Sindrome di alienazione genitoriale
Sindrome di alienazione genitoriale
Sindrome di alienazione genitoriale
Nel seguente articolo, redatto dalla Dottoressa Cecilia Pecchioli Catelani, psicologa perfezionata in Psicopatologia forense, verranno approfonditi i seguenti punti…
Programmazione e sintomatologia
Livelli di classificazione
Per una corretta diagnosi
L’acquisizione di potere del bambino
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La definizione di PAS
Gardner definisce la PAS:
“Un disturbo che insorge quasi esclusivamente nel contesto delle controversie per la custodia dei figli. In questo disturbo un genitore (alienatore) attiva un programma di denigrazione contro l’altro genitore (alienato). Tuttavia, questa non è una semplice questione di “lavaggio del cervello” o “programmazione”, poiché il bambino fornisce il suo personale contributo alla campagna di denigrazione. E’ proprio questa combinazione di fattori che legittima una diagnosi di PAS. In presenza di reali abusi o trascuratezza la diagnosi di PAS non è applicabile”.
La PAS viene considerata un vero e proprio abuso emotivo nei confronti del figlio “manovrato”. E’ una violenza che, come afferma Gardner, comporta:
“Esame di realtà alterato, narcisismo, indebolimento della capacità di provare simpatia ed empatia e mancanza di rispetto per l’autorità, estesa anche a figure non genitoriali”.
Si tratta di situazioni in cui il genitore alienante “sprona” il bambino a prendere delle posizioni nella campagna di denigrazione del tutto immotivata. Infatti, egli fa leva sulle paure che il bambino ha di perdere l’affetto del genitore più forte e prevaricatore, di solito quello affidatario; quest’ultimo viene considerato l’unico punto di riferimento rimastogli, in seguito alla separazione.
I casi di separazione giudiziale tendono a complicare ulteriormente la situazione, logorando ciò che resta del rapporto tra i due coniugi. In tali circostanze il bambino non è libero di vivere il suo rapporto con la coppia genitoriale seguendo le proprie inclinazioni e preferenze. Infatti, quando manca una cultura delle pari responsabilità, il minore “manovrato” impara che le regole sociali possono essere violate. E ciò potrebbe pregiudicare il suo sano sviluppo psichico. Gardner definisce tale situazione alienante una sindrome, in quanto essa presenta una serie di sintomi che possono essere associati e/o sono la causa di uno stato psicologico che porta all’esclusione di uno dei due genitori dalla vita del bambino. La compagine di questi sintomi rappresenta una vera e propria programmazione del genitore alienante nell’escludere dalla vita del figlio il genitore alienato.
Questo stile di programmazione rispecchia, statisticamente parlando, le madri; tuttavia recentemente è risultato frequente anche nei padri, a causa del maggior numero di affidi.
La cosa positiva di tale sindrome è che, nel momento in cui il genitore programmante ferma la programmazione, la sindrome scompare.
Secondo molti, soprattutto nell’ambito delle cause di affidamento dei minori, la PAS non esiste, in quanto non appare nel DSM-IV-R: è solo una teoria, la cosiddetta “teoria di Gardner”.
I comitati del DSM sono abbastanza conservatori riguardo all’inclusione di fenomeni clinici descritti di recente e richiedono molti anni di ricerche e pubblicazioni prima di prendere in considerazione l’inclusione di un disturbo.
La maggior parte dei professionisti coinvolti in cause di affidamento possono testimoniare l’esistenza della PAS: dagli avvocati ai professionisti di salute mentale. Ma, nella maggior parte dei casi, essa non viene riconosciuta pubblicamente. Di solito si cerca di aggirare il problema, dando al fenomeno che esiste un altro nome, come “Alienazione Parentale” (che, comunque, descrive la stessa entità clinica).
Alienazione parentale è un’espressione molto generica. Infatti, essa si compone di una pluralità di cause, tra cui:
– L’esser trascurati da un genitore
– Violenza fisica, emozionale e sessuale
– Abbandono e altri comportamenti alienanti dei genitori.
Tutti questi comportamenti da parte di un genitore possono causare alienazione nei figli.
La PAS, invece, è determinata dall’associazione della programmazione parentale e dai contributi del figlio, e si osserva quasi esclusivamente nel contesto delle controversie legali sull’affidamento. È proprio questa particolare associazione che permette la denominazione di “Sindrome da Alienazione Parentale”.
Programmazione e sintomatologia
Dire che la PAS non esiste, in quanto non annoverata dal DSM-IV-R, è eresia.
