avessimo un genogramma, un albero genealogico della sistemica, dovremmo mettere tra le primissime generazioni Palo Alto. E’ l’idea che in qualche modo le famiglie funzionando come dei sistemi si auto regolino per mantenere più o meno lo stato di base. Era un concetto utilizzato molto per spiegare come mai il cambiamento in certe famiglie risultava così difficile, in qualche modo l’intervento terapeutico finiva per essere annacquato, edulcorato o stravolto nel contatto con le famiglie e questo veniva attribuito all’esigenza della famiglia di mantenere il proprio equilibrio di base. Le forze omeostatiche sono quelle che la famiglia mette in atto per annullare o depotenziare il messaggio di cambiamento e mantenere lo status quo ante, lo stato pregresso.
L’abbiamo un po’ revisionato perché in qualche modo finiva per essere accusatorio nei confronti delle famiglie e se vogliamo non fino in fondo sistemico, perché la sistemica si costruisce sull’idea che quando siamo in relazione siamo un sistema, funzioniamo per certi versi assieme. Questa idea dell’omeostasi in qualche modo rendeva il terapeuta “altro” rispetto alla famiglia, il terapeuta voleva cambiare e la famiglia resisteva e finiva per essere accusatorio, perché era come dire che in fondo la famiglia non voleva cambiare nonostante il meraviglioso sforzo del terapeuta. Abbiamo iniziato a ragionare in termini non più di omeostasi, ma di coerenza organizzativa: la famiglia tende a funzionare coerentemente con i propri principi, i propri valori, con i propri pattern e i propri percorsi relazionali e il terapeuta deve essere bravo e sensibile anche ad entrare in questa coerenza organizzativa in modo che possa renderlo sì dissonante, cioè portatore di cambiamento, ma anche plausibile, non qualcosa di totalmente altro, alieno ed estraneo, che deve essere per forza rigettato. Nessun organismo può accettare il trapianto di qualcosa di totalmente estraneo, perché finirebbe per essere dannoso. Questo è stato un po’ il piccolo, o grande se vuoi, cambio di direzione che con EIST è stato promosso…
Condizioni necessarie al cambiamento.
LM: Ci sono delle condicio sine qua non necessarie nella persona, nella famiglia, nelle organizzazioni o nei gruppi affinché il cambiamento possa avvenire?
FS: È una domanda complessa, perché c’è una definizione forte in merito a quali sono le condizioni pregresse necessarie, che credo sia un po’ troppo restrittiva. Io ad esempio ho ascoltato molti che lavorano nel campo della mediazione familiare, che secondo me è un campo attivo, e quella della psicoterapia che dice che una coppia che ha troppo conflitto non può essere mediata, ma allora mi chiedo anche perché una coppia senza conflitti dovrebbe essere mediata, si media se c’è un conflitto. Le definizioni forti sono sempre un po’ con dei contorni troppo marcati, io direi che il primo prerequisito ed è anche l’unico forse davvero importante è che la persona sia davvero lì per sua volontà, che in qualche modo senta dentro di sé l’esigenza anche soltanto di incuriosirsi a che cosa può essere un cambiamento. Non necessariamente e direi quasi mai le persone arrivano nella stanza di terapia con già un’idea di cosa vogliono cambiare e del fatto che è assolutamente necessario farlo, però se c’è almeno la curiosità di ascoltare una narrativa differente, di condividere significati differenti, allora quello può essere una condizione che quando siamo bravi, fortunati e l’incontro è un buon incontro può portare davvero a qualcosa di positivo. L’incontro terapeutico, al di là di quanto il paziente sia motivato e il terapeuta molto bravo, è però un incontro fra persone, quindi può essere più o meno fortunato sulla base di caratteristiche che per certi versi non sono operazionalizzabili.
LM: Come si pone da questo punto di vista l’approccio sistemico? Molti dicono che il cambiamento avviene attraverso la comprensione degli eventi passati o presenti, serve comprendere le dinamiche sottostanti o solo fino ad un certo punto?
