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La terapia della Gestalt: video-intervista a Riccardo Zerbetto

riccardo zerbetto
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La terapia della Gestalt: video-intervista a Riccardo Zerbetto

riccardo zerbettoRiccardo Zerbetto è specialista in Neuropsichiatria Infantile e per adulti.  E’ direttore del Centro Studi di Terapia della Gestalt, istituto riconosciuto dal Ministero dell’Università e della Ricerca scientifica e tecnologica per lo svolgimento di corsi professionali nella Psicoterapia con sede a Milano.

Ha lavorato per oltre venti anni in servizi di salute mentale e per le tossicodipendenze per le quali è stato consulente e supervisore delle comunità terapeutiche del Comune di Roma, nonché consulente del Ministero della Sanità nel 1980. E’ co-fondatore e ex presidente di Alea, associazione per lo studio del gioco d’azzardo e direttore scientifico di Orthos, associazione che gestisce un programma intensivo per giocatori in ambito residenziale finanziato dalla regione Toscana.

Indice

01:02 La concezione del disagio  e della persona secondo la Gestalt

04:48 Le leve per promuovere il cambiamento

07:27 Relazione psicologo – paziente e concetto di limite.

12:57 Radici teoriche dell’approccio gestaltico

16:30 Tecniche utilizzate nella terapia della Gestalt

19:42 Sbocchi lavorativi

21:19 Testi di riferimento e suggerimenti ai giovani psicologi

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Sbobinatura intervista

***

Riccardo Zerbetto: Della Gestalt si dice un po’ che è a cavallo fra la psicoanalisi e il comportamentismo, perché da valore al vissuto, però poi ti dice di agirlo. La consapevolezza è importante, però Perls chiedeva ” so what?” adesso come te la giochi? Cerchiamo di non fermarci solo all’aver capito, ma ad adottare la cosiddetta mise en action

Luca Mazzucchelli: E’ una bella sfida essere a cavallo tra psicoanalisi e comportamentismo Riccardo…

RZ: Bisogna stare con i piedi in due staffe, sennò non si sta a cavallo…

***

LM : Un saluto a tutti da Luca Mazzucchelli, oggi parliamo di psicoterapia della Gestalt e lo facciamo con un ospite d’onore, Riccardo Zerbetto, che è il fondatore e direttore del Centro Studi di Terapia della Gestalt. Riccardo grazie per essere qui con noi.

RZ: Grazie a te…

LM: A proposito di Gestalt, quale può essere la concezione del disagio e della persona secondo questo approccio?

RZ: La Gestalt evoca questo concetto delle gestalt incompiute, quei conti in sospeso, quelle cose non concluse, quelle situazioni aperte che ci impediscono di essere totalmente nel presente.

Sono rimozioni, timori o fantasie e desideri che ci portano in un oltre, in un futuro, ci fanno riassorbire nel passato, che ci impediscono nell’essere pienamente noi stessi nella relazione, nell’incontro, nell’interazione Io – mondo . Il Sé, questo concetto che Perls sviluppa negli anni ’50, è sull’interazione Io – mondo, quindi una concezione interazionista, non esiste un individuo che si può considerare come avulso dal contesto di appartenenza. Quindi in questa osmosi, in questo “come” che noi ci decliniamo nel mondo, il nostro essere è un esserci come ci dice Heidegger. La Gestalt è una derivazione dall’impostazione fenomenologica in cui noi siamo in contatto, non è solo una comunicazione in codice, semiologica, fatta di cifre, ma fatta di odori, di sapori, di tutti i sensi, quindi l’aspetto sensoriale, emozionale e corporeo è molto importante nel nostro essere al mondo. Il corpo non è uno ostacolo ma può esserlo, intendendo come vero Sé la psiché o  come diceva Cartesio il cogito, ma fa parte di noi quindi tanto vale assumerlo pienamente, siamo nel mondo, ci siamo declinati nello spazio – tempo inevitabilmente quindi meglio assumerlo pienamente.

LM: Una concezione di co – costruzione, se ho ben capito… il focus è tra le persone più che dentro la persone… è giusto?

