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Sindrome di Alienazione parentale e patologia della famiglia

Psicologia giuridica

Sindrome di Alienazione parentale e patologia della famiglia

sindrome-di-alienazione-genitoriale                        I BAMBINI IMPARANO CIO’ CHE VIVONO

Se un bambino vive nell’ostilità impara ad aggredire.

Se un bambino vive nella vergogna impara a sentirsi colpevole.

Se un bambino vive nell’incoraggiamento impara ad avere fiducia.

Se un bambino vive nella lealtà impara la giustizia.

Se un bambino vive nell’accettazione e nell’amicizia impara a trovare

l’amore nel mondo.

( Doret’s Law Nolte )

 

La PAS (dall’inglese Parental Alienation Syndrome) Sindrome da Alienazione Genitoriale è un fenomeno sempre più osservato nelle cause di separazione ed affido di minori e consiste in un’azione di screditamento più o meno consapevole da parte di un genitore sull’altro che va a determinare un vissuto di “alienazione” appunto, di distacco emotivo, del minore verso l’adulto vessato.

Essa può essere considerata una vera e propria forma di abuso emotivo nei confronti del bambino. Abuso risultante, secondo la definizione di Gardner, dalla combinazione di un programming (lavaggio del cervello), degli indottrinamenti del genitore e dei contributi propri del bambino alla diffamazione del “genitore obiettivo”, che di solito sorge nel contesto delle dispute sulla custodia del bambino.

Nella maggioranza dei casi avviene che una madre (il genitore alienante – AP) fa di tutto per mettere in cattiva luce il padre (il genitore alienato – TP) agli occhi del bambino, per allontanare quest’ultimo da lui. Quello che si osserva in seguito, principalmente, è la compromissione del rapporto tra il bambino ed il genitore alienato. Naturalmente si può riscontrare anche il caso inverso in cui il padre è il genitore alienante e la madre quello alienato.

Il genitore alienante provoca la distruzione del legame tra l’altro genitore ed il bambino e le conseguenze di questa azione potrebbero protrarsi per tutta la vita.

Nella Sindrome d’Alienazione Parentale si assiste, dunque, alla creazione di una relazione singolare tra un bambino ed un genitore, la quale comporta l’esclusione dell’altro genitore. Il bambino completamente alienato è un bambino che non desidera avere alcun contatto con il genitore denigrato e che esprime sentimenti solamente negativi per quel genitore e sentimenti solamente positivi per l’altro. Conseguenza di ciò è l’alterazione dei sentimenti del bambino per entrambi i genitori e, quindi, la perdita di un normale equilibrio. È psicologicamente dannoso per un figlio essere privato di una relazione sana con un genitore.

Il “programming”, che si osserva nelle situazioni in cui la PAS è presente, è, spesso, un comportamento agito già da diverso tempo all’interno della famiglia e che, semplicemente, aumenta di significatività dopo la separazione. Il genitore alienante è considerato il principale responsabile della programmazione del bambino, poiché è lui che mette in moto il processo. Si tratta di uno scenario relazionale di grave violenza psicologica ai danni di un bambino o di un adolescente. Infatti, è una condizione relazionale che produce effetti gravi sullo sviluppo psicoemotivo.

 

Interventi terapeutici al confine tra psicologia e giustizia 

La riuscita di un intervento sulla PAS richiede la collaborazione congiunta sia degli psico-professionisti che degli operatori della giustizia (Waldron e Joanis, 1996). Il modello terapeutico di Gardner (1999b) prevede un approccio integrato tra disposizioni del tribunale ed interventi psicoterapeutici. Nei casi di PAS di tipo lieve, solitamente, non è necessario alcun intervento psicologico, ma basta rassicurare il genitore alienante che manterrà l’affidamento.

Nei casi di PAS di tipo moderato, che sono i più comuni, il tribunale deve stabilire un sistema di sanzioni efficaci che non deve esitare ad infliggere al genitore alienante, qualora tenti di sabotare il programma terapeutico concordato con lo psicoterapeuta. Le sanzioni sono di grado crescente, fino ad arrivare al carcere.

La psicoterapia con i figli adotta principi simili a quelli della deprogrammazione (deprogramming) attuata con i prigionieri che sono stati indottrinati dalla propaganda nemica, subendo il lavaggio del cervello, al punto di arrivare a manifestare una pubblica avversione verso il loro paese d’origine. Lo psicoterapeuta deve imparare a non prendere troppo sul serio le lamentele dei figli, e capire che accontentare eccessivamente i loro desideri di respingere il genitore alienato non va nel loro interesse.