5 FASI NELLA PROGRAMMAZIONE |
TECNICHE USATE DI LAVAGGIO DEL CERVELLO PER INCULCARE IL PROGRAMMA |
1) GUADAGNARE ACCONDISCENDENZA: per farlo il bambino deve essere giunto ad un livello di sviluppo cognitivo e morale per la programmazione 2) TESTARE COME FUNZIONA LA PROGRAMMAZIONE: ad es. attraverso domande dirette come: “Sono un buon genitore?” 3) MISURAZIONE DELLA REALTA’ 4) GENERALIZZAZIONE ED ESPANSIONE DEL PROGRAMMA: sulle persone che si sono alleata all’altro genitore e sugli oggetti o animali che gli appartengono 5) MANTENERE IL PROGRAMMA |
– La negazione dell’esistenza dell’altro – Ripetuti attacchi all’altro in forma indiretta, subito negati – Il mettere sempre il figlio in posizione di giudice nei comportamenti scorretti dell’altro – Il costante tentativo di allearlo con il proprio pensiero e giudizio – Il drammatizzare gli eventi facendone una “tragedia della moralità” – Il minacciare un calo d’affetto nel caso il figlio si avvicinasse all’altro – Il ricordare costantemente di essere il genitore migliore – Il far cadere dall’alto le proprie azioni positive ed il proprio amore – Il sottolineare di essere l’unico capace di prendersi cura dei figli (l’altro è inaffidabile) – Il riscrivere la realtà o il passato per creare dei dubbi sui figli sul rapporto con l’altro |
La PAS è una sindrome caratterizzata da un cluster di sintomi che possono manifestarsi, in parte, nel bambino con lo scopo di rafforzare il legame patologico con il genitore alienante. Questo rafforzamento del legame tra genitore affidatario e minore non è definibile solo in base ad una precedente modalità educativa, trasmessa prima della separazione, ma può dipendere, da un lato, dalla modalità d’affido e, dall’altro, dalle strategie difensive nonché dalle dinamiche collusive, presenti nella famiglia durante il conflitto della coppia coniugale.
Gardner, inizialmente, descrive otto sintomi primari:
1- Campagna di denigrazione = implica la partecipazione attiva del bambino alla campagna denigratoria nei confronti del coniuge bersaglio, senza rimproveri o punizioni da parte del genitore alienato. Questi messaggi distorti sul genitore alienato sono spesso impliciti, come occhiate o riferimenti indiretti.
2- Razionalizzazioni deboli, superficiali e assurde = il bambino, per giustificare l’astio nei confronti del genitore alienato, può utilizzare delle scuse e delle accuse nei confronti del genitore, comunque prive di riscontri oggettivi.
3- Mancanza di ambivalenza = i bambini “programmati” nel commentare il genitore alienato ne descrivono solo le caratteristiche negative.
4- Fenomeno del pensatore indipendente = il bambino sostiene di essere autonomo nel prendere le decisioni e nel dare giudizi sul genitore alienato e difende il genitore programmante, anche perché sa che l’alienante sarebbe felice di questo. Rifiuta di essere una persona debole e passiva.
5- Appoggio automatico al genitore alienante = si può collegare al “fenomeno dell’identificazione con l’aggressore”. Il bambino, in quanto debole, appoggia il genitore alienante perché detiene il potere. Il bambino preferisce essere dalla parte del genitore forte ed assumere il potere, in quanto così potrà non essere vittimizzato, cosa che avverrebbe se si alleasse con il genitore vittima, tendente a rimanere sempre più marginale.
6- Assenza del senso di colpa = i bambini, vittime della campagna di denigrazione del genitore alienante nei confronti del genitore vittima, non solo non provano il senso di colpa o empatia, ma non provano neanche il sentimento del calo dell’autostima, che fa parte del senso di colpa. I bambini, che sono parte integrante della campagna di denigrazione, non si rendono effettivamente conto delle cattiverie che perpetrano al genitore bersaglio.
7- Scenari presi in prestito = i bambini utilizzano frasi ed espressioni apprese e suggerite dal vocabolario adulto ed eventi che non hanno mai vissuto o di cui non possono essere a conoscenza e di cui è dubbia la veridicità, ma che sono parte integrante della campagna denigratoria.
8- Estensione dell’ostilità = l’astio del bambino si estende anche alla famiglia d’origine del genitore bersaglio, all’eventuale nuova famiglia e agli amici.
Successivamente, l’autore individua ulteriori quattro criteri diagnostici:
1- Difficoltà di transizione nei periodi di visita presso il genitore non affidatario
2- Comportamento del minore durante i periodi di permanenza presso il genitore non affidatario
3- Legame del minore con il genitore alienante
4- Il legame del minore col genitore alienato, riferito al periodo predecente la fase di separazione giudiziale.