RZ: Esiste un contatto con il mondo interno, che Perls chiama funzione esseri, ricollegandosi un po’ alla psicoanalisi, che però non  è soltanto un Sé istintuale e corporeo, è tutto ciò che riguarda la dimensione del mondo interno quindi fantasie, pensieri, sensazioni e un impatto con il mondo esterno. Noi siamo al confine fra mondo interno e mondo esterno, in questo senso  la Gestalt centra anche a livello epistemologico la sua collocazione come terza via [tra psicoanalisi e comportamentismo].  Quindi non ci interessa solo la dimensione intrapsichica o solo quella comportamentale dell’agito. Noi siamo con i piedi in due staffe, oscilliamo continuamente fra  un vissuto e un agito, un comportamento ci rimanda a delle sensazioni e delle emozioni, le emozioni si traducono in comportamenti e quindi è questa oscillazione che ci porta continuamente ad affacciarci più in un mondo interno, che se si tratta di una persona introversa magari ci sta anche troppo e viene risucchiato da questo mondo interno, oppure ci spariamo nell’interazione con il mondo esterno, però perdendo il contatto con il mondo interno. Un Sé nella sua forma funzionale sana sta nel duplice contatto, in questa capacità di stare in contatto con noi stessi e con il mondo.

Leve per promuovere il cambiamento nel paziente.

LM: Perfetto, molto chiaro grazie… Quali sono le leve, le chiavi per promuovere il cambiamento all’interno delle persone?

RZ: Nella Gestalt esiste un tema interessante noto come il paradosso di Beisser, è un autore che ha scritto poco, poco ma buono. Essendo un paradosso, come lui stesso lo definisce, parte dal fatto che per cambiare dobbiamo accettarci. Il cambiamento implica sempre un turbamento, “chi lascia la strada vecchia per quella nuova sa quel che lascia, ma non sa quel che trova”. Se non abbiamo un radicamento sull’esistente, se non partiamo da ciò che siamo è difficile protenderci verso un altro, un altrove, senza avere una base sicura da cui partire.

Io mi occupo di giocatori di azzardo, è importante anche fare il bilancio della situazione economica, che può essere tragica in certi casi, ma il cambiamento parte soltanto con una presa di coscienza profonda, non sulla situazione reale, con un atto di consapevolezza che può essere molto difficile. Solo da lì possiamo ripartire per una costruzione che non sia un costruire sull’inganno, sull’illusione, sulla rimozione, di fatti che ci sono, ma che perpetuiamo nel negare. Dobbiamo partire da quello che c’è e solo assorbendo e avendo anche accettazione, autocomprensione, autocompassione, accettando pienamente quello che siamo, possiamo muoverci verso un cambiamento.

LM: Quindi primo comprendere, secondo accettare e soprattutto in questa situazione anche capire quelle che sono le risorse, Lei dice che si lavora con quello che c’è chiaramente…

RZ: Sì le risorse sono dentro di noi, talenti magari non ascoltati, a cui non abbiamo dato la possibilità di esprimersi, le risorse attorno a noi ed è proprio quando il mondo interno e il mondo esterno, risorse ambientali e risorse interne entrano in contatto che avviene quel click che può portare a qualcosa di effettivamente nuovo nella nostra vita.

Relazione psicologo – paziente e concetto di limite.

LM: Unire queste due dimensioni per generare un qualche cosa di nuovo. Che tipo di relazione si instaura tra lo psicologo e il suo cliente? In base agli approcci di riferimento ci possono essere relazioni molto diverse tra loro: c’è chi parla tanto, chi resta in silenzio, chi da degli esercizi… come funziona la terapia della Gestalt?

RZ: Si dice che lo strumento di cura è, come in altre terapie ma nelle Gestalt è molto esplicito, la relazione. Cosa voglia dire questo non è cosi scontato, sappiamo che i fattori cosiddetti aspecifici sono più importanti di quello che pensiamo, però sostanzialmente possiamo ricondurli come dicevamo in premessa alla capacità di esserci. E’ importante quindi avere la consapevolezza dei nostri limiti, anche il terapeuta è importante che abbia consapevolezza dei suoi limiti, che sia una persona autentica, anche in difficoltà in certi casi, ma che non reciti la parte del bravo terapeuta che sa tutto, che non ha problemi, che può vendere un po’ bleffando quello che non ha no? E’ una ricerca che facciamo insieme, con l’accettazione dell’esistente e da lì è un percorso, un accompagnamento. Un po’ è il modello di Virgilio, un descensus ad inferos…quindi un accompagnamento discreto, forte in certi casi, attivo poiché la Gestalt deriva in parte  dall’insegnamento di Ferenczi quindi che sa cogliere, sa accettare dei lunghi silenzi, stare nel vuoto che noi chiamiamo vuoto fertile. Qualche cosa deve nascere soprattutto dal paziente, non è tanto l’indicazione del terapeuta, quanto un ascolto profondo che permette al daimon, la voce interiore, di farsi sentire. Noi siamo profondamente maieutici e quindi più che manipolare e aggiustare, indurre un cambiamento partendo dall’esterno, cerchiamo di far emergere dalla persona quegli spunti di cambiamento, quegli spiragli, quelle prospettive di vita diversa. E’ un parto ogni volta, perché la maieutica è assistere ad un parto, dobbiamo saper fare un grande vuoto a volte perché questo bambino venga fuori. Il movimento è proprio questo, accompagnarlo in questo processo e sostenerlo poi nell’impatto poi con la realtà, con le difficoltà, con i fantasmi inibitori e ripete un po’ il paradigma del percorso,  dell’accompagnamento.

