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Violenza: origini, significato e antidoto – Intervista a Umberto Galimberti

Umberto galimberti
Interviste / Psicologia

Violenza: origini, significato e antidoto – Intervista a Umberto Galimberti

umberto galimbertiSCARICA LA MAPPA MENTALE DELL’INTERVISTA A UMBERTO GALIMBERTI (realizzata da Alberto Amerio)
Umberto Galimberti (Monza, 2 maggio 1942) è un filosofo, psicologo, psicoterapeuta e docente universitario italiano.

Fino al 1978 è insegnante di filosofia al Liceo Ginnasio Zucchi di Monza, anche se nel frattempo (1976) diventa professore incaricato di antropologia culturale presso la neonata Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Ca’ Foscari di Venezia. Conosce e frequenta regolarmente Karl Jaspers, di cui diventa uno dei principali traduttori e divulgatori italiani. Diviene professore associato di filosofia della storia nel 1983 ed è ordinario di filosofia della storia e di psicologia dinamica dal 1999. Ha insegnato inoltre filosofia morale. Dal 1985 è membro ordinario dell’International Association for Analytical Psychology. È inoltre dal 2003 vicepresidente dell’Associazione Italiana per la Consulenza Filosofica “Phronesis”.

Ha collaborato con Il Sole 24 Ore dal 1987 al 1995, e successivamente con La Repubblica sia con editoriali su temi d’attualità sia con approfondimenti di carattere culturale. Cura inoltre la rubrica epistolare di “D, La Repubblica delle Donne”, inserto settimanale de La Repubblica. Nel 2002 gli è stato assegnato il premio internazionale “Maestro e traditore della psicanalisi”. Nel 2011 gli è stato assegnato il Premio Ignazio Silone per la cultura.

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Indice

00:50 Sacralità e violenza.

02:32 Antidoto alla violenza: l’educazione emotiva e ai sentimenti.

04:33 Guerra alla violenza: dal gesto alla parola.

06:18 Le origini della violenza.

09:02 L’importanza di separarsi dal mondo genitoriale.

11:06 Valori: un mito da sfatare.

https://www.youtube.com/watch?v=JyMflSUvJhw

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Sbobinatura Intervista

Sacralità e violenza.

Luca Mazzucchelli: Dagli stupri sulle donne alla violenza negli stadi, dalle lotte religiose agli omicidi intra familiari, dal bullismo alle scene raccapriccianti di esecuzioni sommarie con decapitazioni e roghi umani che sempre più purtroppo si vedono in televisione. Il panorama in cui viviamo sembra essere sempre più disastrato, il rapporto che intratteniamo con le nostre emozioni e la modalità soprattutto di esprimerle talvolta sembra toccare i picchi più alti della follia. E’ di questo che parliamo oggi e del rapporto con la violenza, insieme ad un personaggio che non ha bisogno di presentazioni: Umberto Galimberti, grazie per il tuo tempo prof…

Umberto Galimberti: Grazie…

LM: Prima domanda su questo argomento: quando senti dai vari media televisione o giornali la notizia dell’ultima efferatezza compiuta, dell’ultima esecuzione sommaria, decapitazione, qual è la prima cosa che pensi?

UG: La prima cosa che penso è che il sacro, visto che non abbiamo più strutture che lo contengono, dilaga nel sacro. Attenzione bene, la gente pensa che il sacro sia una cosa dolce, morbida, abituati come siamo a pensare a partire alle categorie del cristianesimo, ma il sacro è il luogo della massima violenza, della sessualità selvaggia, sacra è la guerra dove non funzionano più i codici. Le religioni avevano il compito di contenere, relegare l’area del sacro e dopo la religione è intervenuta la ragione a fare questa operazione, ma oggi come oggi le religioni sono disertate, la ragione pochissimo frequentata quindi ritorna questa dimensione sacrale e violenta, dove nella dimensione della violenza, se vogliamo tradurre in termini psicologici, non dimentichiamo che oltre alla figura dell’amore che è il fondamento della vita c’è il principio dell’autodistruttività e dell’aggressività come distruzione dell’altro. Noi delle nostre ombre, delle nostre parti negative non ce ne ricordiamo mai, ma è costitutivo dell’uomo la distruttività dell’altro e di sé. Freud queste cose le ha dette con chiarezza in quel carteggio con Einstein Perché la guerra?, perché l’uomo è anche risolutivo.

Antidoto alla violenza: l’educazione emotiva e ai sentimenti.

UG: Quale è l’antidoto alla violenza? L’antidoto sarebbe sostanzialmente l’educazione, in modo tale da far passare le persone da un livello impulsivo, dove l’espressione è affidata ai gesti, ad un’educazione emotiva, in modo tale che io abbia una risonanza emotiva dei gesti che compio. Oggi i giovani ce l’hanno sempre meno questa risonanza emotiva, per cui non fanno una gran differenza fra corteggiare una ragazza e stuprarla, fra insultare un professore o prenderlo a calci. Kant diceva che potremmo anche non definire il bene e il male perché ciascuno lo sente, lui usa la parola sentire, naturalmente da sé; oggi non è più vero.