Alcuni studiosi hanno individuato altri sintomi che ne segnalano la presenza. Ad esempio, è stato riscontrato come non si smorzino i sentimenti di astio e rancore, normali nei primi periodi successivi alla separazione; in alcuni casi,addirittura, tendono a cronicizzarsi. Tale aspetto della sindrome deriva soprattutto dal fatto che alcuni genitori ritengono di essere gli unici adatti all’affidamento dei minori. In caso di queste divergenze di opinioni, il genitore alienante trova supporto nel bambino, che sosterrà le sue posizioni ritenendole perfette.
Livelli di classificazione
Gardner distingue 3 livelli di manifestazione della PAS, e prevede trattamenti differenziali in base al livello di gravità manifestato. Si tratta di una divisione da non considerarsi rigida, ma valutabile lungo un continuum. I tre livelli si riferiscono a modelli di funzionamento familiare in cui si evidenziano, quali elementi portanti, l’intensità verbalizzata e la qualità delle relazioni tra il minore ed entrambi i genitori. Inoltre l’autore ha ripetutamente evidenziato la relazione tra il livello della sindrome ed il grado di patologia del genitore alienante. Infatti, il livello di gravità viene determinato dall’”impatto” che la programmazione ha avuto sul figlio, più che dagli sforzi del genitore nella campagna denigratoria.
Secondo numerosi autori potrebbe essere particolarmente insidiosa questa divisione, soprattutto nel caso del livello lieve, essendo il comportamento alienante sottile e subdolo: il genitore alienante potrebbe negare affermazioni e fatti, affermando l’opposto della realtà. La chiave per individuare il comportamento alienante potrebbe risiedere nelle considerazioni verbalizzate del minore nei confronti dell’altro genitore.
Nei casi di PAS lieve gli otto sintomi primari si manifestano in modo superficiale e non viene consigliata psicoterapia. La maggior parte delle volte è sufficiente confermare l’affidamento al genitore alienante in modo da far terminare la campagna denigratoria. Risulterebbero esaustivi interventi del tribunale mirati alla conferma dell’affidamento primario (primary custody), con valutazioni periodiche e verifiche a scadenza.
A questo livello, tendenzialmente, è possibile osservare quattro comportamenti tipici:
a) Sminuire l’importanza che ha per il minore il tempo trascorso con l’altro genitore, dando poca importanza all’evento
b) Una mancata considerazione per le conversazioni tra il minore ed il genitore non affidatario durante le visite
c) Incapacità, del genitore alienante, di tollerare la presenza dell’altro genitore anche in eventi di importanza rilevante per il minore, ricorrendo ad esempio a ricatti: “se viene tua madre alla partita di calcio io non verrò”
d) Non considerare l’importanza, attribuita dal minore, alla figura dell’altro genitore e/o alla relazione con lo stesso.
In questi casi, solitamente, non è necessario un intervento psicologico; l’importante è sensibilizzare gli esperti del settore, onde evitare improprie valutazioni e gestioni delle situazioni. Resta fondamentale rassicurare il genitore alienante che manterrà l’affidamento.
I casi di PAS moderata, invece, costituirebbero la maggioranza dei casi osservati. Sono ravvisabili manifestazioni di tutti i sintomi primari. Il bambino usa parole e scenari presi in prestito dal genitore alienante, a cui è legato in maniera morbosa. In tali casi, il bambino riporta delle difficoltà negli spostamenti tra le due residenze. Nel genitore alienante si riscontra la convinzione che il genitore alienato debba essere considerato disprezzabile e punibile. A questo livello, spesso, si manifestano nei bambini sintomi quali ansia, insicurezza e distorsioni percettive. Tra i comportamenti caratteristici di questo livello riscontriamo:
a) Verbalizzazioni di disapprovazione rispetto alle visite del minore rispetto all’altro genitore
b) Aperto rifiuto nell’ascoltare tutto ciò che riguarda l’altro genitore, soprattutto negli avvenimenti positivi
c) Provare piacere dai fallimenti dell’ex partner, facendo commenti
d) Rifiutare apertamente il contatto fisico con l’ex partner
e) Affermazioni ambivalenti del tipo “dico e non dico” o “dico e poi nego”
f) Accuse sottili (ad es. “tuo padre mi trascura”)
g) Distruggere o eliminare oggetti concernenti o di appartenenza all’altro genitore
A questo livello, il tribunale deve stabilire un sistema di sanzioni efficaci che non deve esitare ad infliggere al genitore alienante, qualora tenti di sabotare il programma terapeutico concordato. Le sanzioni sono di grado crescente, fino a raggiungere la pena detentiva.