LM: Mi sembra che sia un tema ricorrente quello del limite, però non come un qualche cosa che separa, ma come un qualche cosa che metta in contatto. Perché ad esempio come prima si diceva, anche i limiti del terapeuta fungono da strumento per creare e rinforzare una relazione. Prima ancora si parlava del limite del  confine tra il dentro e il fuori, però poi se devo associare un qualche cosa alla parola Gestalt a me vengono in mente quelle immagini che hanno doppi significati, mi sembra che anche questa parola limite da un punto di vista gestaltico venga utilizzato non tanto come un qualcosa che separa, ma come un ponte, un qualcosa che mette in contatto e rinforza…

RZ: Hai ragione, c’è un aspetto duplice, una barriera contatto. Noi usiamo sempre questo termine che poi ha usato anche Freud nel suo progetto di psicologia, parla proprio di Kontaktschranke Peripherie ed evoca un po’ l’ idea della pelle, che poi verrà ripreso da Didier Anzieu con le Moi – Peau ed in effetti la pelle ci definisce e ci delimita dall’ambiente, ma ci permette anche di entrare in contatto con l’ambiente, senza pelle non saremmo in contatto e anche gli organi senso, la vista l’udito e l’olfatto non sono che differenziazione dell’ectoderma, della pelle… quindi la pelle ha proprio questa duplice funzione di mettere in contatto e di delimitare. Nell’evoluzione che è stata fatta di questo concetto anche il Sé io lo chiamo membrana, è come una specie di pelle, noi siamo al confine fra mondo esterno e mondo interno, quindi possono avvenire operazioni di diverso tipo. Questa membrana può essere un colabrodo, poco capace di differenziare e la chiamiamo confluenza se è indifferenziata, oppure c’è una specie di corazza impermeabile. Vi sono sei o sette di queste modalità a cui riconduciamo un po’ le funzioni del Sé, che però ci riportano a quel concetto che tu avevi individuato… questo io che è proprio al confine tra un mondo interno e un mondo esterno.

Radici teoriche dell’approccio gestaltico.

LM: Abbiamo parlato di molti autori, Freud, Ferenczi…quali sono le radici teoriche di questo tipo di approccio?

RZ: La Gestalt è un fiume con molti affluenti, però ci tiene molto a non dirsi eclettico. La Gestalt per sua definizione è più che la somma di ingredienti costitutivi, è come se questi ingredienti subissero un processo di sintesi che li fa essere anche qualcosa d’altro, come l’ossigeno e l’idrogeno quando diventano acqua sono un’altra cosa da due gas sommati. E nella Gestalt troviamo proprio questo processo di sintesi, che nasce dalla psicoanalisi, Perls è stato uno psicoanalista poi è stato paziente ed allievo di Karen Horney [psichiatra e psicoanalista tedesca], ha integrato tutto l’aspetto culturalista, perché il disagio è diverso per uno che vive a Manhattan rispetto ad uno che vive nel Borneo…è stato allievo e paziente di  Reich [medico e psicoanalista austriaco], quindi ha sviluppato un’attenzione al corpo, alle difese, alle corazze caratteriali, il nostro essere il corpo, non avere il corpo. E’ stato un gestaltista non tanto come studioso dei fenomeni della percezione, quanto ha saputo cogliere il perché una gestalt incompiuta, una specie di anima sua ci chiede di auto – compiersi. E’ una questione parecchio misteriosa sulla quale Perls si è molto interrogato. Sono quelle cose che richiedono una certa attenzione nella misura in cui non si completano. Anche alla figura ambigua che porta alla polisemia, al fatto cioè che come nel sogno c’è un po’ tutto, tutte le parole possono voler dire più cose, dipende dal contesto, quindi torniamo nel rapporto individuo – ambiente, che contestualizza e dà significato. E’ molto importante l’autoregolazione organismica di Kurt Goldstein, il processo di guarigione come in una ferita che è autogena in gran parte, la nostra funzione è tenere ben pulita la ferita, tenere i lembi vicini, ma il processo di guarigione è miracoloso e complesso e avviene per virtù propria. C‘è poi l’elemento della drammatizzazione, Perls era un appassionato di teatro, lui si diceva un attore mancato e quindi ha portato nel suo lavoro non il  “parlare di”, ma il far avvenire gli eventi. Questa è una tecnica potente di accelerazione in cui noi ci permettiamo di esserci tutti, non soltanto a livello cognitivo, ma anche corporeo ed emozionale nel momento in cui agiamo una situazione. Potrei andare avanti, c’è anche la semantica giapponese e non ultimo lo zen, adesso va un po’ di moda ma nella Gestalt fa parte del DNA, proprio perché lavora sulla consapevolezza, lasciar emergere la percezione dei vissuti, delle emozioni fa parte del lavoro sulla consapevolezza che è un po’ lo sfondo e la base su cui noi cerchiamo di lavorare.

