Come riprendersi da un trauma psicologico
Ci sono quei giorni in cui il mondo ti crolla addosso, in cui devi confrontarti con quelle grandi tragedie assolutamente inaspettate, ma che a un qualche livello devi provare a gestire. Se hai a che fare con delle grandi perdite, dei fallimenti, delle delusioni o delle grandi sfide devi sapere che esistono quattro punti importanti da cui puoi attingere e che possono tornarti utili.
1) Il primo punto è relativo alle cose da non fare…
Martin Seligman nel suo libro “Imparare l’ottimismo” ha sconsigliato tre parametri, che lui definisce le tre P: Personalizzazione, Pervasività e Permanenza. In breve, Seligman ha dimostrato che le tre P possono arrestare il processo di recupero della nostra situazione.
- La personalizzazione è la sensazione che siamo colpevoli di quanto accaduto;
- La pervasività è la convinzione che quanto accaduto interesserà tutte le aree della nostra vita;
- La permanenza è la certezza che i colpi di quanto subito dureranno per tutta la vita.
In realtà, centinaia di studi scientifici dimostrano che adulti e bambini si riprendono prima da questi brutti colpi quando si rendono conto che le difficoltà non sono del tutto colpa loro, non influenzano ogni aspetto delle loro vite e non li seguiranno per tutta la durata della loro esistenza.
Dunque, la ricerca scientifica dimostra che il dolore non dura per sempre…
Infatti, alcuni studi ci dimostrano come le previsioni che facciamo relative a come ci sentiremo in futuro sono solitamente fuorvianti, perché abbiamo la tendenza a sovrastimare per quanto tempo gli eventi negativi continueranno a influenzarci.
2) Il secondo punto ci richiede di interrogarci circa quanto avrebbe potuto essere peggiore la situazione…
Infatti, una delle cose che aiuta le persone in crisi è quella di concentrarsi su scenari peggiori. Generalmente, l’istinto ci porta a cercare scenari positivi, ma non si può sfuggire dal dolore di traumi troppo gravi. Ad esempio, potremmo provare a pensare a una tragedia come potrebbe essere quella di perdere un marito a causa di un infarto. Preso atto che l’episodio oramai è passato e non ci si può fare nulla, si potrebbe provare a pensare che poteva andare peggio. Infatti, quell’infarto poteva avvenire mentre lui era alla guida dell’autovettura con dietro seduti i nostri figli.
Pensare a quanto peggiori potrebbero essere state le cose aiuta, perché sollecita la sensazione di gratitudine…
La gratitudine svolge un ruolo fondamentale all’interno del processo per affrontare e superare il dolore. Più una persona è incline alla gratitudine e meno si verificheranno le possibilità che quest’ultima diventi ansiosa, depressa, rabbiosa o invidiosa.
Ovviamente non è facile fare questa operazione di fronte a un grande dolore, ma più saremo grati che non è andata peggio e meglio ci sentiremo.
3) Il terzo punto ci richiede di ottenere supporto…
Può sembrare banale ma, parlare con altre persone ci può aiutare molto. Non è necessario parlarne con uno psicologo ma, ad esempio, con persone che ci sono già passate. Se parlassimo con i veterani militari, con donne che hanno subito stupri o con genitori che hanno perduto i loro figli, ci sentiremmo subito dire che l’aiuto maggiore lo hanno avuto parlando con persone che hanno subito la stessa perdita. In qualunque caso, parlare di questo dolore è una cosa positiva. Infatti, Giovanni Pascoli diceva:
“Il dolor è ancor più dolor se tace”.
Magari le persone con cui parliamo non potranno risolvere i nostri problemi, ma sapere che c’è qualcuno pronto ad ascoltarci può fare la differenza. Dunque, proviamo a domandarci se c’è qualcuno nella nostra vita con cui ci sentiremmo a nostro agio a parlare al telefono alle quattro del mattino dei nostri problemi. Se la risposta dovesse essere negativa una cosa importante da fare è lavorare sulla nostra rete relazionale così da poter avere questa fondamentale figura di riferimento.
4) Il quarto punto è: scrivi il tuo problema…
È importante scriverlo perché pensare a ciò che ci preoccupa solitamente è un’attività di ruminazione che sta spesso alla base della depressione. È naturale che non possiamo smettere di pensare, ma possiamo farlo in modo diverso. Ad esempio, scrivendo su carta tutto ciò che ci passa per la mente invece di tenerlo rinchiuso nella nostra scatola cranica. Rivivere il dolore per iscritto è molto importante, perché scrivendo si è obbligati a dare una struttura al flusso di pensiero invece di lasciarlo roteare dentro di noi in maniera spesso anche pericolosa. Anche se rivivere il dolore per iscritto è molto più doloroso, dobbiamo ricordarci che lo è solamente nel breve termine, perché sul medio e lungo termine scrivere apporta dei benefici molto importanti. Il dolore va vissuto per essere superato e spesso la strada più veloce per uscirne fuori è proprio passarci attraverso. La scrittura ci mette a stretto contatto con il dolore, ma in questo modo gli diamo un senso, bonificando dunque quella zona mentale ancora ferita.
Il potere della scrittura, rispetto al parlarne con un amico o con un terapeuta, risiede nel fatto che mentre scriviamo non dobbiamo preoccuparci del giudizio degli altri. Inoltre, pensare a un problema tendenzialmente lo rende peggiore, invece scriverlo ci permette di afferrarlo.
Ovviamente affrontare le tragedie non può essere una cosa piacevole, tuttavia ci sono delle persone che affrontano una crescita post-traumatica e ne escono, quindi, più forti di prima.
Di fronte alle difficoltà c’è chi riesce a trovare più forza interiore, chi riesce ad apprezzare maggiormente la vita, e chi a trovarne un significato. C’è chi crea delle relazioni profonde o chi vede delle opportunità che prima non c’erano.
Quelle opportunità in realtà sono sempre state lì, vicino al nostro dolore ma, se non ci metteremo a cercarle, non emergeranno da sole.