La psicoterapia con i figli adotta i principi di “deprogrammazione”, che delineano gli obiettivi del percorso:
– Interrompere l’iter della sindrome
– Riunire genitore alienato e figlio/i.
Con la deprogrammazione il terapeuta deve riportare il paziente alla fase antecedente la programmazione, disattivando certe modalità comportamentali, relazionali ed affettive messe in atto dal bambino durante la denigrazione. Si tratta di un lavoro non semplice, in considerazione del fatto che il bambino è come se avesse rimosso tutti i suoi ricordi positivi col genitore alienato. Infatti, il terapeuta deve dare al minore la possibilità di sperimentare, in una frequentazione priva di ostacoli ed influenzamenti del genitore alienante, che il genitore alienato non è così disprezzabile o pericoloso.
Nei casi di PAS grave i rapporti tra il bambino ed il genitore alienato sono praticamente impossibili, dato che il minore tende a portare il suo astio verso di lui fino al fanatismo, mentre con il genitore alienante instaura un legame simbiotico patologico, fino a raggiungere una vera e propria “folie à deux” (Disturbo Psicotico Condiviso). Questo è lo stadio in cui sono più presenti la concomitanza di programming e brainwashing. Ciò si può evincere anche dalla presenza di manifestazioni paranoiche e acting out che hanno il solo scopo di ferire il genitore e rinsaldare il legame con il genitore programmatore, raccontando anche fatti non veri e gravi come minacce e abusi.
Quando il bambino è obbligato a frequentare il genitore alienato si possono verificare violenti episodi di rabbia e aggressività incontrollata che, in casi estremi, può addirittura sfociare in tentativi di suicidio o omicidio dell’altro.
Questo rapporto esclusivo con il genitore alienante può portare, nel minore, alla formazione di squilibri a livello psichico, in particolare all’insorenza di una psicopatologia a matrice paranoidea. Si tratta di una vera e propria “relaziona invischiata” tra minore e alienatore, in cui il bambino tenderebbe a far propri desideri e volontà del genitore alienante.
Tra i comportamenti indicativi in caso di PAS grave si osservano:
a) False dichiarazioni sull’altro genitore e sulla sua storia passata, in mancanza di riscontro reale
b) Includere il minore come vittima del comportamento considerato pericoloso o altamente scorretto
c) Ipercriticismo verso l’altro, anche in riferimento a cose di scarsa rilevanza
d) Chiedere ai minori di tenere all’oscuro l’altro genitore rispetto alla propria quotidianità
e) Minacciare il minore di “rottura” o di “cancellazione” del legame affettivo
f) Assenza totale di benevolenza, gentilezza verso l’altro genitore.
In questi casi è necessario mettere in atto misure severe. Il primo passo da fare consiste nel trasferire la custodia primaria al genitore alienato (nella maggior parte dei casi). Si tratta di un passaggio che non avviene in modo immediato, ma si muove attraverso delle sistemazioni intermedie (casa di un amico o parente, comunità alloggio o, addirittura, ospedalizzazione).
Questo percorso viene stabilito dal Tribunale e si chiama “Transitional Site Program”, gestito e guidato da uno psico-professionista. Il tutto volto a facilitare la separazione tra genitore alienante e bambino e, parallelamente, un riavvicinamento col genitore alienato.
Per una corretta diagnosi
Al fine di formulare una corretta diagnosi di PAS è necessario prestare molta attenzione, onde evitare di cadere in errori piuttosto comuni.
È opportuno partire dal considerare il fatto che non tutte le manifestazioni di preferenza verso un genitore rappresentano indice di indottrinamento e/o programmazione, ma potrebbero essere spiegate come naturali preferenze ascrivibili a fattori socio-bio-psicologici (quali, ad esempio, l’età ed il sesso del bambino, il tempo trascorso assieme ai genitori, lo status economico etc.)
Altro dato importante, per diagnosticare una PAS, consiste nel riscontrare un coinvolgimento attivo e volontario da parte del genitore alienante; non è possibile, infatti, individuare la sindrome quando vengono a mancare tali presupposti ed il bambino, spontaneamente, tira le somme di una situazione spiacevole da lui vissuta, propendendo per l’uno o l’altro genitore.
