Uno psicologo nei Lager – Viktor Frankl – libri per la mente
E’ un libro molto breve ma molto intenso, scritto da uno psichiatra che ha vissuto per diversi anni in un campo di sterminio, peraltro unico sopravvissuto della sua famiglia.
Non è però un libro come gli altri che ho letto sul tema dei campi di concentramento, si discosta dai classici (e super consigliati) “diario di Anna Frank” e “la notte” di Elie Wiesel perché quello che viene fatto in questo libro è una profonda analisi psicologica della vita nei lager e delle 3 fasi che i prigionieri hanno dovuto affrontare: la fase dell’accettazione del campo di concentramento; la fase della vita vera e propria nel lager, e per chi ci è arrivato la fase successiva la rilascio.
Le tre cose che più mi sono rimaste da questo libro…
1) Il tema dell’umorismo nel campo di concentramento, che Frankl vede – anche in contesti così estremi – come un’arma dell’anima nella lotta per la conservazione.
L’umorismo crea un distacco rispetto a ciò che fa soffrire, e mette gli uomini al di sopra di una certa situazione.
Mi è piaciuto quando Frankl racconta di avere educato all’umorismo un amico anche lui internato nel lager, proponendogli che ogni giorno avrebbero inventato una storia allegra, anche prendendo in giro le cose terribili che accadevano loro nel lager.
Frankl dice chiaramente che il tentativo di vedere le cose in una certa prospettiva buffa sia un “trucco”, tuttavia lo definisce un trucco che ammaestra nell’arte di vivere.
2) La doppia valenza della parola “fine”. Da un lato fine significa termine, dall’altro fine significa “scopo”. Nel Lager questo elemento – quello di non vedere una fine o un fine a tutto quello che succedeva – era secondo Frankl l’elemento più deprimente. E lo stesso elemento della provvisorietà, seppure in un contesto molto diverso da quello descritto nel libro, è condizione in cui molti di noi oggi si sentono di vivere per via della crisi che attanaglia la nostra società.
3) L’importanza di pensare al futuro e di visualizzarlo. E’ un altro espediente che Frankl definisce “trucco”, ma che dice avere trovato molto funzionale. Quando la mattina doveva fare i suoi km a piedi nudi (o quasi) in mezzo al ghiaccio per andare a lavorare alle dipendenze di Kapòs spietati, inizialmente pensava a cose molto ancorate al presente contingente: se scambiare o meno una sigaretta con una porzione di zuppa extra, dove trovare filo spinato per allacciarsi le scarpe, e così via. Questo non lo aiutava. Ad aiutarlo invece, in quei momenti, era il pensarsi nel futuro a parlare a un importante congresso di psichiatri proprio della psicologia nei lager. In questo modo Frankl dice di porsi al di sopra della situazione, del presente e del suo dolore, guardandolo come se fosse il passato che lo ha reso più forte e qualificato.
4) Mi sento di fare una eccezione al format e indicare un quarto punto che mi è rimasto, forse il più importante di tutto il libro. Ti possono spogliare di tutto, tranne che di una cosa: la possibilità di dare un senso a quanto ti accade. Frankl sostiene che quando vivere è sofferenza, sopravvivere significa trovare un senso a questa sofferenza, e la capacità di decidere come affrontare quanto ci accade è una delle nostre libertà di cui non potremo mai essere privati.
Credo di avere dato già molti motivi per consigliare la lettura di questo libro e per chi fosse interessato lo puo’ acquistare qui: