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Sentenze più clementi se il giudice ha la pancia piena?

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Psicologia / Attualità

Sentenze più clementi se il giudice ha la pancia piena?

C’è un vecchio detto che recita che “la giustizia è ciò che il giudice ha mangiato per colazione”.

È stato coniato da Jerome Frank, lui stesso giudice, ed è un simbolo potente del movimento del “realismo legale”. Questa scuola di pensiero sostiene che la legge, essendo un prodotto umano, è soggetta agli stessi bias, imperfezioni e pregiudizi che colpiscono tutto ciò che fanno gli umani.

Ci piacerebbe credere che le decisioni dei giudici si basino esclusivamente su criteri razionali e leggi scritte… In realtà, anch’esse possono essere influenzate da cose irrilevanti come i loro stati d’animo e, come suggerito da Jerome Frank, dal fatto di avere o meno “la pancia piena”.

La ricerca

Il grafico sottostante sembra rappresentare l’incarnazione visiva della frase di Frank.

È incluso in un studio condotto da Shai Danziger presso la Ben Gurion University di Negev (Israele) e pubblicato sulla rivista PNAS, e riassume con un colpo d’occhio i risultati di più di 1000 udienze per l’ottenimento della libertà condizionale avvenute nelle carceri israeliane nel corso di un periodo di 10 mesi. Per chi non lo sapesse, la libertà condizionale consiste nella sospensione della pena detentiva e vi si può ricorrere, di massima, quando ne sia stata scontata una congrua parte.

Grafico_Giudice

L’asse verticale rappresenta la proporzione di casi in cui i giudici avevano concesso la liberà condizionale. L’asse orizzontale mostra l’ordine in cui le cause sono state affrontate durante il giorno. Le linee tratteggiate, infine, rappresentano i momenti in cui i giudici si assentavano per lo spuntino del mattino e per la pausa pranzo.

Il grafico mostra chiaramente come le probabilità che i prigionieri ottenessero la libertà condizionale partivano abbastanza alte (65% dei casi), per poi precipitare rapidamente a zero nel giro di un paio d’ore.

Successivamente, dopo che i giudici tornavano dai loro break di metà mattina, la probabilità di ottenere la sospensione della pena detentiva risaliva bruscamente al 65%, per poi riprendere una parabola discendente, e infine tornare alta dopo la pausa pranzo. Insomma, secondo i risultati di questo studio il destino di un detenuto potrebbe dipendere dal momento della giornata in cui il suo caso viene esaminato.

Le sentenze incluse in questo studio sono state emesse da 8 giudici israeliani con una media di 22 anni di lavoro alle spalle. I loro verdetti hanno rappresentato il 40% di tutte le richieste di libertà condizionale nel paese durante quei 10 mesi. Ogni giorno, ognuno dei giudici analizzati considera tra i 14 e i 35 casi, spendendo circa 6 minuti per ogni decisione. I giudici si prendono sempre per rifocillarsi due pause, che dunque dividono la giornata in tre sessioni. Tutti questi dettagli, dalle decisioni ai tempi delle pause, sono debitamente registrati.

Come ci si potrebbe aspettare, comunque, i giudici hanno riportato minori probabilità di concedere la libertà condizionale ai detenuti che erano stati segnalati come potenziali recidivi o che non avevano partecipato a nessun programma di riabilitazione specifico. Ciò è molto razionale, ma l’influenza delle pause non lo è… Come sottolineato dai dati di Danziger, i tre detenuti visti all’inizio di ogni sessione avevano molte più probabilità di ottenere la libertà condizionale rispetto ai 3 che venivano visti in coda, e questo era vero a prescindere dalla lunghezza prevista della pena o dal tempo trascorso in carcere.

Perché succede tutto ciò?

Danziger ritiene che il comportamento dei giudici possa essere facilmente spiegato.

Tutte le attività decisionali ripetitive mettono fortemente alla prova le nostre risorse mentali. Così, dopo varie ripetizioni, iniziamo a soffrire di “sovraccarico da scelta” e finiamo per optare per la sceltà “più semplice”. Per esempio, compratori che hanno già preso diverse decisioni hanno maggiori probabilità di andare verso l’offerta di default, che stiano acquistando un abito o una automobile. E quando si tratta di udienze per la libertà condizionale, la scelta di default è di negare la richiesta del detenuto. Più decisioni i giudici hanno preso, più le loro risorse mentali saranno imporverite, e più probabilmente faranno la scelta di default. Prendere una pausa, permetterebbe loro di “ricaricarsi”.

Spiegazioni alternative

Ovviamente, ci sono diversi altri possibili modi per spiegare gli effetti trovati, ma Danziger li ha valutati ed esclusi tutti.