Naturalmente, la migliore terapia consiste nel dare ai figli la possibilità di sperimentare, in una frequentazione priva di ostacoli ed influenzamenti del genitore alienante, che il genitore alienato non è così disprezzabile o pericoloso, come loro pensano.

Il genitore alienato, invece, è spesso alquanto confuso a proposito di cosa stia accadendo, e incapace di gestire il rapporto coi figli. Quanto più riceverà informazioni e spiegazioni sul meccanismo della sindrome, tanto più riuscirà a ben orientare le sue reazioni nei confronti delle ostilità dei figli.

Innanzi tutto, deve essere rassicurato rispetto alla paura di non essere più amato dai figli. Paradossalmente, è proprio la loro animosità che deve rassicurarlo e fargli comprendere che, finché lo odieranno, egli non gli è del tutto indifferente. Inoltre, il genitore alienato deve essere aiutato a “indurirsi”, a “tener duro”, e a non prendere seriamente le svalutazioni dei figli.

Deve essere aiutato a capire che l’ostilità è una sceneggiata in favore del genitore programmante, dovuta alla paura di inimicarselo, specialmente se esprimessero affetto verso il genitore alienato.

 

Il caso di Sandra

Sandra è una ragazza di 15 anni che vive nel contesto di un aspro conflitto familiare dopo la separazione. La conflittualità non risolta rende impossibile al padre di partecipare alla vita della figlia, che è affidata alla madre. Questa, spalleggiata dai suoi parenti, ha accusato l’ex marito di aver commesso maltrattamenti sia su Sandra che su di lei; maltrattamenti che, in realtà, non sono mai avvenuti. Sono diversi anni che gli viene impedito di vedere la figlia. Ella, schierata con la madre e i parenti, ha reso dichiarazioni accusatorie contro il padre.

Nonostante ciò, il padre insiste nel tentativo di riavvicinarsi a Sandra, anche sapendo di correre il rischio di esporsi ad ulteriori false accuse. La ragazza minaccia il padre quando viene a cercarla: “Se non la smetti di venire a cercarmi, alla prossima udienza andrò dal giudice a dire che tu sei voluto entrare in casa con la forza e hai preso mamma a parolacce, e sai bene che il giudice crederà a me e non a te”.

La ragazza scriverà al giudice una lettera piena di false dichiarazioni. Nonostante il padre si prodighi producendo a propria discolpa un elenco di testimoni e le loro dichiarazioni, tuttavia, subirà un decreto di limitazione della potestà genitoriale e verrà condannato penalmente.

 

Conclusioni

Allontanare l’odiato ex partner dal figlio può sicuramente corrispondere all’interesse del genitore,ma sicuramente non a quello del figlio.L’interesse del figlio è quello di disporre di entrambi i genitori, e, se possibile, che siano ancoracapaci di collaborare e favorire i rapporti, sia con l’altro genitore che con il relativo ramoparentale; quello che può essere definito come cogenitorialità (Mazzoni, 2002), o bigenitorialità (Eurispes, 2005, Nestola, 2005).

Indipendentemente dai differenti fattori che possono entrare in gioco in ogni singolo caso, dobbiamo riconoscere che il fenomeno esiste. Qualunque ne sia la causa, è un problema col quale dovremo confrontarci sempre di più, nei casi di figli contesi a seguito di separazioni.

Come abbiamo visto, i tribunali sono il luogo dove le relazioni familiari vengono reificate, e la sofferenza può restare priva di un convincente perché alla disperante perdita di senso e di storia. Il compito degli psico-professionisti è quello di riuscire ad inserirsi all’interno di questo doloroso cammino, evitando che il fallimento e il disorientamento si trasformino in agiti (acting-out) econflittualità giudiziaria, inasprendo ulteriormente una situazione già compromessa. L’unico modo per evitare questo danno aggiuntivo (Salluzzo, 2004a) è che i professionisti dell’ambito giudiziario e quelli dell’ambito psicologico imparino a lavorare fianco a fianco, sia per tutelare i diritti di ognuno, sia per cercare di ridare un senso ed una progettualità alle famiglie separate. Fino a quando non verranno prese in considerazione le motivazioni, perlopiù inconsce o non dichiarate, che animano i conflitti familiari, difficilmente la giustizia, da sola, riuscirà a gestire efficacemente le separazioni.

 

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