È necessario, inoltre, analizzare due aspetti importanti:
– L’ostilità ed il rifiuto = non sempre queste due “dimensioni” implicano la presenza di PAS. Esistono cinque fattori che permettono di discriminare la presenza o meno della sindrome:
–sono circoscritti in un periodo temporale
-sono occasionali
-si presentano solo in determinate situazioni
-coesistono con espressioni di amore genuino e di affetto
-sono diretti ad entrambi i genitori
– La resistenza a manovre di alienazione = esistono delle variabili distintive che permettono di essere più o meno vulnerabili all’alienazione. Sono elementi relativi allo stadio di sviluppo cognitivo ed emozionale ( età e capacità cognitive del bambino, sentimenti d’abbandono sperimentati nei confronti del genitore bersaglio, temperamento e personalità del minore etc.)
Da considerare il fatto che vi sono casi in cui l’alienazione non è relativa alle manovre alienatorie del genitore alienante, ma potrebbe essere una risposta all’abuso o ad altre forme di trascuratezza, o magari al fatto di aver assistito a violenze domestiche. Esistono, inoltre, situazioni in cui l’alienazione coincide con il rifiuto o il senso di tradimento che il bambino sperimenta poiché il genitore si risposa (in questi casi si manifesta la cosiddetta “auto-alienazione del bambino”).
L’acquisizione di potere del bambino
Un aspetto particolarmente importante riguarda l’acquisizione di potere del bambino nello sviluppo della PAS, che rappresenta una questione centrale. Il bambino, riguardo all’indottrinamento del genitore alienante, ha un ruolo attivo: infatti, a volte sceglie di appoggiare il genitore programmante per paura di perdere il suo amore, anche se in verità vorrebbe che qualcuno “sbloccasse” la situazione. È il “potere acquisito” che contribuisce alla continuazione del comportamento di rifiuto del genitore bersaglio. L’acquisizione di potere si può individuare in ciascuno degli otto sintomi della PAS descritta da Gardner.
Il bambino acquista potere:
1) Riproponendo acriticamente le accuse che il genitore alienatore formula verso il genitore alienato;
2) Nel verificarsi del sintomo del pensatore indipendente, nel quale ammetterà di essere libero di formulare i suoi pensieri e, quindi, non manovrabile dal genitore alienante. È tale atteggiamento che gli permette di sentirsi sempre più potente, poiché sa che è quello che si aspetta il genitore alienante e non vuole assolutamente contraddirlo;
3) Nel pronunciare frasi e parole che non sono proprie del linguaggio di un bambino. Si tratta della ripetizione di vocaboli troppo complessi da poter essere correttamente compresi dai minori. Sono parole vuote prive del senso reale, dotate esclusivamente di un valore provocatorio ed usate, intenzionalmente, per ferire.
Si tratta di un circuito che si auto-alimenta, poiché il bambino si rende conto di “suscitare interesse” in chi lo ascolta e ciò lo induce a perseverare nei suoi comportamenti, che possono essere alimentati da coloro che sono coinvolti: il genitore alienato e/o gli appartenenti al sistema giuridico. Nel primo caso il genitore, in modo inconsapevole, può assumere atteggiamenti passivi, spinti dal terrore che qualsiasi cosa dica o faccia possa entrare a far parte della campagna di programmazione. Nel secondo caso, l’utilizzo dei mezzi “freddi” del mondo del diritto possono contribuire a peggiorare una situazione già critica: il giudice, nei casi un cui è presente la PAS, può commettere errori. Questo avviene perché il sistema legale, avvocati, assistenti sociali e alcuni psicologi, prendono molto sul serio accuse, spesso false, come abusi sessuali mai avvenuti, e si comportano come se il minore non potesse mai mentire. Il giudice può ammonire il genitore alienante a far cessare i comportamenti errati ma ciò è facilmente eludibile, poiché non è necessario che comportamenti e accuse siano esplicite. Sono sufficienti sguardi, occhiate, gesti, per continuare il programma di denigrazione.
Altri problemi sono relativi agli innumereovli errori commessi da parte degli operatori nel condurre il colloquio con i bambini. Nel rivolgersi a loro, infatti, tendono a farli sentire potenti e al sicuro. Questi sentimenti sperimentati portano il bambino a sentirsi così importante da necessitare di protezione ma, al contempo, può sviluppare paure e ansie immotivate. Inoltre, dire al bambino che è giusto che lui sia arrabbiato col genitore alienato non è sano, in quanto indurrebbe un accrescimento dell’astio nei confronti del genitore-vittima e portare ad invidivuare il terzo come alleato.
L’acquisizione di potere, come la violenza emotiva, può comportare conseguenze importanti sullo sviluppo del minore, sia nel breve che nel lungo termine. Esempi in merito possono essere il fatto che il bambino non riconosca più l’autorità, che sviluppi un forte narsisismo, o che presenti un indebolimento delle capacità empatiche.
Dott.ssa Cecilia Pecchioli Catelani
Psicologa
Perfezionata in Psicopatologia forense