Quanto guadagna uno psicologo: evasione, promozione e svalutazione (parte 2)

Quanto guadagna uno psicologo: evasione, promozione e svalutazione (parte 2)
Non potevo che fare un “secondo tempo” su questo tema, soprattutto dopo il grande riscontro che ha avuto il mio post precedente: moltissimi e preziosi i commenti ricevuti, sia privatamente sia pubblicamente, e che credo si possano raggruppare in 3 macro aree di pari importanza:
- I guadagni che ho pubblicato sono veritieri o falsati dal nero?
- Tutti possono fare self marketing o è solo una questione per pochi?
- Quali le responsabilità della categoria nel fare “svalutare” il nostro lavoro?
Ma uno psicologo quanto evade?
Tra i commenti che ho letto rispetto ai guadagni dichiarati, mi ha colpito molto la spaccatura tra due posizioni principali: alcuni hanno sottolineato che i guadagni sarebbero sottostimati per “colpa del nero”, mentre altri hanno reputato le cifre indicate fin troppo ottimistiche:
“Magari guadagnassi veramente quelle cifre, io mi posiziono ben al di sotto della soglia” – Sara
Evidentemente del tutto campati in aria, i guadagni che ho presentato nello scorso articolo, non lo sono. I commenti che sostanziano questa posizione sono soprattutto dei più giovani, molti dei quali mi hanno scritto che stanno chiudendo la partita IVA o hanno dovuto farlo da poco.
Certo anche il problema evasione non è inventato di sana pianta, anzi, anche se parrebbe esistere l’idea che avvenga soprattutto nella parte over 50 della categoria.
Marco, a titolo esemplificativo, mi scrive:
“Conosco molti psicologi di tutte le fasce di età e il tenore di vita e le scelte professionali non sono compatibili con redditi dichiarati di questo tipo (può uno psicologo acquistare uno studio con redditi del genere? No, eppure diversi 40-50enni lo fanno), l’unico dato forse realistico è relativo agli under 35, perché cominciare (come sempre) è difficile”.
Certo solitamente chi può sostenere una formazione così lunga e costosa come quella dello psicologo proviene da famiglie benestanti, condizione che potrebbe giustificare l’acquisto di studi professionali anche a fronte di un reddito basso. Simile comunque a quella di Marco la posizione di un’altra giovane collega:
“Chi fa tanto nero tra gli psicologi sono quelli dai 50 anni in su, che hanno avuto la possibilità nel passato di entrare nel pubblico, hanno lo stipendio fisso, insegnano nelle scuole di specializzazione e in nero vedono pazienti e specializzandi.
Chi come me è entrato nella professione direttamente come consulente e poi, con la specializzazione, psicoterapeuta in libera professione, non può permettersi di non esistere per il fisco (oltre personalmente a ritenerlo immorale e poco professionale!)”
I non addetti ai lavori, invece, tendono a non usare mezze misure, questo un commento di Roberto, che laconico sostiene:
Quella dello psicologo è una categoria che evade al 90%
Ho deciso di approfondire allora il capitolo evasione, e ho trovato questo interessante articolo del Sole24ore, alla cui lettura rimando e dal quale emerge che alcune professioni evadono più di altre, e che quella degli psicologi lo farebbe in pari misura a quella dei cugini medici psichiatri: non la stima esagerata del 90%, ma un buon 40%.
Cosa vuol dire questo? Che se riprendessimo la tabella precedentemente pubblicata dovremmo praticamente quasi raddoppiare il guadagno (netto) dichiarato.
Ovviamente questo non significa che tutti facciano nero: diversi professionisti possono farlo in differente percentuale, a seconda degli impieghi e dell’età da cui svolgono la professione, e così via. Certo è che se si riuscisse a fare emergereil nero dei professionisti, anche le nostre pensioni praticamente raddoppierebbero.
Ecco allora una prima domanda che mi viene da porvi: credete che ENPAP potrebbe fare qualcosa per facilitare questa emersione e raddoppiare il denaro da investire?
…ma tutti possono veramente promuoversi efficacemente?
Un’altra importante parte dei commenti ricevuti riguarda il tema “marketing per la professione” e come declinarlo per non svalutare la professionalità ma portare valore alla categoria.
“(…)Mazzucchelli è uno che effettivamente sa rendersi molto visibile, sa usare bene gli strumenti offerti dal web e tutti credo abbiamo visto almeno un suo video su youtube. Ma quanti di noi sono capaci/disposti a fare lo stesso? Io, per esempio, no, non mi sento in grado e forse mi sentirei anche un po’ scemo, non so, a farmi riprendere mentre intervisto, mentre spiego, ecc. e comunque sono convinto di non riuscire a muovermi adeguatamente di fronte ad un obiettivo”. Raffaele
Personalmente credo che tutti possiamo imparare a promuoverci, ma che occorra motivazione ed esercizio costante. Non è una cosa insomma che si può fare in due mesi: ho preso questo sito internet nel 2005, e ho iniziato ad avere le prime soddisfazioni dopo alcuni anni di lavoro.