Tecniche utilizzate nella terapia della Gestalt.

LM: Ci puoi raccontare una delle tecniche che vengono utilizzate per lavorare su questi elementi che hai citato?

RZ: C’è la drammatizzazione che tocca un po’ l’aspetto più famoso della Gestalt, conosciuta più per le sue tecniche che per la ricchezza della sua epistemologia, che è il fondamento su cui le tecniche trovano il loro significato. Per fare un esempio, tu sei il mio terapeuta e io devo parlarti della lite che io ho avuto con il mio capo ufficio, tu potresti dirmi: “Senti, ma invece di parlarmi di che spesso è aboutistico come direbbe Perls, mettiamo lì sulla sedia il tuo capufficio e vediamo un po’ cosa vorresti dirgli che non sei riuscito a dire.” Questo comporta un salto notevole nella relazione, perché non è più un parlare di, ma un parlare a. In questo momento mi gioco totalmente nel qui ed ora, non dico qualcosa che è successo ieri o che potrebbe succedere domani, ma succede qui, adesso e quindi incontro tutte le mie difese, le mie paure, la mia rabbia e tutto quello che c’è in ballo. Nel momento in cui io esprimo queste cose, che è più di una simulata perché sono miei e autentici vissuti, creo una situazione in cui la realtà interna trova una forma transizionale, perché esce dall’interno per esplicitarsi all’esterno, anche se magari è un cuscino e non il mio capufficio, però questo permette di agire e non lo facciamo solo su un insight, su una comprensione, ma anche su un vissuto, io sono totalmente lì nel momento in cui mi gioco in questa relazione.

LM: Un esempio che spiega bene il focus sull’accettare, l’apprendere, ma anche sul fare, perché poi sono cose concrete quelle che fai in seduta: presentifichi e interagisci con queste cose nel qui ed ora…

RZ: Infatti si dice della Gestalt che è un po’ a cavallo fra psicoanalisi e comportamentismo perché  dà valore al vissuto, però ti dice anche di agirlo. La consapevolezza è importante, però Perls chiedeva: “so what?” adesso come te la giochi? Cerchiamo di non fermarci solo all’aver capito, ma ad adottare la cosiddetta mise en action, che non è l’ acting out che la psicoanalisi un po’ svaluta come sostituto della comprensione e della simbolizzazione, ma è un inizio di trasferimento nella vita concreta di un’ intuizione, perché si passa da un mondo interno intrapsichico ad una realtà che tu ti stai giocando nel confronto con la realtà reale.

LM: E’ una bella sfida essere a cavallo tra psicoanalisi e comportamentismo Riccardo…

RZ: Bisogna stare con i piedi in due staffe, altrimenti non si sta cavallo…

Sbocchi lavorativi

LM: Per tutti i colleghi che volessero un po’ chiarirsi le idee sui vari approcci psicoterapeutici, che tipo di impieghi, di sbocchi, ambiti lavorativi ci sono se si segue una formazione di questo genere?