FS: Su questo punto c’è proprio la principale linea di demarcazione rispetto ad un certo tipo di cognitivismo, che pone un modello ABC se vogliamo, che ha una matrice molto maieutica per cui se tu sai qual è il tuo bene poi finisci per farlo. Noi siamo un po’ più titubanti ad accettare un’idea del genere, perché abbiamo molti controesempi. Penso che il cambiamento a volte passi attraverso la possibilità di fare cose diverse, di costruire possibilità di movimento per la persona, possibilità di azione differenti. Magari uno le capisce anche dopo, ma se riesci a fare qualcosa di profondamente diverso quello è un cambiamento. Noi sappiamo che aderendo ad un modello di mente che sia un modello motorio oltre che sensoriale, cioè che la mente può cambiare non soltanto comprendendo, ma anche facendo nello spazio delle cose, è più importante e anche più immediato muovere le cose in modo diverso piuttosto che capire come sono.
Quali sono le storie permesse e le storie proibite?
LM: Noi abbiamo come testo di riferimento, la nostra “Bibbia”, il testo di Valeria Ugazio Storie Permesse Storie proibite…
FS: E’ uscito il Nuovo Testamento ora…
LM: Esatto, è stato rivisitato con un’aggiunta interessante sul versante depressivo… Cosa vuol dire che alcuni di noi hanno delle storie permesse e delle altre storie che ci sono proibite?
FS: Come sai e come accennavo all’inizio di questa nostra chiacchierata, le possibilità di azione della persona sono molto legate a quella che per noi è l’unità di analisi fondamentale, la conversazione familiare, dove per conversazione familiare intendiamo non soltanto ciò che si dice a tavola, ma tutto ciò che è oggetto di comunicazione, anche comunicazione non verbale, di comportamenti, di azioni e retroazioni all’interno della famiglia. La conversazione familiare è il luogo in cui si scambiano e si apprendono dei significati, è il luogo dove le persone posizionandosi reciprocamente costruiscono la possibilità di un’identità e dentro questa identità noi abbiamo cose che sono nelle nostre corde, cose che riusciamo a concepire, cose che facciamo, alcune invece sono proprio naturali, sono automatiche, cose su cui non riflettiamo nemmeno, altre ancora invece richiedono uno sforzo immaginativo o un piccolo sforzo anche di cambiamento. Altre sono proprio al di fuori della nostra visuale, come se noi fossimo orientati a vedere in una direzione e ovviamente la visione periferica non è mai a 360°, quindi sono storie che esulano da quelli che sono i nostri orizzonti percettivi, la nostra possibilità anche di concepire uno sviluppo possibile e sono quelle storie che definiamo proibite.
LM: Il compito della terapia sistemica è quindi quello di rendere permesse le storie proibite, aprendo nuove porte e risolvendo le difficoltà della persona…
FS: Lo scopo della psicoterapia sistemica è operare uno spostamento di visuale, quindi guidare e accompagnare la persona nel fare quel piccolo spostamento di prospettiva che rende visibili delle nuove possibilità e quindi rendere permesse delle nuove storie… E’ come portare qualcuno dietro un angolo e dirgli: “Se guardi di là ci sono cose che non avevi visto”. Non è tanto una questione di esplorare l’inconscio, quanto di aiutare la persona a guardare altrove rispetto a dove ha sempre guardato.
Come promuove il cambiamento l’approccio sistemico.
LM: Questo è un punto cruciale: alcuni approcci tendono a produrre il cambiamento attraverso la psicoeducazione, altri invece andando nei meandri dell’inconscio per vedere ciò che emerge e dandogli un’interpretazione. L’approccio sistemico come promuove il cambiamento nella persona?