Certo: erano altri tempi, la gente andava meno su internet, non c’era tutto il mondo dei social, di youtube, degli ebook… c’erano indubbiamente meno leve sulle quali fare forza per avere clienti che si trasformassero da “virtuali” a “reali”.
Oggi forse c’è più concorrenza, ma sono dell’idea che la qualità vinca sempre.
A tal proposito ho condiviso in buona parte quanto espresso nel seguente commento:
Ragazzi ma come sarebbe a dire “io non mi sento in grado”?
Che vi piaccia o no le cose stanno così: o ci si adegua o si cambia mestiere.
E’ vero sono molto duro, ma che cosa pretendete?
Di ottenere visibilità.. .rimanendo dietro ad un velo?
Non vi sembra un controsenso?
Spesso mi ritrovo per progetti miei online a contattare colleghi che si lamentano che non riescono a farsi conoscere, e quando gli dico che devono inviarmi una loro foto scappano…
Tra l’altro il video è uno strumento tremendamente potente, ma questo non vuol dire che non si possa fare moltissimo anche con gli altri mezzi: ciò che conta è l’esperienza dell’utente. (…)
In questi anni riusciamo a cavarcela con i nostri pazienti nello studio (ma neanche tanto, a giudicare dai risultati), ma cosa accadrà tra venti anni, quando tutti questi nativi digitali (cresciuti a macdonald’s e tablet) avranno l’età ed i mezzi per chiedere un aiuto psicologico? Ivan
Altro punto interessante relativo alla promozione personale è quello sollevato sempre da Raffaele:
(…) Mazzucchelli lavora a Milano (…) c’è una mentalità diversa, direi più europea ed aperta alla cultura psicologica, correggetemi se non siete d’accordo. Venite a promuovervi a Cuneo, a Matera, a Enna, vedrete che fortuna fanno gli psicologi… altro che 900 € al mese… magari!
Ammetto che non avevo ad oggi fatto nessuna riflessione sulla geografia del marketing: è chiaro che ogni regione abbia una sua cultura e la sua chiave di accesso, ma credo (forse a torto?) che ormai con le nuove tecnologie anche uno che sta ad Enna, se si promuove bene, possa avere clienti di ogni parte d’Italia.
Io ricevo chiamate dalla Sicilia tanto quanto dalla Svizzera, e via skype riesco a lavorare -quanto meno per una consultazione – con chiunque lo desideri.
Ci svalutiamo noi per primi?
A mio avviso la promozione della categoria passa principalmente per due filoni: il marketing e il buon lavoro, capace di generare da solo passaparola e diffondendo il valore del professionista.
Però c’è un punto importante: uno psicologo riesce a lavorare bene (cioè a diventare “bravo”) soprattutto dopo avere fatto molta esperienza, dopo avere visto tanti casi, dopo essersi “formato sul campo”.
Ed ecco l’inghippo: se non riesco a iniziare a vedere dei pazienti, perché arrivare a loro oggi è più difficile che in passato, come faccio a fare esperienza e diventare bravo?
Da qui la mossa più frequentemente fatta (solitamente dai giovani colleghi): abbasso i prezzi, oppure accetto lavori sottopagati.
“Mi spiace che c’è chi rovina la professione svendendosi”. Gianluca
Oppure ancora:
“(…) Sono troppi i colleghi che, pur di lavorare, accettano di essere assunti (spesso presso cooperative sociali) con paghe ridicole, e che si trovano sotto lo scacco di dover accettare un lavoro da psicologo ma con forme contrattuali nelle quali risultano assunti come educatori (anzi, neanche… dato che, giustamente, non lo sono…). Il risultato è che finiscono a percepire salari attorno ai 10 euro l’ora (a partita iva, ossia lordi) per fare colloqui, test, ecc.”. Carlo
Io concordo sul fatto che questo atteggiamento della “guerra al ribasso” non faccia bene alla categoria, ma come dare torto ai giovani colleghi che devono in qualche modo avere l’opportunità di fare pratica?
In molti dicono che sia colpa della politica se questo avviene, e almeno in parte credo che sia vero. A livello di Ordine (già ho espresso le mie perplessità sull’iniziativa della psicologia sostenibile) ma non solo: diversi attori hanno partecipato alla costruzione della situazione attuale, dalle Università al Parlamento, dalle Giunte Regionali a quelle dei Comuni con i loro assessorati alla Salute, e così via.
Si parla molto dei giovani che non riescono a trovare lavoro, problema certo concreto e reale, ma a questo occorrerà sempre più affiancarne un altro: quello dei professionisti ormai non più giovani che percepiscono un salario troppo basso rispetto alle competenze maturate e allo stile di vita che “normalmente” dovrebbero potersi garantire (figli, vacanze, passioni, etc).
Perché altrimenti, quando arriveranno gli psicologi cinesi che per 5 euro ti fanno una consultazione, noi cosa faremo?
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Luca Mazzucchelli