L’importanza dei limiti e delle regole per i bambini
L’importanza dei limiti e delle regole per i bambini
Perchè dobbiamo dare regole e limiti ai nostri figli?
Sembra così ovvio che a volte bisogna dire di no, eppure l’opinione più comune è che, se appena è possibile, si debba dire di sì. Esiste una tacita regola secondo cui le persone gentili, ammodo, educate e premurose non dicono di no. E’ una regola presente in tutti gli aspetti dell’esistenza, dall’intimità della casa alla sfera pubblica della politica; perfino la pubblicità proclama “la banca che ama dire sì”.
Un no non è necessariamente un rifiuto dell’altro od una prevaricazione, ma può invece dimostrare la fiducia nella sua forza e nelle sue capacità. E’ il necessario corollario del dire sì: entrambi sono importantissimi.
Chi sono i protagonisti del tema? I genitori ed i bambini!
I limiti sono dei termini che non possono e non devono essere superati anche per la tutela della propria incolumità,mentre le regole sono delle formule che prescrivono ciò che si deve fare in un determinato caso o in una particolare attività. Ogni famiglia ha i propri valori, il proprio stile educativo, la propria storia, può essere quindi che una serie di norme possono non andare bene per una e possono invece essere ottimali per un’altra. Per un papà e una mamma sceglierle puo’ essere un compito difficile, a maggior ragione se come adulti facciamo fatica a comunicarle e a mantenerle.
Ma da dove deriva la difficoltà di farle rispettare?
I tempi e gli spazi di vita sono cambiati. Se calcoliamo quanto tempo passiamo al lavoro e ad occuparci delle faccende domestiche e calcoliamo quanto tempo passiamo con i nostri figli, credo che buona parte di noi potrebbe impallidire. Se fino a dieci-quindici anni fa una famiglia poteva economicamente permettersi che la mamma stesse a casa tutto il giorno con i sui piccoli, oggi questo per la maggior parte dei casi non è più possibile. Anzi anche i papà si trovano a fare turni di lavoro più lunghi e a passare ancora più tempo fuori casa, per poter consentire alla famiglia un buon tenore di vita e in molti casi per poter riuscire a garantire un minimo di vita economicamente tranquilla. L’accudimento e l’educazione dei figli, anche piccolissimi, in questo “marasma” lavorativo viene affidato ai nonni o ai servizi educativi o alle istituzioni scolastiche. Capita spesso nei servizi come i nidi di avere bambini che frequentano dalle 7.30 alle 18.00, questo perché i genitori non hanno alternative e perché non hanno l’appoggio di nonni o altri parenti. Credo sia importante chiederci allora qual è il senso del nostro tempo come adulti e qual è il senso del tempo che passiamo con i nostri figli. Gli adulti di oggi nella relazione con i propri figli devono fare i conti anche con tre aspetti che spesso ci sfuggono:
- Prima di essere genitori si è figli. I nostri bambini nei loro atteggiamenti e nelle loro modalità relazionali evocano in noi sentimenti, emozioni e vissuti legati alla nostra infanzia. Questo ci porta nella nostra relazione con i figli a mettere in campo quell’aspetto di noi che l’analisi transazionale chiama il nostro “Io bambino”. Quel lato di noi che ha assorbito emozioni, stati d’animo, vissuti legati alla “pancia”, che portano movimento dentro di noi.
- La nostra relazione con i nostri genitori: siamo figli appunto! I nostri genitori ci hanno “dato la vita, ma non le istruzioni per l’’uso”, come dice G. Ulkmar. Anche qui la relazione con i nostri genitori viene fatta emergere dalla relazione con i nostri figli. Quante volte ci siamo detti “Io quando sarò padre o madre questa cosa non la farò!” e poi ci troviamo a ripercorrere delle impronte già tracciate per noi dallo stile educativo ed affettivo dei nostri genitori? Il nostro relazionarci con il nostro bambino porta a far emergere quella parte di noi che, sempre l’analisi transazionale, definisce l’”Io Genitore”, un insieme di regole, divieti, ammonimenti che abbiamo immagazzinato nella nostra infanzia e che ci ritroviamo a riproporre ai nostri piccoli
- l Il bambino “immaginario”. Come mamme e come papà dal momento della scoperta di una gravidanza in corso, ci si immagina il proprio bimbo con dei tratti fisici e caratteriali ben specifici, inizia la fase dell’immaginario, per l’appunto, in cui si sogna ad occhi aperti come sarà anche la vita con il nostro bambino, quali equilibri nuovi porterà e quali moti del cuore in più ci regalerà. Alla nascita facciamo però i conti con il bambino “reale” colui che va ad incarnare i nostri sogni e le nostre aspettative e che spesso non risulta far coincidere realtà e sogno. Facciamo i conti quindi con aspettative magari deluse e con i sensi di colpa che queste delusioni possono far emergere dentro di noi.
Secondo voi, come si puo’ quindi superare queste difficoltà ed imparare ad utilizzare un codice educativo efficace?
Dott.ssa Elisa Oliva