FS: Ti faccio un esempio concreto di una mia terapia di ieri, ad un certo punto in una conversazione incentrata sul significato di ciò che era buono e ciò che in qualche modo non lo era, ci viene l’idea che questa fosse anche una conversazione sul poter guardare fuori o poter guardare soltanto dentro. La persona con cui stavo avendo questa conversazione mi guarda e mi dice: “Non l’avevo mai vista in questo modo”. Questo è un po’ il segnale che si è prodotto un cambiamento di visuale, che la persona sta guardando qualcosa che c’era, non era neanche inconscia, era qualcosa già lì, ma su cui non aveva mai posato lo sguardo, quella è una possibilità di cambiamento. Certo è che non basta, il cambiamento da un punto di vista sistemico non è legato solo alla comprensione, a qualcuno che capisce delle cose che non aveva mai capito prima, ma è anche la possibilità di agire diversamente. Per fare questo forse la persona che ha teorizzato, se pure con differenze importanti rispetto a noi, un’idea di cambiamento in maniera più limpida è stato Jay Haley, che legava l’idea del cambiamento al porsi dentro ad un paradosso, per risolvere il quale tu devi fare una cosa diversa. E’ un po’ l’idea di ricercare il cambiamento attraverso un paradosso che per certi versi faccia sentire il paziente scomodo nei suoi panni, che gli riconosca un valore, ma che al tempo stesso gli faccia sentire che è ora di abbandonare certi pattern. Questa è la cosa che ricerchiamo, introdurre una quota di riflessività, di paradosso dentro un sistema di credenze, di emozioni, di valori che è sempre stato troppo compatto. Le narrative troppo cristallizzate, quelle troppo ferme, sono quelle che inchiodano la persona. Il paradosso per certi versi è un po’ come la goccia d’acqua che scava e sgretola il granito.
EIST: non solo terapia familiare.
LM: La parola sistemico – relazionale è spesso associata al concetto familiare, spesso anche qui abbiamo parlato delle famiglie, delle narrative familiari, delle semantiche familiari eccetera. Non vorrei passare un concetto fuorviante, per promuovere il cambiamento è necessario sempre lavorare con la famiglia o si può anche lavorare solo con l’individuo?
FS: L’identificazione dei sistemi con il nucleo familiare è sbagliato in due sensi: intanto perché anche altre forme di terapia si aprono alle famiglie e quindi non è più vero, se mai lo è stato, che solo i sistemici vedono le famiglie, perché anche altri approcci cominciano a scoprire il valore della conversazione familiare come strumento di conoscenza e di cambiamento. E’ sbagliato anche nell’altro senso, perché anche la terapia sistemica, almeno un certo tipo di terapia sistemica, si apre all’individuale. Questo è molto legato al concetto d’identità e di personalità. Una sistemica molto radicale, legata all’idea che tutto è costruito nell’interazione e quindi nel qui ed ora dei comportamenti di tutti, rifiuta per certi versi il concetto di personalità e quindi rende la terapia individuale un non senso, qualcosa che non vale la pena di esplorare. Uno degli aspetti specifici della EIST all’interno delle voci sistemiche è stato proprio quello di recuperare il concetto di soggetto contestuale e quindi di personalità che si costruisce nella relazione, che era il concetto originario anche di Bateson. Recuperando il concetto di personalità, pensando che esiste questa cosa che diventa un’identità che si costruisce nella storia, apriamo anche al valore di una terapia individuale, perché noi possiamo vedere la persona che abbiamo di fronte, che arriva lì da sola come la punta emergente di una storia sommersa che noi non vediamo, ma di cui vediamo gli esiti e vediamo i risultati personali, vediamo quella persona, vediamo la sua posizione nel mondo e siamo in grado di riconnetterla alla sua storia personale e familiare.
LM: La famiglia appartiene alla nostra forma mentis di terapeuti sistemici relazionali quindi…
FS: La sistemica è soprattutto una prospettiva, più che un metodo che deve avere dei codici. Tutto ciò che ci codifica troppo è anche vincolante, è chiaro che non voglio sminuire il valore della tecnica, noi come sai crediamo che ci debba essere una tecnica e diffidiamo profondamente, io personalmente e anche noi come scuola, da quegli approcci che dicono che per fare lo psicologo basta essere sensibile e voler bene agli altri. Per fare lo psicologo ci vuole una tecnica, ci vuole un’impronta metodologica forte, però la sistemica non può essere identificata con lo specchio o con quante sedie hai nella stanza, è un modo di pensare…
LM: Ferdinando ti ringrazio molto per questa chiacchierata, mi sembra che siano emersi dei dati che possono far discutere e quindi se sei d’accordo vediamo un po’ le reazioni che suscita il video…
FS: Vediamo quanti cerchi fa il sasso nello stagno…
LM: Poi penseremo ad un secondo round fra un po’ di tempo…
FS: Ti ringrazio per avermi dato questa occasione e ti saluto caramente.
LM: Grazie Ferdinando…