RZ:  Sono tutti gli ambiti della psicoterapia, adesso un po’ tutti facciamo tutto… Il percorso gestaltico ti dà un grande vantaggio: più che avere dei flow chart, degli schemi, hai la possibilità di esserci, di giocarti nella situazione quale che sia. L’enfasi che viene data alla relazione individuo – ambiente riprende tutto il tema delle milieu therapy [terapia contestuale], delle comunità terapeutiche. Io ho fondato le comunità nel Comune di Roma, adesso ho questo programma per i giocatori d’azzardo di tre settimane intensive. L’elemento comunitario è importante, io stesso ho avuto una formazione relazionale e quindi si assorbe molto questo tipo di lavorare o sull’individuo o sul contesto, ma soprattutto sull’interazione individuo – contesto. Il contesto può essere una famiglia, una coppia, un’organizzazione, una comunità più allargata… La Gestalt è uno scheletro molto essenziale di riferimento, nel quale uno poi sviluppa una maggiore attenzione per il lavoro corporeo, relazionale, sistemico o sull’organizzazione.

Testi di riferimento e consigli ai giovani psicologi.

LM: A questo proposito ti vengono in mente magari dei libri, delle letture da suggerire a chi abbia voglia di approfondire? Il tempo non è mai sufficiente per poter andare nei dettagli, La Gestalt: terapia della consapevolezza scritto da te Riccardo ad esempio…

RZ: Si questa è una sintesi…i testi classici di Perls, Goodman, Hefferline Gestalt Therapy: Excitement and Growth in the Human Personality, quindi eccitamento e crescita nella personalità umana edito in Italia da Astrolabio. Il primo libro di Perls è molto interessante L’Io, la fame e l’aggressività, ha un titolo un po’ particolare, ma merita sottolineare che il senso è quello etimologico dell’ad gredior: L’Io, la fame, vado verso, quindi l’Io non è cogito ergo sum, ma si definisce nel movimento di senso, di direzione. Talete diceva più o meno la stessa cosa, i viventi si muovono e si muovono verso qualcosa. Che cosa li fa muovere? Il desiderio, un oggetto che smuove… è dove noi ci blocchiamo o sviluppiamo un atteggiamento orale passivo che il nostro Io non si sviluppa. L’Io per essere soggetto deve essere soggetto di un movimento, di un’azione finalizzata. In questo titolo c’è già un po’ il senso di quello che l’autore voleva trasmettere, per Perls è un contributo che voleva quasi mettersi non dico a confronto con quello Freud, ma in effetti la fame è il principio di conservazione dell’individuo, mentre Freud si è focalizzato sul principio di conservazione della specie, però ci sono tutti e due. Noi uccidiamo esattamente come gli animali che fanno a cornate per il territorio e per l’accoppiamento, Perls ha questa grande intuizione in cui noi ci muoviamo fra queste due polarità. C’è poi La terapia gestaltica parola per parola sempre di Perls e L’approccio della Gestalt: Testimone oculare della terapia… c’è una certa produzione, ma noi gestaltisti siamo nati per essere più per la vita vissuta, Perls diceva: “non amo l’umanità al punto da chiudermi in una biblioteca” però ogni tanto ci tocca anche scrivere…

LM: Un suggerimento da dare ad un giovane psicologo, un giovane collega che abbia voglia di meglio orientarsi fra i diversi approcci che ci sono in psicologia… Tu come hai fatto?

RZ: Non so se essere un ottimo esempio o pessimo, perché ne ho fatte talmente tante che nel mio curriculum esito a riportarle, perché chi legge potrebbe pensare che sono un patologico di professione visto che ho fatto tante terapie… Sono tutte tanto affascinanti, io ho scritto poi Fondamenti comuni e diversità di approccio in psicoterapia, che raccoglie 12 di questi orientamenti. Io li avrei fatti tutti, perché tutti hanno una focalizzazione interessante. Mi ricordo quando facevo il militare a Roma, su sei giorni ogni giorno ne facevo una diversa, passando dalla psicoanalisi al comportamentismo ecc ecc. Consiglio ai giovani colleghi di curiosare, di sentire… Non è come un matrimonio, ma te lo devi sentire. Io ne ho fatte tre di formazioni, bisogna andare aldilà di scegliere quella definitiva, eterna e irreversibile. L’importante è godere dell’esplorazione, della curiosità, dell’apprendimento e di mettersi in gioco ogni volta perché è veramente un’avventura.

LM: Ti ringrazio, sei stato molto gentile e molto chiaro Riccardo..

RZ: Stai facendo un’ottima cosa, io ringrazio te e a nome anche di quelli che godono di questa tua bella intuizione…

LM: Grazie troppo gentile Riccardo…

RZ: Ciao…

 

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