Poi ci sono i sentimenti e non li abbiamo per natura, i sentimenti si imparano.  Le tribù primitive utilizzavano delle storie per educare ai sentimenti, i Greci avevano tutto il mondo dell’Olimpo, se lo guardiamo da vicino c’è una fenomenologia dei sentimenti e delle passioni: Zeus è il potere, Afrodite la sessualità, Dioniso la follia, Apollo la bellezza, Ares l’aggressività…Uno impara i sentimenti, adesso non possiamo più ricorrere ai miti, però c’è un repertorio meraviglioso chiamato letteratura, dove impari cosa è amore, il dolore, cosa è la disperazione, il suicidio, cosa è la noia e allora bisogna educarli questi giovani, soprattutto loro, a frequentare questi mondi in modo tale da imparare. Perché oggi sono assolutamente convinto che i giovani non conoscono né il nome, né il decorso del disagio che soffrono, stanno male e non sanno nemmeno di che cosa. Il problema grosso è proprio quello di metterli in quei luoghi dove si impara, perché se conosco il nome di ciò per cui soffro e il decorso possibile di questo tipo di sofferenza sono molto più attrezzato piuttosto che se provo questa sofferenza senza sapere dove mi porta.

Guerra alla violenza: Dal gesto alla parola

LM: La guerra alla violenza non passa per una guerra, ma per  un’educazione e un’istruzione…

UG: Più siamo educati, più siamo abituati a frequentare la parola. Aristotele diceva che l’uomo è un animale che ha la parola, il logos quindi anche il pensiero…più aumenta il livello educativo meno c’è il ricorso alla violenza. La violenza è gesto e il gesto è quel che resta quando la parola è insufficiente. Oggi la parola decresce perché non abbiamo più una comunicazione diretta, abbiamo quella falsa comunicazione che è quella della rete, dove non c’è più un confronto visivo, non c’è il corpo dell’altro davanti a me che mi impegna, ma ci sono io con addirittura una falsa identità e tutti quanti io li considero come i monaci dell’antichità che stavano nelle loro grotte, loro per non vedere niente del mondo, questi per non perdere un frammento di mondo ma sono condizioni di solitudine, io e la macchina, non io e te.  Quindi anche qui abbiamo un collasso della parola, ci manca l’altro che ce la corregge, c’è nessuno che ci modifica la nostra visione del mondo, c’è un assorbimento di tutto quello che queste macchine ti consentono di vedere senza i tempi e gli spazi di elaborazione. Quando uno scriveva una lettera aveva il tempo di rispondere e di riflettere, oggi se mandi una mail e ritardi ti dicono: “Ma io Le ho scritto una mail” e allora?

Le origini e lo scopo della violenza.

LM: Dove nasce la violenza, dove affondano le radici? Nell’individuo, nella società, tra noi e la società?

UG: Il fondamento della violenza è dentro di noi, come principio dell’autodistruttività e della distruttività dell’altro. E’ una componente antropologica e tutto il lavoro della civiltà è consistito sostanzialmente nel contenere questo principio, che quando esplode diventa devastante. Quando Freud dice che abbiamo venduto una grossa fetta di felicità per un po’ di sicurezza vuol dire che questa sicurezza non è altro che un recinto, una difesa, un contenimento del momento violento che si traduce poi o nell’uccisione o nello stupro, i giochi sono quelli della sessualità o dell’omicidio. Sono fra i due grandi peccati dei dieci comandamenti: ” non ammazzare” e ” non violentare “. La violenza è dentro di noi, non è qualcosa in cui cadiamo, è qualcosa che abbiamo dentro e va contenuta e il luogo di questo contenimento è il progresso della civiltà.

LM: Non sempre si va in quella direzione purtroppo… Qual è lo scopo della violenza? Qual è il suo significato ed obiettivo?

UG: La soppressione dell’altro è una cosa naturale, tu mi porti via l’aria che respiro, mi porti via il cibo che devo dividere con te… basta vedere il rapporto che abbiamo con gli immigrati, che se anche non lo diciamo per correttezza politica in realtà quello che temiamo è che ci portino via tutto. In un contesto di questo genere l’altro è un altro e attenzione qui abbiamo un rapporto molto ambivalente: da un lato proprio perché l’altro è un altro è perciò stesso un oggetto di aggressività latente, con l’altro io ho comunque un rapporto aggressivo, anche se sono tanto buono. Anche la seduzione tante volte è una forma di aggressività, me lo tengo buono solo perché sono più debole. Poi invece ha un aspetto positivo l’altro, nei rapporti coniugali se cominciassimo a togliere quell’aggettivo possessivo mia moglie,  mio marito, i miei figli… non c’è niente di mio in questo contesto. Solo partendo dal concetto che la moglie è mia posso fare di lei ciò che voglio, lì bisognerebbe instaurare l’alterità che l’altro davvero è un altro e dall’alterità nasce anche la curiosità. Una volta io ho ridotto la persona con cui vivo ad un contenuto della mia visione del mondo alla fine non la guardo neanche più in faccia.

L’importanza di separarsi dal mondo genitoriale.

LM: Recentemente hai detto in un’intervista che la frase più bella che tu abbia mai sentito sull’amore l’ha detta Sant’Agostino: “volo ut sis” ossia voglio tu sia quello che sei. Perché è così difficile vivere secondo questa regola?

UG: E’ difficile perché i genitori non generano mai e soprattutto le madri: le madri non generano mai fino in fondo, si tengono sempre i loro bambini che sono tali anche quando hanno trent’anni in un legame psicologico in cui, chiunque fa un po’ di psicoterapia lo indaga, qual è il primo punto di riferimento? Il mondo genitoriale, per vedere in che misura questi ragazzi sono nati o non sono nati. Nascere non basta, diceva Neruda, bisogna rinascere e questa rinascita vuol dire separazione seria dal mondo genitoriale. E’ chiaro che separarmi da un luogo d’amore è difficile, per cui gli adolescenti si devono caricare di molta aggressività, devono sbattere la porta per separarsi, però questo passaggio lo devono assolutamente fare e i genitori lo devono accettare. Di nuovo torna il concetto di alterità, il figlio non è mio, tutti i figli sono figli di Dio cioè di nessuno, ma non possono rientrare nella figura dell’appartenenza, sennò non l’hai generato, te lo tieni lì come un prolungamento della tua immaginazione o addirittura della tua vita. Mi rendo conto poi che l’amore genitoriale è un amore verticale: madre, padre e figlio, i figli devono passare da questo amore verticale che è incondizionato, per qualsiasi ragione una madre va anche in galera al posto del figlio, ad una amore orizzontale che è quello coniugale e lì tutto è condizionato, tutto. Anche l’amore più sincero in realtà è perché mi fa un gran piacere avere un amore sincero, altrimenti se non ci fosse piacere non avremmo amore sincero.

Valori: un mito da sfatare

LM: Prima parlavi dell’importanza dell’educazione emotiva nel rispetto dell’altro, rispetto al tema della violenza. Il problema della violenza è un problema solo di educazione emotiva rispetto all’altro o anche un problema di valori in cui credere?

UG: Guarda i valori per me non hanno una grande importanza, nel senso che li considero dei coefficienti sociali con cui una comunità cerca di stare insieme con la minor conflittualità possibile. Prima della rivoluzione francese c’erano dei valori gerarchici, dopo la rivoluzione francese sono subentrati dei valori di cittadinanza. I valori non scendono dal cielo, non hanno un ordine metafisico, semplicemente sono dei coefficienti sociali che funzionano.

LM: Mobili…

UG: Sì, assolutamente mobili. […] Sui valori proprio non insisterei. Quando i vecchi dicono: ” Ah ai miei tempi c’erano dei valori…” in realtà quello che piangono non sono i valori, sono la sessualità e giovinezza che hanno perso, di questo si lamentano senza dirlo. Non sono i valori la cosa più importante, la cosa più importante è creare le condizioni per la minor conflittualità possibile, la comunità è insieme per questo. I greci e i primitivi, sapendo che nel mondo degli Dei non era garantita la pace, quando un Dio entrava in una comunità come ad esempio Dioniso a Tebe, succedeva un disastro: crollava il palazzo reale, le donne si comportavano come Menadi agitando il Tirso sul monte Citreo, i vecchi si comportavano come bambini… quando un  Dio entra nella comunità è un disastro e i sacrifici non si facevano per ottenere delle grazie dagli Dei, ma per tenerli il più possibile lontano. Quando dico Dei dico sacro, dico violenza, dico indifferenziato.[…] Io non so se avete mai letto libri intorno alla guerra, sono libri importanti che raccontano anche di questi soldati che vengono innanzitutto drogati dall’origine del mondo fino ad oggi, che oltrepassano dei limiti psichici tali, perché per uccidere devi fare un passo grosso dentro di te, da fare in modo che da quel punto lì non riesci più a tornare indietro, se non nella forma del disprezzo di te, non dico del rimorso ma del non capire più che senso ha la vita che facevi prima. Finiscono suicidi, finiscono drogati, finiscono come dice Platone: “Solo i morti hanno visto la fine della guerra”.

LM: Umberto grazie mille per questa chiacchierata , ci vediamo alla prossima…

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