Quanto guadagna uno psicologo?
Già, quanto guadagna uno psicologo? La domanda mi viene spesso rivolta da colleghi molto giovani o da studenti indecisi sulla strada da scegliere per formarsi nel mondo del lavoro.
La risposta ovviamente non è semplice da fornire, perchè la più scontata e corretta sarebbe “dipende”.
Conosco ad esempio colleghi che faticano a portare a casa il minimo sindacale e altri che sono riusciti a posizionarsi su tariffe elevate e vedono molti pazienti ogni giorno arrivando anche a costruire una lista d’attesa.
Per chiarezza partirò da un dato certo, ossia da quanto guadagno dichiara in media uno psicologo. Per trovarlo ho dovuto spulciare il bilancio consuntivo ENPAP (la nostra cassa di previdenza) ed estrarre alcuni dati che riassumo di seguito.
Ebbene sì, la media del guadagno netto dello psicologo italiano nel 2012 è di 14.600 euro circa all’anno, che vuol dire uno stipendio di 1200 euro al mese.
In tabela si può vedere poi la distribuzione geografica, con i parziali del nord sud e centro Italia.
Altro dato interessante che ho trovato nel consuntivo 2012 e che qui condivido, è la distribuzione del reddito per età. Alcuni si chiedono ad esempio: ma se io a 30 anni volessi farmi una famiglia, su che reddito posso in media contare per sfamare me, il partner e magari uno o due figli? o fare un mutuo per la casa o l’automobile? o fare delle vacanze decorose e rilassanti?
Di seguito la risposta
Un giovane psicologo (o meglio: uno psicologo fino a 39 anni…) guadagna in media 10.600 euro all’anno netti, ossia quasi 900 euro netti al mese. A meno che non si supponga che percepisca compensi in nero, mi sembra una cifra non dignitosa.
E non solo perchè alle spalle c’è una formazione come minimo universitaria (ma spesso anche di specializzazione) lunga e costosa, ma perchè la nostra dovrebbe essere una professione riconosciuta al pari di quella medica.
Allora vi chiederete a questo punto: quanto guadagna un medico?
Cercando online si trovano cifre ben maggiori a quelle della nostra categoria, solitamente attorno ai 60mila euro. Per farvi un’idea comunque di come girano i soldi nelle altre professioni invito a leggere questo articolo del Sole 24 ore, dove si fa una panoramica interessante dei redditi professionali (del 2010, ma cambia poco…) e a studiarvi la tabella qui sotto riportata.
Preso atto dei numeri ufficiali, vorrei ora dare spazio ad alcune considerazioni del tutto personali.
A mio avviso uno psicologo guadagna troppo poco.
La storia della contrapposizione dello stipendio dell’insegnante rispetto a quello del calciatore è certamente ormai trita e ritrita, ma efficace: uno ha un ruolo socialmente rilevante e utile ma ha poco impatto sulla massa (quantomeno apparentemente), l’altro invece non svolge un lavoro particolarmente nobile ma ha un impatto tale per cui viene strapagato.
Senza entrare nella querelle “giusto o sbagliato”, vorrei riflettere su alcune domande. La prima è: c’è qualcosa che possiamo fare noi come categoria per aumentare il nostro guadagno economico?
Questione di competenza o di marketing?
Io non credo che gli psicologi guadagnino poco perchè non siano bravi o perchè dovrebbero essere più preparati o perchè ci sia poco bisogno di loro in questa società. Certo che la formazione non fa mai male, ma siamo una categoria iperformata, che passa la vita a racimolare ECM o ad andare da un corso di formazione all’altro.
Un punto importante secondo me è riuscire a fare percepire agli altri il nostro valore: imparare il linguaggio degli utenti, utilizzare i loro strumenti di comunicazione, andare noi verso i loro bisogni, riposizionarci sul mercato in modo da essere più “appeal”. Siamo a pieno titolo nel campo marketing, esplorato recentemente dal nostro CNOP – il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi – che ha promosso una campagna publicitaria della nostra figura professionale (a lato si può vedere quella che sta girando sui quotidiani nazionali in questi giorni e che si può scaricare in pdf da qui).
Reputo questa iniziativa positva, sebbene lo slogan “Con l’aiuto di uno psicologo il difficile diventa semplice” abbia già fatto sollevare qualche perplessità. Mettere in accordo tutta la comunità degli psicologi in uno slogan che ci possa fare riconoscere, d’altra parte, è utopistico.
Ora una seconda domanda: a prescindere da quello che le istituzioni possono fare per noi, c’è qualcosa che può partire direttamente dai singoli liberi professionisti per ridare valore – anche economico – alla professione dello psicologo?
La mia risposta
Credo che le strade in questo senso siano diverse. Io ho deciso da diverso tempo di provare a comunicare con i non addetti ai lavori la passione e l’utilità che credo esserci nella psicologia, e ho deciso di farlo attraverso le nuove tecnologie.
Social network, video su youtube, televisione, articoli divulgativi online, ebook e così via, se ben utilizzati, possono portare ad innalzare e di parecchio l’immagine che gli altri hanno di noi e il valore – anche economico – che andremo a percepire.
Non è facile, non è immediato e non è certo l’unico modo per andare in questa direzione, ma quello che ho sperimentato e che a distanza di qualche tempo mi sta restituendo interessanti risultati.
Per chi volesse capirne di più e cercasse un vero e proprio corso strutturato con strumenti pratici e concreti per attrarre il lavoro e quindi aumentare i guadagni, consiglio di dare un occhio ai miei corsi (clicca sull’immagine sottostante). Sono una serie di corsi che ho creato alla luce della mia esperienza pluriennale in questo ambito, e su tutti c’è la garanzia “soddisfatto o rimborsato”.
Chiudo con una serie di altre domande, se qualcuno vorrà potrà riprenderle e magari io stesso nei prossimi articoli proverò a rispondervi:
- In quale altro modo lo psicologo può dare valore alla categoria?
- Con una professione che versa così pochi contributi, che tipo di pensioni è giusto aspettarsi di avere?
- Perchè in alcune culture lo psicologo è “di moda” (anche senza dovere ricorrere a campagne di marketing) e altrove invece vissuto con stigma?
- Si può considerare quella dello psicologo una professione “vera e propria” o più semplicemente andrebbe vista come un hobby da svolgere per metà del proprio tempo? (provocazione già lanciata dal collega Ivan Ferrero in questo post)
Grazie a chi vorrà raccontarmi la sua idea,
Luca Mazzucchelli