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Il caso di Sarah Scazzi: l’ennesimo delitto in famiglia

Attualità

Il caso di Sarah Scazzi: l’ennesimo delitto in famiglia

Pubblico una riflessione della collega Cecilia Pecchioli Catelani, psicologa perfezionata in psicologia forense, sul caso di Sarah Scazzi, che ha avuto enorme visibilità nel palinsesto televisivo di questi giorni. Non mi sento di aggiungere molto all’articolo della collega, che non ha pretese scientifiche ma cerca piuttosto di proporre alcune riflessioni interessanti sull’argomento. 
Voglio però segnalare come mi sia già arrivata una mail di una mamma che chiede come comportarsi davanti a queste notizie con i propri figli, se parlarne con loro, come e in che termini.

A questo proposito mi permetto di riproporre quanto risposto a questa domanda dalla Dottoressa Miriam Gandolfi in una intervista che le feci qualche anno fa in occasione del caso Cogne:
“I genitori devono essere attenti a guardare loro figlio: non è tanto il problema di proteggerlo quanto di fargli capire che qualora ne avesse voglia è nelle condizioni di accedere ad un adulto che ha voglia di accoglierlo, di tenerlo in considerazione. Con queste precondizioni l’adulto che vede uno sguardo interrogativo nel bambino può anche porre la domanda: “Hai visto cosa è successo? vuoi sapere qualcosa?”. Non c’è una quantità di cose giusta da dire o un’età corretta per parlare loro di questi fatti: è l’aspetto di conversazione con il bambino che deve essere monitorato e che detta i tempi per capire come comportarci con lui.”
Vi lascio ora alla lettura delle riflessioni della dottoressa Pecchioli Catelani.

Ieri sera è stato trovato il cadavere della piccola Sarah Scazzi; ciò a seguito di un interrogatorio fiume allo zio che, alla fine, ha ceduto e confessato l’omicidio.

I motivi di questa morte sono a dir poco agghiaccianti: dalle prime indiscrezioni pare che lo zio provasse un’attrazione fisica per la giovane nipote e che, quel fatidico 26 agosto, l’abbia dapprima strangolata e, una volta morta, avrebbe abusato di lei. Poi ha bruciato gli abiti e l’ha gettata in un pozzo, nuda.
La prima domanda che sorge spontanea è: la cugina Sabrina stava aspettando Sarah, dovevano andare al mare insieme. Possibile che non abbia sentito né visto qualcosa? E’ pensabile che la piccola Sarah non abbia provato a ribellarsi, a chiedere aiuto?
Sicuramente qualcosa emergerà dai prossimi interrogatori e dal futuro processo, forse non tutta la verità, ma speriamo di cuore di poter rendere giustizia a quella giovane vita di soli 15 anni.
Questo è l’ennesimo delitto che si consuma all’interno delle mura familiari. Ma cosa sta succedendo alle nostre famiglie? Cosa sta cambiando?
Le cronache grondano di delitti familiari, e le statistiche evidenziano come in Italia ogni due giorni si consumi un omicidio tra le mura domestiche, posizionando il nostro paese al vertice della classifica europea.
La violenza familiare uccide più della mafia. La tendenza è ormai consolidata da qualche anno, stando alle statistiche dell’Istat. Fino agli anni ’90 i media discutevano dell’alto numero di vittime cadute per strada a causa della criminalità organizzata. Ma lo Stato si è accorto di avere un nuovo nemico. Nel 2006, il grande sorpasso: vittime della mafia 146; omicidi in famiglia 176.
Da un punto di vista psicologico il fenomeno è sempre esistito, ma in passato l’attenzione mediatica non era così forte. I mass media si sono occupati con un interesse quasi ossessivo di alcuni di loro, quelli più “particolari” o perché efferati o perche cruenti e sadicamente violenti. Quanta attenzione è stata dedicata (e ancora i riflettori sono accesi) al caso di Cogne? E Novi Ligure, o il caso Claps?
Ma gli omicidi in famiglia si consumano con una frequenza paurosa e non hanno niente a che fare con la spettacolarità mediatica: essi sono la manifestazione ultima, il finale di un lato deviato e disturbato dei rapporti familiari, dei legami di sangue.
Relazioni affettive compromesse, spesso schiacciate  da vite quotidiane opprimenti, o da delusioni scaturenti soprattutto dall’incapacità, personale e/o sociale, di realizzare un progetto di vita soddisfacente.
La famiglia rappresenta da sempre il fondamento della società, e lo riconosce la stessa Costituzione Italiana con l’articolo 29 “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”.
Una piccola società naturale intrisa di rapporti e funzioni particolarmente complessi: in essa, infatti, si apprendono la cultura, le regole di vita, i valori da condividere ma anche i ruoli e le funzioni che, al di guori del contesto familiare,  si possono declinare in vari modi.
Nel momento in cui sorgono ostacoli individualmente considerati insuperabili, scatta l’aggressività che, con sempre maggior frequenza, viene orientata verso i componenti del proprio nucleo di origine, considerati causa primaria delle frustrazioni. Ma l’atto estremo, l’omicidio, non sempre è mosso da impulsi incontrollati e immediati. Non è estemporaneo, ma il frutto, nella maggior parte dei casi, di una lenta elaborazione, di una conflittualità interiore che affonda le sue radici lontano e che è strettamente connesso al cambiamento nel tempo dei ruoli familiari e sociali.
Non siamo di fronte a psicopatologie individuali, ma a vere e proprie “malattie” relazionali. È la famiglia ad essere diventata patologica, e stiamo parlando di qualcosa di latente, di nascosto, che fermenta nel tempo fino a che non esplode, con tutti i turbinii e le conseguenze che conosciamo.
Nel caso specifico di Sarah, non possiamo ancora azzardare ipotesi sulla criminodinamica e la criminogenesi, siamo ancora agli “albori” di questo delitto così intriso di mistero e così inquietante.
Forse il livello culturale, le condizioni economiche, lo stato di totale “ignoranza affettiva” che caratterizza quel nucleo familiare, hanno giocato un ruolo importante nella vicenda.
Quello che possiamo dire, per ora, con certezza è che un’altra vita si è spenta, a causa di un “affetto familiare”.
Ed è brutto anche solo pensare che non siamo al sicuro neanche nelle proprie case.
Prossimamente, quando il tutto sarà più chiaro, quando conosceremo con maggior precisione tutti i fatti, proveremo a capire meglio il personaggio dello zio, ed il nucleo familiare di cui faceva parte. Le domande sono ancora tante, ed è necessario trovare delle risposte.
 
Ciao Sarah.

 

Dott.ssa Cecilia Pecchioli Catelani

Psicologa

Perfezionata in Psicopatologia forense

dott.ceciliapecchioli@gmail.com

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