  • Innanzitutto, non era possibile che i dati fossero dovuti al comportamento di pochi individui, in quanto il comportamento di tutti i giudici era coerente.
  • I risultati non erano nemmeno dovuti a discriminazione, in quanto i giudici avevano trattato tutti i detenuti allo stesso modo, indipendentemente da sesso, etnia o gravità del crimine.
  • E se i giudici fossero stati vittima di un bias inconsapevole, per cui, dopo una quota di verdetti positivi, dovevano dare alcuni giudizi negativi per ristabilire un equilibrio? Danziger ha escluso anche questo: la probabilità che i giudici concedessero la libertà condizionale non dipendeva dalla percentuale di sentenze favorevoli precedentemente emesse.
  • Non è nemmeno possibile che i casi fossero ordinati in modo particolare: i giudici non conoscono i dettagli dei casi in anticipo, dunque non avrebbero potuto prendersi una pausa sapendo che avrebbero poi dovuto valutare un caso con esito potenzialmente positivo. Dall’alltra parte, non era nemmeno vero che i giudici tendevano a prendersi una pausa dopo casi particolarmente gravi o casi difficili.

Insomma, l’unica spiegazione che rimane è quella che realisti legali hanno spinto per anni, cioè che i giudici, anche quelli più esperti, sono vulnerabili agli stessi bias psicologici di tutti gli altri. In particolare possono trovarsi ad emettere sentenze diverse in casi simili, sotto l’influenza di qualcosa di così banale come una pausa pranzo. Insomma, la loro formazione, la loro esperienza, e l’importanza delle loro decisioni non li dispensano dai problemi che affliggono le nostre capacità mentali quotidianamente.

Conclusioni

Ovviamente, questo non significa che i giudici prendano decisioni in modo arbitrario: i dati mostrano chiaramente che la riabilitazione e la probabilità di recidiva influenzavano in modo fondamentale i risultati. Tuttavia anche le pause spiegavano una quota nelle differenze delle sentenze.

Nita Farahany, Professoressa di diritto presso la Vanderbilt University (Tennessee, Stati Uniti), ha commentato: “Per me, questo studio sottolinea che il processo decisionale è qualcosa di molto complesso e non prescinde da altri fattori in gioco… Non sorprendentemente, anche i medici e i piloti fanno più errori quando lavorano per lunghi periodi senza riposarsi”.

Anche Danziger ritiene che lo stesso fenomeno si verifichi anche al di fuori della cornice legale: nelle decisioni finanziarie, in ambito universitario, in ambito medico, e in altri ancora. “Gli studi su questi argomenti hanno contribuito a promuovere cambiamenti politici volti a ridurre al minimo gli errori umani che nascono dalla mancanza di sonno, e in generale dalla stanchezza mentale e fisica”, ha continuato la professoressa Farahany.  “Il fatto che anche i giudici siano influenzati dalla stanchezza mentale o fisica non dovrebbe essere soprendente. I miglioramenti in campi come la medicina, il campo militare e altre contesti in cui avvengono decisioni critiche hanno beneficiato dell’attenzione posta agli effetti di esaurimento fisico e mentale. Allo stesso modo, i miglioramenti nel contesto legale hanno bisogno che la società si consapevolizzi in merito agli effetti psicologici e biologici che concorrono alla presa di decisione in campo giuridico” ha concluso.

Riferimento bibliografico

Danziger, Leva and Avnaim-Pesso (2011). Extraneous factors in judicial decisions. PNAS https://dx.doi.org/10.1073/pnas.1018033108

Uno studio pubblicato sulla rivista PNAS mostra come gli esiti delle sentenze in tribunale non dipendano unicamente dalle leggi e dalla razionalità dei giudici, ma anche da “variabili estranee”, come il momento della giornata e il fatto che il giudice in questione sia riposato e abbia la pancia piena.

In particolare, i detenuti avevano maggior probabilità di ottenere la libertà condizionale quando comparivano all’inizio della sessione o immediatamente dopo la sospensione delle attività per una pausa; al contrario, subito prima del break di metà mattina e subito prima del pranzo, le probabilità erano drammaticamente basse.

Ovviamente, questo studio non vuole sostenere che le decisioni prese dai giudici siano arbitrarie (per altro, i professionisti considerati avevano moltissimi anni di esperienza!), ma rappresentare uno spunto di riflessione sul fatto che i nostri livelli di energia e lucidità mentale influenzano in modo massiccio il lavoro che dobbiamo svolgere (qualunque esso sia), e a prescindere dalla nostra buona fede.

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